sabato 12 ottobre 2019

Voci da Rojava: "vogliono cancellare il nostro modello democratico"

Nessuno si aspettava un’aggressione così rapida prima dell’incontro tra Erdogan e Trump a novembre. Un attacco militare a sorpresa che però ha trovato una immediata resistenza armata e una forte mobilitazione popolare curda.
nena-news.it Chiara Cruciati
Roma, 11 ottobre 2019, Nena News – 
«Dobbiamo difendere i confini che abbiamo liberato».
resistenza1Così domenica scorsa a Roma parlava Dalbr Iomma Issala comandante delle Ypj, le unità di difesa femminili curde del nord della Siria. Quel momento è arrivato e la ricostruzione fermata dai soldati turchi e i pretoriani delle opposizioni islamiste siriane. «Lungo tutto il confine sono continuati raid e colpi di artiglieria pesante – ci dice al telefono Salih Muslimportavoce del Pyd, Kurdish Democratic Union Party – L’aviazione turca ha colpito l’area intorno alla prigione di Qamishlo, dove sono detenuti i prigionieri dell’Isis. Ma non ci sono state fughe. A Tal Abyad l’offensiva terrestre è stata per ora bloccata dalle Ypg/Ypj».


«La scorsa notte era apparsa più calma, ma ieri le bombe hanno colpito di nuovo Tal Abyad e Qamishlo, anche se meno pesanti del giorno prima quando è stato attaccato il quartiere cristiano». Cecilia ci parla da Rojava. Studentessa di medicina, è lì come volontaria per dare supporto alla ricostruzione delle strutture sanitarie e coordinarne l’attività. «È stato colpito l’ospedale di Sere Kaniye (Ras al Ain, ndr) e quello di Tal Abyad è stato chiuso. Il trasferimento dei pazienti verso le zone interne è difficile».

La frontiera nord con la Turchia è già zona di guerra. Le notizie che arrivano parlano di «una smobilitazione del muro di frontiera», tirato su da Ankara per impedire ai rifugiati di scappare dalla guerra civile, così da facilitare le incursioni via terra. Quelle che hanno come protagonisti 14mila miliziani islamisti e dell’Esercito libero, opposizioni al governo Assad e stampella turca.

«Gruppi di jihadisti sono entrati a Manbij, a ovest dell’Eufrate – continua Cecilia – e a Raqqa la notte scorsa ci sono stati due attentati suicidi. Nel campo di Al Hol, dove sono detenuti jihadisti e le loro famiglie, sono scoppiate rivolte, molte tende sono state bruciate». L’Isis rialza la testa, mai scomparso ma pronto a riemergere con cellule nascoste dentro le città liberate, da Raqqa a Deir Ezzor.
A reagire è la popolazione, capace di mobilitarsi subito perché quella mobilitazione sociale, culturale, politica e militare è realtà dal 2011. Alcuni fanno da scudo umano, altri prendono le armi. Fanno da sé dopo il voltafaccia degli Stati uniti. Che continuano ad avere i propri uomini sul territorio: «I marines sono stati smobilitati alla frontiera, a Ras al Ain e Tal Abyad, ma sono ancora presenti nelle basi più interne – ci spiega Anwar Muslem, ex sindaco di Kobane e oggi co-presidente della regione Eufrate – Per ripulire il nord della Siria Erdogan ha mandato in prima fila i jihadisti di Esl ed ex al-Nusra: vuole un genocidio. Per fermarli abbiamo bisogno di tutti. La nostra porta è aperta alla Russia e al governo di Damasco, con cui abbiamo sempre dialogato. Ma per ora non abbiamo ricevuto risposte».

«La Turchia vuole cancellare il nostro modello democratico. Per questo per anni abbiamo chiesto una vera zona cuscinetto che ci proteggesse, ma la coalizione a guida Usa non ha mai voluto realizzarla». È un’altra zona cuscinetto che Washington ha autorizzato, a fine agosto alla Turchia, primo passo verso l’attacco.

Rojava se lo aspettava, ma non tanto presto: «Gli Stati uniti non sono mai stati considerati alleati affidabili, solo un sostegno militare –Cecilia riporta le voci di curdi, assiri, arabi protagonisti del confederalismo democratico di Rojava – Nessuno si aspettava un’aggressione così rapida prima dell’incontro tra Erdogan e Trump a novembre e perché era in fase di realizzazione la safe zone Usa-Turchia. Quella “zona sicura” non è stata mai accettata pienamente dalla Federazione del Nord, ma era stata agevolata nell’idea che il dialogo pagasse». Tradita la soluzione diplomatica, l’attacco è arrivato a sorpresa. E la preparazione in atto, l’evacuazione delle città di confine e la riorganizzazione dell’apparato militare, è evaporata.

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