sabato 9 dicembre 2017

Polveriera Ostia. Come si è arrivati alla situazione attuale? L’analisi del sociologo Maurizio Fiasco.

Di Ostia, il quartiere marino di Roma, in realtà una città oltre la città, oggi si parla soltanto in termini di cronaca nera. Gravi episodi di violenza criminale hanno monopolizzato l’attenzione dei media e, quindi, dell’opinione pubblica. Ma se è doverosa e urgente una risposta in termini di ordine pubblico, il rischio è di inchiodare una realtà di oltre 200mila abitanti a un cliché che finisce paradossalmente per favorire la criminalità mafiosa. A esprimere questa preoccupazione è il sociologo Maurizio Fiasco, da oltre trent’anni studioso dei problemi della sicurezza, nonché docente nei master di varie università e presso la Scuola superiore di Polizia. “Il cittadino – spiega al Sir – rischia di essere schiacciato dal discredito per il solo fatto di vivere in quel luogo. Allo stesso tempo, se tutta una comunità viene indiscriminatamente giudicata come omertosa e quasi complice, da un lato si fornisce una giustificazione al disimpegno delle istituzioni e dall’altro si trasferisce forza alla malavita che diventa l’elemento caratterizzante di quella comunità”.
Bisogna stare molto attenti a non “sovrastimare la forza della malavita” perché osserva Fiasco anche questo “può diventare un alibi per non fare”. E qui il sociologo cita Falcone quando affermò che la mafia era, comunque, un fenomeno umano e non un’entità immortale.

Ciò di cui Ostia ha più bisogno non sono misure eccezionali, ma “servizi quotidiani che creino un rapporto di fiducia con i cittadini”. Scuole, ambulatori, trasporti, certamente anche commissariati e stazioni dei carabinieri. “E chi si dà da fare in positivo, nelle istituzioni come nella società civile, deve avere dall’alto legittimazione e sostegno e non sentirsi isolato”.

Ma come si è arrivati all’attuale situazione di Ostia? Difficile trovare qualcuno che possa spiegarlo con più competenza di Fiasco, non solo per la pluridecennale esperienza di analista sociale, ma anche per un aspetto biografico che lui stesso ha raccontato in un intenso articolo su Avvenire: nel 1974 suo padre andò a insegnare in una scuola di Nuova Ostia, proprio la zona al centro delle cronache delle ultime settimane.
Innanzitutto il “caso” Ostia va inquadrato nella più ampia problematica dei litorali. “Fatta eccezione per le regioni in cui la fascia costiera è presidiata da un uso ben delineato e tradizionale – sottolinea Fiasco – tutti i litorali presentano dei caratteri di instabilità e faticano a pervenire a un’identità urbana di qualità”. Incidono in questo senso le variazioni della popolazione, sia quelle stagionali che quelle migratorie, ma anche “le oscillazioni dei valori dei terreni molto legate alla discrezionalità del potere amministrativo e una più rarefatta dislocazione dei servizi istituzionali”. Un quadro che ritroviamo a Ostia insieme alla specificità della sua storia. Fiasco snocciola date, numeri, leggi. È una storia complessa, qui la si può solo sintetizzare per grandi linee.
L’area di Ostia presenta tre componenti. C’è quella originaria, che risale a prima della guerra, e che “è stata concepita secondo un disegno organico”. Poi c’è quella che il sociologo definisce “una superfetazione”, Nuova Ostia appunto, nata all’inizio degli anni Settanta quando il Comune di Roma decide di eliminare i “borghetti” e di trasferire in blocco i “baraccati” negli immobili costruiti sul litorale, acquistati dai “palazzinari” che li avevano costruiti talvolta anche abusivamente. I “borghetti” erano per lo più popolati da gruppi arrivati a Roma nella grande immigrazione regionale del dopoguerra – campani, siciliani, calabresi, ma anche marchigiani e tantissimi abruzzesi – al cui interno c’erano inevitabilmente anche elementi malavitosi. Ma è la concentrazione di almeno 5mila persone in un contesto desolato e privo di urbanizzazione a far esplodere i conflitti e a rendere più aggressive le componenti criminali, che lottano per avere l’egemonia e diventare esse stesse il connotato identitario dell’abnorme insediamento. In questa dinamica Fiasco individua una sorta di “lievito” negativo nell’arrivo a Roma, verso la fine degli anni Sessanta, delle bande di marsigliesi che introducono nella Capitale la pratica delle rapine e dei sequestri di persona. Un filone che conduce fino a quei gruppi criminosi noti sotto il nome sintetico di “banda della Magliana” e ai loro comprovati legami con il terrorismo nero e con le mafie “tradizionali”, che erano penetrate nella realtà romana anche attraverso le migrazioni interne.
Il discorso delle migrazioni interne ci porta alla terza componente dell’area di Ostia: l’entroterra costituito da borgate fortemente regionalizzate. Insediamenti abusivi almeno sino alla fine degli anni Settanta, quando una variante al piano regolatore determina una colossale sanatoria e il cosiddetto “piano Acea” porta nell’area acqua, fognature ed elettricità. Il che attribuisce repentinamente un valore significativo a immobili che fino a quel momento ne erano privi e crea le condizioni per la creazione dei patrimoni di gruppi familiari che, visti i risultati ottenuti, tendono a replicare il modello dell’abusivismo. Fiasco rileva che in questa situazione si sviluppa
“una funzione inedita della malavita: fare da banca informale per gli investimenti di carattere immobiliare”.
Investire a Ostia diventa un’importante modalità di riciclaggio per i gruppi criminali di diversa natura e provenienza, che trovano terreno fertile per esercitare le loro attività illecite in un’area cresciuta “senza un disegno organico di presìdi amministrativi efficienti e di infrastrutture di sicurezza adeguate alla specificità del territorio”. Un quadro aggravato dalla fine del ruolo aggregativo e rappresentativo dei partiti di massa. Tutte criticità che indicano allo stesso tempo le leve da azionare oggi per liberare Ostia da chi vorrebbe tenerla in ostaggio dei propri interessi criminali e di potere.

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