venerdì 5 maggio 2017

Agricoltura e Salute. Da dove viene la farina che mangiamo?

Il grano dorato, la farina, la pasta, il pane: ciò che per millenni ci ha nutrito e sostenuto oggi sembra avvelenarci ed essere causa di allergie, intolleranze, malattie autoimmuni, infiammazioni. Come è successo? E cosa c'è davvero dietro i prodotti made in Italy? Ce lo spiega Gabriele Bindi, autore di un libro sui grani antichi 
 
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Il grano dorato, e ciò che ne deriva, la farina, la pasta, il pane. Ciò che per millenni ci ha nutrito e sostenuto oggi sembra avvelenarci ed essere causa di allergie, intolleranze, malattie autoimmuni, infiammazioni. Come si è trasformata una tale ricchezza in una relazione "tossica"?
Lo abbiamo chiesto a Gabriele Bindi, autore del libro "Grani Antichi, Una rivoluzione dal campo alla tavola, per la salute, l'ambiente e una nuova agricoltura" (pagina Facebook facebook.com/librograniantichi, Terra Nuova Edizioni, prezzo 13,60 euro, terranuovalibri.it). Gabriele Bindi si occupa dal 2001 di ecologia e sostenibilità, collaborando con enti pubblici e privati sulle buone pratiche, è divulgatore e formatore e anche un assiduo panificatore con farine da grani antichi.
Bindi ha raccolto dati scientifici e intervistato medici, nutrizionisti, agronomi, genetisti, e, soprattutto, condotto un'indagine tra le persone che effettivamente coltivano e lavorano i grani antichi. Tutto per fare luce su quello che è un aspetto trascurato, ma non trascurabile, e inquietante della nostra alimentazione: il consumatore non sa cosa sta mangiando, da dove viene il grano che sta assumendo, quali e quanti sono i grani che vengono prodotti in Italia.
"Siamo tra i principali consumatori al mondo di pane e pasta, ma non sappiamo da dove viene la farina usata per produrli" ci spiega Gabriele Bindi "il 60% circa della pasta che compriamo, infatti, viene fatta con grano straniero e il 75% del grano tenero sul mercato è d'importazione."
Perché ci fa male oggi il grano? "Perché non è più quello di un tempo. Dagli anni sessanta in poi è stato profondamente cambiato e selezionato, a cominciare dalla struttura proteica. Da allora si coltiva grano che permetta di aumentare le rese agricole, grazie all'uso di fertilizzanti ed erbicidi, e che sia il più adatto alle esigenze dell’industria che lo trasformerà". Il risultato è che mettiamo in tavola prodotti a base di grano con un glutine più forte e difficilmente digeribile, mentre i contadini sono sempre più dipendenti dalle multinazionali per l’acquisto del seme, dei concimi chimici, degli erbicidi e degli antiparassitari. Si trovano ad acquistare insieme i semi e il kit per trasformare il terreno per accoglierli nel modo migliore. Studi universitari condotti dagli atenei di Firenze e di Milano esplorano la ricchezza nutrizionale dei grani antichi che hanno più antiossidanti, meno tossine, meno frammenti tossici di proteine con effetti di riduzione dell'infiammazione e del colesterolo".
"Il nostro made in Italy è solo di facciata, perché anche per la produzione di pasta si usa grano straniero, spesso ben irrorato di pesticidi" continua Gabriele Bindi "eppure, per fortuna, siamo in un periodo in cui c'è una grande curiosità verso questi frumenti. Le persone hanno il desiderio di cambiare qualcosa del loro stile di vita, così c'è il rischio che la domanda superi l'offerta e che vengano messe in atto pure operazioni di marketing dalle aziende più grandi. Questo è un motivo in più per cercare di accorciare le filiere e tornare a una produzione locale del pane. Recuperare i grani antichi e valorizzare la filiera corta non significa tornare a un passato mitologico, ma è guardare al futuro, rispettando la terra e dando la giusta dignità e remunerazione ai coltivatori. Per fare questo c'è bisogno di sfuggire dalla logica delle multinazionali, di adottare metodi di coltivazione meno produttivi, ma alla lunga più efficienti e sostenibili. Bisogna permettere ai contadini di coltivare e scambiarsi i propri semi". Si tratta, insomma, di mettere in atto una piccola, grande rivoluzione".

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