4 dicembre 2016, un anno fa.
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Referendum nel merito delle deformazioni costituzionali (un vero e proprio “attentato alla democrazia”) votate dal Parlamento a suon di colpi di fiducia su proposta del governo Renzi e del PD che puntavano a consolidare il loro “regime”.
In crescita netta, rispetto alle Europee 2014, la partecipazione al voto (58,69% alle Europee, 68,94% al referendum) e altrettanto netta affermazione del NO con 19 milioni di voti su 31 milioni circa di voti espressi.
Un risultato inequivocabile alla cui formazione concorsero diversi elementi: fra questi sicuramente una quota di suffragi espressi in nome della difesa della democrazia costituzionale e del suo impianto complessivo fondato, nella volontà dei Padri Costituenti, sulla centralità del Parlamento composto – sempre nella visione costituzionale – dalla rappresentanza delle più importanti sensibilità politiche presenti nel Paese in forma organizzata (partiti e movimenti).
Da ricordare ancora come, successivamente al voto, la Corte Costituzionale avesse dichiarato illegittime parti fondamentali della legge elettorale che (sempre a colpi di fiducia) lo stesso governo Renzi e lo stesso PD avevano elaborato in piena sintonia con le deformazioni costituzionali respinte dall’elettorato, per completare l’opera di riduzione dei margini di democrazia e consolidare così il proprio regime.
Nel frattempo il governo Renzi si era dimesso e sostituito da quello Gentiloni, costruito in scia con la sola accortezza di proporre una sorta di “low profile”.
Governo Gentiloni che, sulla questione più importante che si trovava di fronte riguardante il tema dei migranti, non ha fatto altro che attuare il programma della destra promuovendo (attraverso l’elargizione di soldi pubblici italiani) un’azione di respingimento in mare e a terra da parte dei capi tribù libici nei confronti delle masse di disperati che risalgono l’Africa in fiamme per cercare rifugio in Europa.
Torniamo però al post – referendum e alle questioni di carattere istituzionale.
A un anno di distanza dalla vittoria del “NO” è stata forse fornita una risposta a quanti, molto numerosi, votarono in quell’occasione in favore del ritorno della democrazia costituzionale?
Direi proprio di no.
Prima di tutto non si è verificata, a sinistra, una seria riflessione sul significato di quel voto e sull’esigenza che all’interno di esso sicuramente si riscontrava, di adeguamento di soggettività: su questo piano abbiamo verificato soltanto il concretizzarsi di una scissione del PD, attuatasi meramente in chiave politicista e in funzione elettorale di riproposizione di un ceto politico.
In secondo luogo le forze politiche parlamentari hanno del tutto disdegnato il senso di quella porzione di voto accordandosi per varare la peggior legge elettorale della storia della Repubblica.
Una legge elettorale che non garantisce né rappresentanza né tanto meno l’agognata (da loro, sia ben chiaro) governabilità e che presenta almeno altri due punti di incostituzionalità palese:
1) ancora una volta le liste bloccate (“corte” per perpetrare meglio l’inganno) che accompagnate dai collegi uninominali con i candidati “paracadutati” alla fine porteranno a un Parlamento composto almeno per il 75% da nominati a tavolino;
2) in secondo luogo la “spalmatura” dei voti riportati dalle liste attestatesi tra l’1% e il 3% sui voti riportati dalle liste maggiori, mette seriamente in discussione la possibilità di esprimere un “voto personale” come esplicitamente indicato dalla Costituzione.
Seri dubbi, inoltre, stanno sorgendo sulla composizione delle circoscrizioni elettorali: tasto delicatissimo e assolutamente decisivo al fine di determinare l’effettiva composizione del Parlamento.
Al riguardo dei profili di incostituzionalità appena citati l’unica replica è venuta dal solito gruppo di coraggiosi avvocati già protagonisti della bocciatura, in sede di Consulta, di Porcellum e Italikum che hanno immediatamente proposto ricorso. Non ci sarà risultato, naturalmente, in precedenza al prossimo turno elettorale e qualora ci fosse in seguito sarebbe ancora una volta amaro constatare l’ennesima occasione di supplenza della Magistratura rispetto alla cosiddetta “politica”.
In sostanza, sul piano delle prospettive della dinamica politica, la prossima tappa sarebbe quella di un voto che si realizzerà in modi e forme del tutto contrari alle indicazioni di costituzionalità che nel “NO” del 4 dicembre 2016 avevano trovato sicuramente ampio spazio d’espressione.
In queste condizioni sarà difficile che sarà confermato il 70% di partecipanti al voto e sicuramente per coloro che il 4 dicembre ripresero l’abitudine a esprimersi non paiono esserci attorno stimoli minimamente adeguati per ripetere l’impresa.
Intanto PD, M5S, centro – destra si occupano di fake – news che sicuramente non rappresentano la priorità della vita quotidiana delle lavoratrici, dei lavoratori, dei disoccupati, delle pensionate e dei pensionati.
La sola risposta possibile alla richiesta di democrazia costituzionale appare quindi essere quella solita dell’autoreferenzialità conservativa e della produzione di immagine. Quanto di più negativo, alfine.
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