domenica 3 dicembre 2017

Nomofobia: l’intollerabile paura di essere scollegati dallo smartphone

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Risultati immagini per usare lo smartphone fa maleUno studio condotto nel 2008 in Inghilterra su un campione di oltre duemila persone riportava che il 53% di loro provava uno stato ansioso quando smarriva il cellulare, esauriva la batteria o il credito residuo o non aveva copertura di rete. Più della metà delle persone citavano il bisogno di tenersi in contatto con amici e familiari come causa principale dello stato ansioso.
Lo studio Mobile Consumer Habits (2013) sostiene che gli americani sono ormai tutti dipendenti dal proprio smartphone. Il 72% degli intervistati usa il proprio telefono durante i viaggi sui mezzi pubblici, il 35% lo utilizza al cinema, il 33% durante un appuntamento o una cena importante, il 32% degli studenti lo utilizza durante le lezioni mentre il 19% non ci rinuncia nemmeno in Chiesa. Il 9% degli americani usa il proprio smartphone anche durante un rapporto intimo ed il 12% ammette di utilizzarlo perfino sotto la doccia.
Un’indagine svolta nel 2016 in Italia da SOS telefono azzurro, su un campione di 600 ragazzi di età compresa tra i 12 ed i 18 anni, ha evidenziato che il 17% degli intervistati dichiarava di non sapersi separare dal proprio smartphone.
Il 21% del campione riferiva di alzarsi di notte per controllare eventuali messaggi sui social network ed il 78% di chattare su Whatsapp in maniera praticamente continuata.
L’anno 2014 ha segnato, in Italia, il record del numero di incidenti stradali rispetto agli anni precedenti. Secondo dati Aci ed Istat riferibili al 2014, il 20,1% degli scontri automobilistici è provocato da distrazioni dovute all’uso dello smartphone. E’ la prima causa di incidente in Italia.
Nel 2015, sempre in Italia, le multe per utilizzo di apparecchi elettronici durante la guida sono aumentate del 26%.
Come si può provare a spiegare un fenomeno tanto diffuso?
Dal 2008, a seguito dello studio inglese citato ad inizio articolo, è stato introdotto il termine Nomofobia, abbreviazione del termine No-mobile phobia, allo scopo di descrivere quel qualcosa traducibile, nei fatti, come la paura di essere scollegati. Il concetto di scollegamento, ora accennato, è indissolubilmente legato alla principale caratteristica strutturale del mondo web, la rete interconnessa; il suffisso utilizzato per accedere alle pagine internet, www, letteralmente significa world wide web cioè rete dell’intero mondo.
Essere connessi in internet, nelle sue svariate forme, assicura comunicazione, raggiungibilità, visibilità, presenza in ogni momento e permanenza della testimonianza di sé. Da un punto di vista fisiologico lo psichiatra statunitense David Greenfield sostiene che l’attaccamento allo smartphone sia molto simile a tutte le altre dipendenze in quanto causa delle interferenze nella produzione della dopamina, il neurotrasmettitore che regola il circuito cerebrale della ricompensa. In poche parole ogni volta che vediamo apparire una notifica sul cellulare sale il livello di dopamina, perché pensiamo che ci sia in serbo per noi qualche cosa di nuovo e interessante. Il problema è che non possiamo sapere in anticipo cosa accadrà, così si ha l’impulso di controllare in continuazione il telefono.
Da un punto di vista diverso, eminentemente psicologico, Gregory Bateson afferma, come già accennato in un precedente articolo, che ciò che genera una dipendenza sia l’interazione tra il soggetto, l’oggetto (attività o sostanza) ed il contesto all’interno del quale l’interazione si verifica. In altre parole ciò che vincola la persona alla ripetizione dell’esperienza (come l’uso dello smartphone) o dell’uso della sostanza è il significato personale attribuito dal soggetto all’esperienza stessa; come la presenza di quella esperienza o sostanza riesca a farmi sentire meglio e migliore rispetto alla sua assenza.
Nel caso della Nomofobia, e di conseguenza parlando di un uso addictive dello smartphone, il significato personale da ricercare, a mio modo di vedere, attiene marcatamente alla dicotomia collegamento/scollegamento. Essere collegati significa poter essere sempre in presenza dell’altro, annullando in modo magico i confini spazio-temporali che da sempre regolano le relazioni tra esseri umani. Di Gregorio (2003) sostiene che la funzione del telefono, da un punto di vista affettivo e relazionale, sia sostanzialmente quella di un regolatore soggettivo della distanza e di un moderatore della separazione.
Quando si parla di separazione non ci si riferisce tanto a una distanza fisica, ma sostanzialmente “all’intollerabile distanza sentimentale, al sentimento della mancanza che origina dalla perdita di contatto diretto con l’altro”. L’ipotetica reperibilità continua e costante regola le nostre relazioni. Le plasma rasserenandoci rispetto alla presenza dell’altro. L’assenza non si percepisce come tale; posso chiamarti e vederti quando voglio. Stabilisce nuovi registri comunicativi basati sulla assenza; se hai il cellulare spento significa che non mi vuoi sentire, vedere, cercare, stare con me, amare. Ti odio e cambio numero. Essere collegati permette di sperimentare al soggetto la sensazione di permanenza all’interno di un gruppo, la rete, percepita allo stesso tempo sia come gruppo di appartenenza (le mie relazioni) sia come Gruppo globale (le persone che potrei conoscere, le mie relazioni future).
I media utilizzati, qui lo smartphone, permettono di poter sperimentare la certezza di qualcuno sempre in ascolto rispetto ai miei bisogni, che sono sempre immerso in una rete di relazioni che possono, in via teorica ed immaginativa, soddisfare le mie esigenze. Psicologicamente, ed evocativamente, ci avviciniamo al concetto winnicottiano di madre sufficentemente buona, attenta alle mie esigenze, sempre pronta al sostegno quando ne sento il bisogno. Il grande successo di questo media (l’Italia è tra l’altro il paese con il maggior numero di telefonini d’Europa, più di uno per abitante) si inserisce in tale solco.
Usando termini mutuati da John Bowlby, si sta parlando del bisogno di sentirsi sicuri, amati, voluti, protetti, del bisogno di non sentirsi soli e quindi indifesi. Al contrario la società in cui viviamo oggi, da Bauman denominata liquida, è sempre più frenetica, mutevole, incostante, spesso spaventante e troppo frequentemente incapace di cogliere quelle che sono le esigenze ed i bisogni di sicurezza ed affiliazione del singolo. Il successo, e la naturale deriva problematica per alcuni, dell’utilizzo dei nuovi media si colloca all’interno di questa dicotomia. Da una parte il bisogno primario di sicurezza, biologico, genetico, istintivo, concretizzato nello stare con l’altro, dall’altra una società in continua evoluzione dove le certezze personali, lavorative e relazionali (tasso di disoccupazione alle stelle, povertà, difficoltà di programmare un progetto di vita, condizioni di vita spesso alienanti, divorzi e separazioni sempre più frequenti, ecc..) vengono messe continuamente in discussione.
Rileggendo quanto scritto mi accorgo di avere solo accarezzato la complessità dell’argomento.
Pur non avendo pretesa di esaustività spero tuttavia di esser riuscito ad incuriosire il lettore proponendo una chiave di lettura su un fenomeno complesso e sfaccettato che, in misura differente, coinvolge tutti noi.

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