Pochi
lo sanno ma l’Italia è uno dei paesi con più potenza da fotovoltaico
installata: più di 20 Giga Watt, in Europa solo in Germania ce ne sono
di più. Tale risultato è dovuto ad una massiccia politica di
incentivazione statale che ha distribuito soldi a pioggia nel settore a
partire dalla metà degli anni 2000.
Fino al 2013 chi voleva installare
un impianto, riceveva dallo Stato dei soldi per ogni KWh di energia
prodotta.
Attenzione:
prodotta, non venduta all’Enel o a qualcun altro. Riceveva questi soldi
anche se quell’energia la consumava interamente lui. Questi soldi li
riceve ancora, perché sono stati garantiti per tutto il ciclo di vita
dell’impianto fotovoltaico (in media 25 anni).
Questo
tipo di incentivo, chiamato “conto energia”, è stato interrotto nel
2013 quando ha raggiunto il tetto di spesa annua di 6,7 miliardi di
euro.
Cioè, ancora oggi, lo Stato spende 6,7 mld di euro all’anno
d’incentivo per chi ha installato un impianto tra 2006 e 2013.
Una
parentesi: quando ci presentano come un vantaggio epocale per le casse
dello Stato la riduzione di 345 parlamentari (al prezzo di una perdita
di rappresentanza democratica), pensiamo che lo Stato garantisce ad
aziende e privati numerosi incentivi come questo! Solo il conto energia
implica delle uscite equivalenti al taglio di più di 40 mila
parlamentari (se mai esistessero).
Fermi
tutti. Il problema non è che lo Stato spenda 6,7 mld di euro all’anno
per il fotovoltaico (più i mancati introiti per gli sgravi fiscali, che
dal 2013 hanno sostituito gli incentivi diretti). Il problema è che
questi soldi potevano essere utilizzati per installare la stessa potenza
(e probabilmente di più) a vantaggio della collettività e non di
privati cittadini, banche o grandi aziende.
Infatti
chi ha approfittato dell’incentivo sono state in primis le banche che
hanno finanziato la costruzione di impianti fotovoltaici in cambio della
cessione dell’incentivo e le grandi aziende che hanno installato sui
propri terreni vere e proprie centrali fotovoltaiche, riuscendo così
(oltre a vendere l’energia) ad avere un rendimento sicuro per 25 anni
(sicuro come un buono del tesoro, ma molto più conveniente!).
Anche
tante famiglie con reddito stabile ed una casa di proprietà hanno
installato il loro impianto da 3 o 6 KW; non si tratta di famiglie
necessariamente ricche, ma comunque si tratta di una fascia della
popolazione che non ha un bisogno particolare di aiuti pubblici.
Un
alternativa c’era: lo Stato poteva investire quei soldi per costruire
impianti fotovoltaici sugli edifici di sua proprietà (palazzi di enti
pubblici, scuole, ospedali, uffici…).
Avrebbe ottenuto lo stesso vantaggio in termini di aumento della produzione di energia pulita, ma in più avrebbe diminuito i suoi enormi costi energetici potendo investire quei risparmi a beneficio della collettività.
Avrebbe ottenuto lo stesso vantaggio in termini di aumento della produzione di energia pulita, ma in più avrebbe diminuito i suoi enormi costi energetici potendo investire quei risparmi a beneficio della collettività.
Sarebbe
stata anche una scelta più intelligente dal punto di vista della
distribuzione dell’elettricità, visto che l’energia va consumata appena
prodotta (a meno di immagazzinarla in costose batterie). Infatti i
consumi domestici sono concentrati soprattutto dopo il calar del sole,
al contrario dei consumi degli edifici utilizzati come uffici o altri
luoghi di lavoro.
Oggi
la potenza installata su edifici della pubblica amministrazione non
arriva nemmeno ad 1 Giga Watt e ammonta solo al 4,3% della potenza
totale, ed è questa un’altra prova dell’assurdità della strada percorsa.
La pianificazione avrebbe anche consentito di intervenire tenendo conto di tutti i fattori ambientali, cosa che non hanno fatto i privati interessati solo al profitto (pensiamo ad esempio alle enormi distese di terreni ricoperte da pannelli fotovoltaici, con danni permanenti alla rigenerazione del suolo).
La pianificazione avrebbe anche consentito di intervenire tenendo conto di tutti i fattori ambientali, cosa che non hanno fatto i privati interessati solo al profitto (pensiamo ad esempio alle enormi distese di terreni ricoperte da pannelli fotovoltaici, con danni permanenti alla rigenerazione del suolo).
Perché
non è stata seguita questa strada alternativa? La risposta è che ormai
da trent’anni è stato assunto come dogma economico l’idea che il libero
mercato debba risolvere i nostri problemi, che lo Stato non debba
intervenire in economia se non “incentivando” i comportamenti virtuosi
dei privati.
Questa
posizione puramente ideologica serve a far arrivare soldi pubblici a
certe classi sociali (come in questo caso) e all’economia privata, ma
dal punto di vista degli interessi collettivi ha ampiamente dimostrato
il suo fallimento. Se si vuole veramente cambiare rotta sull’ambiente è
necessaria una vera opera di pianificazione, che comprenda l’intervento
attivo dello Stato, nell’interesse della collettività.
Per
alcuni settori economici i liberisti hanno gioco più facile perché
possono dire che nel pubblico non ci sono le competenze per fare certe
cose (ma se uno volesse le potrebbe costruire), nel settore dell’energia
non è così: nei Centri di Ricerca e nelle aziende semi-pubbliche (come
l’Enel, da ripubblicizzare totalmente) c’è già chi ha le competenze
necessarie.
Quello che serve è la volontà politica, e qualcuno che li costringa a farlo.
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