sabato 2 dicembre 2017

Una società piena di “rancore”. Ma và?!

La paura di precipitare in basso nella scala sociale è più forte delle aspettative di mobilità sociale verso l’alto. Secondo l’ultimo rapporto del Censis presentato oggi, è la paura del declassamento il nuovo “fantasma sociale” che inquieta quelli che una volta erano definiti – spesso arbitrariamente estendendoli oltre misura anche alle categorie operaie – i “ceti medi”. 
 
contropiano.org 

Secondo i dati del Censis l’87,3% degli appartenenti al ceto popolare pensa che sia difficile salire nella scala sociale, così come l’83,5% del ceto medio e il 71,4% del ceto benestante. Al contrario temono che sia più facile scivolare in basso il 71,5% del ceto popolare, il 65,4% del ceto medio, il 62,1% dei ceti più abbienti.
Chi ha trovato lavoro in questi anni nella “ripresa dell’occupazione” si trova però o in cima o in basso della piramide professionale. Nel periodo 2011-2016 operai e artigiani sono diminuiti dell’11%, gli impiegati del 3,9%. Le professioni intellettuali invece sono cresciute dell’11,4% ma, all’opposto, aumentano gli addetti alle vendite e ai servizi personali (+10,2%) e il personale non qualificato (+11,9%).

Nell’ultimo anno l’incremento di occupazione più rilevante riguarda gli addetti alla circolazione e alla consegna delle merci (+11,4%) e nella delivery economy. Nella ricomposizione della piramide professionale aumentano dunque le distanze tra l’area non qualificata e il vertice. E se tra il 2006 e il 2016 il numero complessivo dei liberi professionisti è aumentato del 26,2%, quelli che hanno meno di 40 anni sono diminuiti del 4,4% (circa 20.000 in meno). La quota di giovani professionisti sul totale è scesa al 31,3%: 10 punti in meno in dieci anni.
Questa feroce polarizzazione che ha spinto molte persone verso il basso e solo poche verso l’alto, secondo il Censis sta provocando la “società del rancore”.
L’84% degli italiani non ha fiducia nei partiti politici, il 78% nel Governo, il 76% nel Parlamento, il 70% nelle istituzioni locali, Regioni e Comuni. Secondo il Censis “L’onda di sfiducia che ha investito la politica e le istituzioni non perdona nessuno”. Il 60% è insoddisfatto di come funziona la democrazia nel nostro Paese, il 64% è convinto che la voce del cittadino non conti nulla, il 75% giudica negativamente la fornitura dei servizi pubblici. “Non sorprende che i gruppi sociali più destrutturati dalla crisi, dalla rivoluzione tecnologica e dai processi della globalizzazione siano anche i più sensibili alle sirene del populismo e del sovranismo” osserva il Rapporto annuale 2017. “L’astioso impoverimento del linguaggio rivela non solo il rigetto del ceto dirigente, ma anche la richiesta di attenzione da parte di soggetti che si sentono esclusi dalla dialettica socio-politica”.
L’immigrazione poi evoca sentimenti negativi nel 59% degli italiani, in aumento quando si scende nella scala sociale: 72% tra le casalinghe, 71% tra i disoccupati, 63% tra gli operai. Ma questa percezione deve fare i conti con una realtà sociale che vede l‘88,5% dei lavoratori stranieri (1.838.639 persone) occupati come operai, mentre tra gli italiani la quota scende al 41%. Al contrario, solo il 9,9% dei lavoratori stranieri (206.409 occupati) lavora come impiegato, contro il 48% degli italiani. 
La “segregazione professionale”, che costringe gli stranieri in profili prettamente esecutivi, osserva il Censis, emerge anche dal dato sui quadri stranieri, che sono appena 11.618 e rappresentano lo 0,6% del totale dei lavoratori. La percentuale scende ancora per i dirigenti: 9.556 contro i 391.585 italiani.
Si conferma poi il dato secondo cui i lavoratori e le lavoratrici stranieri vanno a coprire segmenti del mercato del lavoro che non attirano e non entusiasmano certo i “nativi”. I rapporti di lavoro avviati nel 2016 mostrano che su 1.881.918 nuove contrattualizzazioni, 520.508 (il 27,7%) riguardano i braccianti agricoli, assunti nella quasi totalità dei casi con contratti stagionali. Seguono l’assistenza alle persone (158.977,l’8,4% del totale) e i collaboratori domestici (123.659, il 6,6%). Agricoltura e lavoro di cura ad anziani, handicappati etc. vedono dunque il prevalere dei lavoratori stranieri.
Dal rapporto Censis si rileva poi che solo l’11,8% degli immigrati che arrivano in Italia è laureato, contro una media europea del 28,5% (ma con una media italiana che precipita al 18%). Nel 2016 il 25,7% delle famiglie straniere è in condizioni di povertà assoluta, quelle italiane sono il 4,4% (5,7% invece secondo l’Istat e si sale al 10,3% in povertà relativa).
A Roma e Milano risiedono circa 990.000 stranieri, poco meno di un quinto del totale nazionale (il 19,7%). In 755 comuni (9,5% del totale), soprattutto periferici, la popolazione nell’ultimo quinquennio è cresciuta unicamente grazie agli immigrati, che hanno compensato la riduzione degli italiani. Ai cittadini extracomunitari appartiene lo 0,4% del totale del patrimonio a uso abitativo del Paese: è extracomunitario solo lo 0,7% dei 31.796.538 proprietari e circa il 20% dei possessori di casa si trova a Milano (41.608 proprietari). Ma la quota di stranieri che acquistano un immobile, conclude il Censis, è più alta nelle provincie più piccole.
Relativamente alla sicurezza e ai reati, questi sono in forte diminuzione ma sono ovviamente più numerosi lì dove girano più soldi. Nel 2016 infatti i reati denunciati in Italia sono stati 2.487.389, l’8,2% in meno rispetto al 2008.
In cima alla graduatoria per numero di reati denunciati troviamo Milano con 237.365 reati (ma in diminuzione del 15,5% rispetto al 2008), Roma con 228.856 (in diminuzione del 3,3% nel periodo considerato), Torino (136.384, -11,7%) e Napoli (136.043, -4%). Se si considera il «peso» della criminalità sul territorio, cioè l’incidenza dei reati sulla popolazione, al primo posto rimane Milano con 7,4 reati ogni 100 abitanti, seguita da Rimini (7,2), Bologna (6,6) e Torino (6,0). Nel breve periodo diminuiscono omicidi, rapine e furti, ma crescono i borseggi, i furti in abitazione, le truffe tradizionali e su Internet. Nel 2016 sono stati denunciati 162.154 borseggi, con un’incidenza media nazionale di 2,7 borseggi ogni 1.000 abitanti e un aumento del 31% dal 2008. Dal 2008 al 2016 le truffe sono cresciute del 45,4% (151.464 nell’ultimo anno).
E’ dunque una società rancorosa quella che la crisi e le misure economico/sociali adottate dai governi degli ultimi dieci anni hanno provocato.
Non è certo una radiografia sociale che desta sorpresa, piuttosto indica ancora una volta come l’alimentazione e le strumentalizzazioni di un problema molto relativo (l’arrivo degli immigrati e la sicurezza) siano in realtà smentiti dai dati materiali.
Colpisce invece l’aumento del disincanto e la sfiducia in tutto ciò che è istituzionale, a rimarcare una divaricazione crescente tra politica e società che quando si esprime elettoralmente ricorre sempre più al “voto per vendetta”, in coerenza perfetta con quella che il Censis definisce come “la società del rancore”.

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