Da
venerdì 4 a domenica 6 ottobre, a Roma, un incontro con ospiti da tutto
il mondo per confrontarsi intorno ai nodi più importanti che stanno
venendo fuori dalla rivoluzione curda nel nord-est della Siria
«Il
Rojava è il luogo dove s’infrangono le vecchie convinzioni. Dove si
mostra quanto la rivoluzione sia un fatto reale. È il luogo che dice al
politico “non puoi più fare politica come prima”, al combattente “non
combatterai più come prima”, al giornalista “non puoi più scrivere come
prima”. È il tempo di cambiare». Così apriva il suo libro La rivoluzione del Rojava (uscito
in Italia per Redstarpress, nella traduzione di Francesco Marilungo)
Arzu Demir, giornalista turca che già nell’aprile del 2013 entrava nel
cantone di Afrin per vedere coi propri occhi e raccontare cosa stava
avvenendo in quei territori. E, sulla scia delle sue parole, non è forse azzardato dire che il Rojava rappresenti una pietra angolare dell’immaginario contemporaneo. Ancora prima che un luogo, è appunto una “concreta idea” che non cessa di mettere in discussione vecchi e nuovi concetti: potere, resistenza, femminismo, ecologia, internazionalismo.
Proprio dalla necessità – pur nella differenza di lotte, obiettivi specifici e contesti geografici – di guardare al Rojava, Uiki (Ufficio d’Informazione del Kurdistan in Italia) ha lanciato una Conferenza internazionale sul confederalismo democratico, municipalismo e democrazia globale. Nelle giornate di venerdì 4 (presentazione alla Camera dei deputati), sabato 5 e domenica 6 ottobre si svolgeranno al teatro Palladium di Roma (piazza Bartolomeo Romano, 8, presso RomaTre) una serie di incontri frontali e discussioni a partire da ciò che sta succedendo nel nord della Siria. L’evento vedrà la partecipazione non solo di protagonisti diretti della rivoluzione del Rojava (Rehan Sheikhmous, Ahmad Yousef, Anwar Muslem, un contributo dal nord-est della Siria) ma anche di lotte e movimenti che si richiamano agli stessi principi, dall’emancipazione del popolo curdo in altri territori (Sezai Temelli, Nîlufer Koç, Ercan Ayboga, Hanim Engizek, Haskar Kirmizgul, Mohammed Abdalla Awl, Leyla Imret, Ferda Cetin, Newroz Uysal) alle rivendicazioni ecologiste, municipaliste e di autodeterminazione che si agitano in diversi contesti geografico-politici (Victoria Sandino, senatrice ed ex militante Farc, Daniel Mancio, attivista Sem Terra, Leo Saldanha, ricercatore Environment Support Group e attivista dall’India, Giada Bonu, attivista Nudm, Janet Sanz, vice-sindaca della città di Barcellona, Maribel Cervantes Cruz, rappresentante del Congresso Nazionale Indigeno in Messico, Erasmo Palazzotto di Mediterranea Saving Humans), nonché l’avvicendarsi di riflessioni teoriche di ampio respiro da parte di studiosi, ricercatori, giornalisti, avvocati (Fabio Marcelli, Enrica Rigo, Glenis Balangue-Dalkiran, Laura Corradi, Nazan Üstündağ, Salvatore Malinconico, Federica Giardini, Jeffrey Miley, Giuseppe Micciarelli, Stefania Battistini, Genevieve Vaughan, Giuseppe Caccia, Carmine Malinconico, Debbie Bookchin) e di rappresentanti ed ex-rappresentanti della politica e dell’associazionismo (Massimiliano Smeriglio, Francesco Martone, Antonio Ragonesi, Laura Marmorale, Domenico Lucano, Giuseppe Casafina, Simon Dubbins, Vincenzo Miliucci).
L’intento sembra dunque essere quello di creare connessioni non solo in orizzontale, fra movimenti e lotte da diverse parti del mondo, ma anche in verticale, provando a capire quanto gli attuali assetti istituzionali (in particolare, quelli italiani) debbano accogliere le suggestioni del municipalismo e del confederalismo democratico e quanto, viceversa, le spinte dal basso possano mettersi in dialogo con tali assetti. Nel 2005 avveniva una sorta di svolta all’interno del processo di autodeterminazione del popolo curdo. Il leader del Pkk Abdullah Öcalan, in carcere già da anni, rese pubblica la Dichiarazione di Confederazione Democratica in Kurdistan, un documento che rielaborava e mutuava in buona parte le tesi del pensatore anarchico statunitense Murray Bookchin e ne auspicava l’applicazione sul territorio del Kurdistan. Con lo scoppio del conflitto siriano, questi principi “prendevano corpo” proprio nei cantoni settentrionali del paese a maggioranza curda, che nel frattempo acquisivano autonomia e indipendenza (ancora oggi costantemente minacciate dalla repressione turca) e si sollevavano in armi contro l’avanzata dello stato islamico (che subì alcune delle più pesanti sconfitte grazie alle unità di difesa popolare Ypg e Ypj).
Si tratta appunto – come dice Arzu Demir – di “una rivoluzione come fatto reale”, uno stato di continua mobilitazione in cui la presa del potere da parte del popolo curdo coincide in tutto e per tutto con lo sforzo di cambiarne la natura, per renderlo cioè “abitabile” da soggettività che ne erano state tradizionalmente escluse: donne, pensiero ecologico, culture oppresse. Ed è una rivoluzione – val la pena ricordarlo in vista della conferenza – per cui tanti combattono e hanno combattuto anche dall’Italia, magari perdendo la vita: il 31 maggio di quest’anno è rientrata la salma di Lorenzo “Orso” Orsetti, cui ha prestato omaggio una folla solidale. La conferenza di questo fine settimana sarà allora un’occasione per fare il punto sulla forza e “tenuta” degli ideali del confederalismo democratico, sulla loro effettiva praticabilità nell’area curda e non. Provando a immaginare il futuro anche a partire dalla memoria di chi, nella sua lotta, rende quello stesso futuro possibile
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