giovedì 23 maggio 2019

Il complesso militare-industriale europeo, tra competizione e venti di guerra.

Un aspetto inquietante poco indagato e molto sottovalutato della riorganizzazione dell’Unione Europea è quello della politica militare.
 
 
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Negli ultimi anni, utilizzando il meccanismo delle cooperazioni rafforzate (cioè la convergenza solo di alcuni stati della Ue su un progetto specifico, così come è stato fatto per l’Eurozona), le maggiori potenze hanno avviato un processo di definizione e strutturazione di una politica e di un complesso militare industriale europeo. Questo processo ha subito una accelerazione esplicita con il recente Trattato di Aquisgrana tra Francia e Germania e con il Fondo Europeo per la Difesa.
L’obiettivo dichiarato è quello della indipendenza tecnologica dal monopolio statunitense in questa materia. Il crescente ricorso a tecnologie dual use (civile e militare) ha permesso di raggiungere risultati ed ha definito progetti inimmaginabili fino ad un ventennio fa. Ad esempio il sistema satellitare europeo Galileo comprende anche i Public Regulated Services (Prs), servizi riservati alle autorità governative per un utilizzo destinato alla difesa e sicurezza nazionale. In questo caso il segnale è criptato e protetto da interferenze ostili (jamming e spoofing).

Sganciarsi o limitare al minimo il monopolio tecnologico e militare degli Stati Uniti sull’Europa, si va definendo via via come priorità per i gruppi capitalisti dominanti in Europa. La Nato, in tal senso, è diventata una camera di compensazione troppo stretta. L’Unione Europea vorrebbe che gli Usa comprendano e decidano di non essere più i primus inter pares dell’alleanza ma tale decisione, seppur inevitabile, non appare all’ordine delle priorità strategiche degli Stati Uniti
Potremmo soffermarci sulla lunga e spietata competizione tra Boeing e Airbus sugli aerei, oppure sul sopracitato compimento del progetto satellitare europeo Galileo che tendenzialmente sgancerà gran parte delle prestazioni satellitari dal Gps statunitense o ancora del progetto Neuron per la produzione autonoma del drone militare europeo o ancora della difficile convivenza in ambito Nato dell’ammodernamento degli aerei da combattimento tra gli Efa (Eurofighter) e gli F 35 statunitensi. La Germania ha già dichiarato che non acquisterà gli F 35 statunitensi, inoltre , dal 2017 la Germania sta cooperando con la Francia nel mettere in cantiere un velivolo di 6° generazione – il cosiddetto Future Combat Air System (Fcas) – che nelle ambizioni franco-tedesche dovrebbe essere più avanzato dei Raphale e degli Eurofighter già in servizio a Parigi, Berlino e in Italia, e sostituirli gradualmente dal 2040 in poi.
Il Trattato di Aquisgrana
Il primo processo da tenere sotto stretta osservazione è il recente Trattato di Aquisgrana.
Nel trattato siglato da Francia e Germania nella città tedesca di Aquisgrana, la Difesa ha un ruolo molto importante. Di collaborazione militare si parla già nell’Articolo 4 del Trattato. In esso i Germania e Francia stati ribadiscono l’inseparabilità dei propri interessi in materia di sicurezza, e conseguentemente si impegnano a sviluppare una comune cultura della difesa e a operare congiuntamente, anche in dispiegamenti comuni all’estero. A tal fine viene istituito il Consiglio di Difesa e Sicurezza Franco-Tedesco, che si riunirà regolarmente “ai massimi livelli” per guidare la nuova politica comune.
Soprattutto, si parla di cooperare nel modo più stretto possibile nel campo dell’industria della difesa, promuovendo il consolidamento del settore attraverso quelli che vengono definiti “campioni europei” in grado di competere con i complessi militari-industriali di altre potenze. In altre parole, come sottolinea un organismo storicamente euroatlantico come l’Istitito Affari Internazionali “Francia e Germania pongono le basi del dominio delle loro industrie della difesa in Europa, ponendosi al centro del concetto di difesa comune e di fatto obbligando gli altri stati membri ad adattarsi”.
Il Fondo Europeo per la Difesa
Il secondo processo che va individuato e compreso è il Fondo Europeo per la Difesa e il Programma europeo di Sviluppo dell’Industria della Difesa
Nella notte del 19 febbraio scorso i rappresentanti di Consiglio, Parlamento e Commissione europei hanno raggiunto un accordo preliminare sul regolamento per il Fondo europeo di Difesa, un progetto che mira a rafforzare innovazione e competitività dell’industria della difesa europea, a sostegno dell’autonomia strategica europea. La fase del negoziato inter-istituzionale, il cosiddetto trilogo, si è conclusa. Adesso il regolamento dovrà essere approvato formalmente da parte di Consiglio e Parlamento europeo per poter entrare in vigore.
I negoziati hanno avuto dei tempi parecchio serrati, soprattutto se si considera che la prima seduta del trilogo si è tenuta a metà gennaio, dopo che Consiglio e Parlamento avevano approvato le proprie proposte rispettivamente a novembre e dicembre. In tal senso, l’aver ripreso molti dei punti già negoziati nell’ambito dello
European Defence Industrial Development Programme (Edidp) ha certamente agevolato il raggiungimento di un compromesso.

Se venisse confermata la proposta della commissione Juncker, il Fondo Europeo per la Difesa avrebbe una dotazione di 13 miliardi per il periodo 2021-2027.
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Una prima conclusione. Quali sono gli obiettivi e le ambizioni di un progetto strategico che prevede il rafforzamento di un complesso militare-industriale europeo e di una politica militare tendenzialmente meno subalterna ad una Nato ancora imbrigliata dall’egemonia Usa?
In primo luogo la competizione globale tra i vali poli imperialisti sul terreno delle tecnologie avanzate dual use; in secondo luogo le ambizioni globali anche degli Stati aderenti all’Unione Europea, possibilmente convergenti tra loro (e il Trattato di Aquisgrana indica la strada), in terzo luogo ricavarsi una propria area di influenza sia rafforzando il controllo sulle ex colonie africane e mediorientali (in particolare quelle francesi) sia nei varchi che le difficoltà dell’egemonia statunitense stanno aprendo in vari teatri; in quarto luogo avere a disposizione tutti gli strumenti per competere con gli altri poli competitori, a tutti i livelli. Quello militare non è mai stato, non è e non sarà mai un dettaglio delle ambizioni egemoniche, anche nell’Unione Europea. Non si capisce perché la sinistra in Europa continui a sottovalutarlo, soprattutto in una fase storica in cui la guerra è tornata ad essere uno strumento che nessuno esclude più nelle relazioni internazionali. Siamo ormai distanti anni luce dall’Unione Europea come “garanzia di pace tra i popoli”. Prima lo si comprende, meglio è.
*Coordinamento nazionale di Potere al Popolo
(sintesi della relazione al convegno di Potere al Popolo del 19 maggio a Pisa su: “Ue, Nato e basi militari. La guerra in casa”)

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