Mai
fu soggetta la violenza rivoluzionaria all’ordinarietà del pregiudizio
morale. Asfissiante giaculatoria di vittime. Bestemmia del dio in
smoking trasfigurato nella croce democratica.
Rifiutò
i tribunali della Storia, cattedrali innalzate alla Legge dei vincitori
e degli assertori del nulla. Negò ai giudici dall’occhio feroce come
quello degli psichiatri che condannarono Artaud, le loro sporche
sentenze scritte col sangue proletario.
Attaccò
il cuore del Potere e dello Stato. Castello di carta kafkiano.
Scacchiera di morte bianca, tirata ai dadi. Fu violenza al di là di ogni
bene, di ogni male. Violenza dal sapore del vino forte, rosso. Denso
del suo valore di classe. Contro l’oppressione reificante degli astemi
gendarmi del profitto.
L’orda
d’oro diede così, l’assalto al cielo. Ma nel flusso incessante della
tirannia del Tempo, anche l’oro scurisce la sua luce. È rimasto metallo,
svalutato nei caveau delle banche. Colore sbiadito in stelle di carta,
senza carne, né sangue, né nervi. Il piombo è diventato stagno. L’orda
non è più barbara. Ma nera e cupa, come le notti di Norimberga.
Pur noi, col corpo smembrato, invochiamo ancora Dioniso. Il carro di Tespi dei poeti guerrieri. Le orde delle menadi. I riti orgiastici di Eleusi. E la plebe in armi, ebbra, che ancora insorgerà.
Ciao Nanni, la Rivoluzione è Poesia. E tu, la tua fetta di cielo l’hai assaltata. E presa!
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