Finalmente ce l’hanno fatta: la classe media, in Italia, non c’è più.
Morta.
Sterminata.
Sepolta.
Kaputt.
Quella che era stata vanto e conquista della ripresa economica del dopoguerra, che ci aveva fatto assegnare, nel 60, addirittura un Oscar alla migliore moneta del Continente, che aveva salvato l’Italia dalle molte tentazioni golpiste degli anni 70. In una parola, la neonata piccola borghesia urbana ha cessato definitivamente di esistere.
Pensare che erauno dei miracoli economici del continente europeo, come lo definì il Daily Mail, riferendosi alla nostra economia del boom. Invece, l’ultimo rapporto annuale Istat ha suonato le sue campane a morto: ad avere cessato di esistere è la piccola borghesia, quella che del boom era stata il motore e la benzina al medesimo tempo. Nel 1964, il reddito nazionale netto era aumentato circa del 50% rispetto agli anni precedenti. Il futuro appariva radioso, per sé e per i molti figli che si mettevano al mondo. La speranza era un’automobile (nel ’64 arrivarono a circolarne 5 milioni), una tv, ma per i propri eredi anche una laurea ed un lavoro migliore di quello dei propri genitori, una condizione irrefrenabilmente sempre più benestante.
La doccia fredda del rapporto annuale dell’Istituto di statistica non lascia scampo. Per la gioia di liberisti e turbocapitalisti, il salto sociale non esiste più. Chi fa il barbiere, avrà un figlio barbiere, chi avvocato, avvocato, chi miliardario, miliardario. Classi rigide che manco le caste indiane. E non basta certo la sporadica eccezione di qualche genio inventore di app per cambiare le cose. Oggi l’Italia è finalmente un paese di macroscopiche diseguaglianze economiche proprio come gli Usa (che bel modello) e sarà molto difficile che un figlio possa ambire a guadagnare più del proprio padre o della propria madre.
Grazie alle ultime sagaci riforme del mercato del lavoro, sono scomparse le professioni intermedie, aumentati i lavori non qualificati. Il lavoro precario ha ucciso le competenze. È aumentata soprattutto la ricchezza macroscopica di pochissimi e la povertà insopportabile di moltissimi: abbiamo un milione e 600mila famiglie in povertà assoluta, il 28,7% a rischio di povertà o di esclusione sociale.
La vergogna per questo stato di cose dovrebbe essere un peso costante sulla coscienza della nostra classe dirigente (“classe digerente” secondo il geniale, immortale Raffaele La Capria) e invece i più tra loro si compiacciono del disastro sociale cui contribuiscono, sentendosi tutti grandi liberisti alla Milton Friedman. Il paradosso dell’Italia del 2017 è che oggi – a parte quell’1% che possiede il 25% della ricchezza nazionale – i privilegiati sono i pensionati. I loro assegni contribuiscono al 20% della disuguaglianza sociale (nel 2008, all’inizio del governo Berlusconi III, la percentuale era al 12%).
Inutile ricordarci allora che i non più giovani non se ne vanno di casa fino a 35 anni. Se oltre otto milioni e mezzo di persone vivono ancora con mamma e papà, qualche domanda a livello politico bisognerebbe porsela. Ma naturalmente per i privilegiati, al contrario, va sempre meglio. La sincronicità gioca brutti scherzi e negli stessi minuti in cui l’Istat decretava il De Profundis per la nostra società, ecco guizzare sui siti il faccione festante di Marchionne. E ti credo. La collega Vittoria Puledda ha calcolato che il numero uno di Fca entro la fine del 2017 potrebbe aggiudicarsi la prima parte di un bonus obiettivi ammontante a circa due milioni 800mila euro, l’equivalente dello stipendio annuale di mille e cento operai della sua azienda. Non è l’unico, naturalmente, ma di quelli vicino a noi senz’altro il caso più eclatante.
Avete ancora voglia di fare figli? Se siete Marchionne probabilmente sì, ma se siete un italiano medio sicuramente no. Non meraviglia allora la crisi della natalità che quest’anno ha raggiunto un nuovo record: un dato che non si registrava dalla metà del 500, quando c’era la peste, non esistevano i vaccini ma la popolazione era un quinto rispetto a quella odierna. La diseguaglianza – per dirla insieme alla Boldrini – non è più allora solo un problema etico (e sarebbe già drammatico). È anche un problema economico.
Perché se si continuerà a concentrare la ricchezza nelle poche, solite mani, chi consumerà più?