20 / 5 / 2019
global project Fabiano Malesardi
«È possibile pensare che un lungo periododi distruzione delle coscienze collettivecominci a volgere al termine e nelle metropolistia emergendo una nuova percezione del presente»
Io
nelle metropoli dei primi anni '90 ci andavo, ma poi tornavo al paese e
alla mia piccola città. Qui lavoravo come “ultimo mohicano” in una
fabbrica tessile (cosa che peraltro faccio ancora), militavo nel mio
piccolo centro sociale ed è qui che mi sono imbattuto in un numero zero
di una rivista che mi cambiò la percezione del presente. Si trattava di
Derive Approdi, diventata negli anni tra le più importanti case editrici
indipendenti italiane.
Il
testo era di Nanni Balestrini e narrava di una sconfitta, anche se lui
stesso diceva che «non esiste vittoria e sconfitta, esiste la vita».
Sconfitta che mi aveva colto di striscio nell'adolescenza, ma io ero
veramente convinto - e gli anni '80 me lo avevano già chiarito - che c’è
veramente chi «loda il letamaio».
Ora,
a distanza di molto tempo, voglio ripensare ai sui libri, al «vogliamo
tutto!» che narrava le rivolte operaie e la mia frustrazione che si
riversava nel voler liberare gli anni '70 per poi scoprire che eravamo
noi a volerci liberare da quegli anni. Ripenso a Gli invisibili, che racconta quanto sia stato duro quel passaggio per i nostri “fratelli maggiori”, a L’editore,
che parlava di un editore morto di fianco a un traliccio e io pensavo a
un altro che poi sarebbe diventato un mio splendido “cattivo maestro”.
Ripenso anche a libri difficili come La violenza illustrata, che non capivo e che mi sforzavo a comprendere e poi L’orda d’oro,
che non era nelle steppe e nella taiga, ma nelle metropoli e nelle
città di provincia del nostro fottuto Paese. Poi fu anche grazie a lui
che incrociai il libraio che se ne stava in Ticinese a Milano e che,
ogni volta che incrociavo, mi consigliava qualcosa da leggere mentre io
contraccambiavo con i racconti del mio vivere in provincia.
E poi I lama stanno in Tibet,
che se ne parli ora con un ragazzo giovane ti scambiano per matto
mentre noi, ai tempi, ridevamo come matti. A dire la verità l’ultima
cosa non era proprio sua, ma Nanni era anche un grande narratore, non
solo un romanziere e un poeta.
A
dire la verità Nanni l’ho conosciuto poco personalmente, proprio perché
non abitavo in quelle metropoli che lui ha narrato e vissuto; ricordo
un pranzo conviviale a casa di un editore e pochi altri fugaci incroci.
Quattro anni fa mi trovai a una sua mostra in un museo di Bolzano, balzato alle cronache locali per aver tolto il wi-fi a
chi stazionava nelle vicinanze (immaginate il pigmento delle persone in
oggetto). Me la sono guardata attentamente questa mostra, ma ho subito
pensato a Nanni impossibile da "musealizzare", a una persona viva che
con il pubblico della cultura - «che è furbo di tre cotte» - ci poteva
anche scherzare e non prendersi troppo sul serio. Una persona che ci ha
insegnato soprattutto a leggere le contraddizioni come qualcosa che ci
fa crescere, che ci abitua a risolverle non per auto-conviverci, ma per
superarle.
«Questo è tutto per orain questo momento è come se fossimo giàinvece siamo appenae ciò che è più strano èche uno non se lo immagina benedove può arrivare la grande traversata»
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