Nessuno
si aspettava un’aggressione così rapida prima dell’incontro tra Erdogan
e Trump a novembre. Un attacco militare a sorpresa che però ha trovato
una immediata resistenza armata e una forte mobilitazione popolare curda.
nena-news.it Chiara Cruciati
Roma, 11 ottobre 2019, Nena News –
«Dobbiamo difendere i confini che abbiamo liberato».
Così domenica scorsa a Roma parlava Dalbr Iomma Issa, la comandante delle Ypj,
le unità di difesa femminili curde del nord della Siria. Quel momento è
arrivato e la ricostruzione fermata dai soldati turchi e i pretoriani
delle opposizioni islamiste siriane. «Lungo tutto il confine sono
continuati raid e colpi di artiglieria pesante – ci dice al telefono Salih Muslim, portavoce del Pyd, Kurdish
Democratic Union Party – L’aviazione turca ha colpito l’area intorno
alla prigione di Qamishlo, dove sono detenuti i prigionieri dell’Isis.
Ma non ci sono state fughe. A Tal Abyad l’offensiva terrestre è stata per ora bloccata dalle Ypg/Ypj».
«La
scorsa notte era apparsa più calma, ma ieri le bombe hanno colpito di
nuovo Tal Abyad e Qamishlo, anche se meno pesanti del giorno prima
quando è stato attaccato il quartiere cristiano». Cecilia ci parla da Rojava. Studentessa
di medicina, è lì come volontaria per dare supporto alla ricostruzione
delle strutture sanitarie e coordinarne l’attività. «È stato colpito
l’ospedale di Sere Kaniye (Ras al Ain, ndr) e quello di Tal Abyad è stato chiuso. Il trasferimento dei pazienti verso le zone interne è difficile».
La frontiera nord con la Turchia è già zona di guerra. Le
notizie che arrivano parlano di «una smobilitazione del muro di
frontiera», tirato su da Ankara per impedire ai rifugiati di scappare
dalla guerra civile, così da facilitare le incursioni via terra. Quelle
che hanno come protagonisti 14mila miliziani islamisti e dell’Esercito
libero, opposizioni al governo Assad e stampella turca.
«Gruppi di jihadisti sono entrati a Manbij, a ovest dell’Eufrate – continua Cecilia – e a Raqqa la
notte scorsa ci sono stati due attentati suicidi. Nel campo di Al Hol,
dove sono detenuti jihadisti e le loro famiglie, sono scoppiate rivolte,
molte tende sono state bruciate». L’Isis rialza la testa, mai scomparso ma pronto a riemergere con cellule nascoste dentro le città liberate, da Raqqa a Deir Ezzor.
A
reagire è la popolazione, capace di mobilitarsi subito perché quella
mobilitazione sociale, culturale, politica e militare è realtà dal 2011. Alcuni
fanno da scudo umano, altri prendono le armi. Fanno da sé dopo il
voltafaccia degli Stati uniti. Che continuano ad avere i propri uomini
sul territorio: «I marines sono stati smobilitati alla frontiera, a Ras
al Ain e Tal Abyad, ma sono ancora presenti nelle basi più interne – ci
spiega Anwar Muslem, ex sindaco di Kobane e oggi co-presidente della regione Eufrate –
Per ripulire il nord della Siria Erdogan ha mandato in prima fila i
jihadisti di Esl ed ex al-Nusra: vuole un genocidio. Per fermarli
abbiamo bisogno di tutti. La nostra porta è aperta alla Russia e al
governo di Damasco, con cui abbiamo sempre dialogato. Ma per ora non
abbiamo ricevuto risposte».
«La Turchia vuole cancellare il nostro modello democratico. Per
questo per anni abbiamo chiesto una vera zona cuscinetto che ci
proteggesse, ma la coalizione a guida Usa non ha mai voluto
realizzarla». È un’altra zona cuscinetto che Washington ha autorizzato, a
fine agosto alla Turchia, primo passo verso l’attacco.
Rojava se lo aspettava, ma non tanto presto:
«Gli Stati uniti non sono mai stati considerati alleati affidabili,
solo un sostegno militare –Cecilia riporta le voci di curdi, assiri,
arabi protagonisti del confederalismo democratico di Rojava – Nessuno si
aspettava un’aggressione così rapida prima dell’incontro tra Erdogan e
Trump a novembre e perché era in fase di realizzazione la safe zone
Usa-Turchia. Quella “zona sicura” non è stata mai accettata pienamente
dalla Federazione del Nord, ma era stata agevolata nell’idea che il
dialogo pagasse». Tradita la soluzione diplomatica, l’attacco è arrivato a sorpresa.
E la preparazione in atto, l’evacuazione delle città di confine e la
riorganizzazione dell’apparato militare, è evaporata.
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