venerdì 3 giugno 2016

Migranti. Carlotta Sami, portavoce Unhcr sul naufragio nel Mediterraneo: "Sono foto di una guerra, vanno mostrate".

“Mi sembrano le foto scattate dopo un duro combattimento durante una guerra. Sono incredibili”.

Carlotta Sami, portavoce dell’Unhcr, agenzia dell’Onu che si occupa di rifugiati, fa fatica a togliere lo sguardo dallo schermo dell’Ipad. Oggi è a Trento al Festival dell’Economia per partecipare a un panel con Federico Soda, direttore dell’ufficio di coordinamento per il mediterraneo dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni, proprio sull’emergenza migranti. Ma al panel purtroppo ci arriverà con negli occhi le terribili immagini dei corpi che il mare ha restituito alla terra, lì stesi sulle spiagge libiche, come se stessero dormendo dopo una lunga traversata. Foto che testimoniamo l’ennesimo naufragio di questi giorni. Lo sguardo è pieno di compassione, ma allo stesso tempo tradisce l’amarezza di una visione quotidiana mista a impotenza.
“Sono foto che vediamo oramai da anni: noi spesso ci interroghiamo sull’opportunità di farle vedere. Da una parte se non si fanno vedere le persone non prendono coscienza, dall’altra c’è però il rischio di assuefazione. Ma alla fine io credo che vadano mostrate: è bene che vengano pubblicate perché queste cose accadono veramente, è come se noi morissimo su quelle barche, e come se noi morissimo su quelle spiagge”.

Trova un nesso con questa foto e quello del piccolo Aylan? Sembra quasi che da allora non sia cambiato nulla.
“Dopo Aylan sono morti centinaia e centinaia di bambini. La situazione è certamente peggiorata: quest’anno siamo a già oltre 2.500 morti fra adulti e minori, nello stesso periodo l’anno scorso eravamo arrivati a 1.800, quindi sono già 700 in più. E’ un continuo, è una corsa contro il tempo. Queste morti sono l’effetto di problemi che non sono risolti a monte: servono soluzioni, ma il problema è che sono complesse e soprattutto dovrebbero essere messe in pratica in tempi brevissimi. Purtroppo i tempi della politica non sono così veloci”.
La politica, appunto. Per il cardinale Angelo Scola l’Onu e l’Unione europea hanno fallito. Serve un piano Marshall a guida italiana. Cosa ne pensa?
“Sono d’accordo sulla parte propositiva dell’intervista di Scola, sono d’accordo sul piano Marshall, cioè un progetto mondiale per individuare soluzioni a una crisi che è mondiale”.
Come potrebbe svilupparsi questo piano?
“Dovrebbe agire su tre livelli. Prima di tutto dovrebbe aprire degli spazi umanitari per i Paesi in guerra, come la Siria, dove ci sono città e villaggi rimasti esclusi dagli aiuti. E ovviamente in parallelo individuare percorsi di risoluzione dei conflitti. Poi, in seconda battuta, bisogna aiutare i Paesi vicini a quelli in guerra, come Kenya, Niger, Libano, Giordania e via dicendo. Il terzo pilastro è aprire vie legali, regolari, per alcuni di questi rifugiati per portarli via da questi Paesi: penso alle riunificazioni familiari. Solo 70mila persone dei 60 milioni di rifugiati vengono portati in luoghi sicuri”.
Sta parlando dei corridoi umanitari?
“Sì in Italia vengono chiamati così”.
E’ d’accordo con la parte propositiva dell’intervista di Scola, ma che pensa della forte critica a Onu e Ue?
“Sono d’accordo, ma i due piani sono distinti”.
Partiamo dall’Onu, allora…
“Al Consiglio di sicurezza siedono i leader delle potenze mondiali, che non riescono a portare la pace nei Paesi in guerra. La maggior parte dei conflitti sono interni, quindi servirebbe una maggiore capacità di negoziazione da parte della comunità internazionale. I rifugiati di oggi, infatti, sono il risultato di conflitti che si sono continuati a moltiplicare come ad esempio in Afghanistan, dove il 2/3 del Paese è insicuro. Ma anche la Siria e la Libia sono delle polveriere, dove la pericolosità della situazione non impatta solo sull’Europa ma anche sui Paesi vicini come il Niger e il Mali. La comunità internazionale non è riuscita assolutamente a trovare una soluzione e questo è un problema”.
Invece l’Europa?
“Il piano europeo non sta funzionando. Sui ricollocamenti c’è un’eccessiva lentezza burocratica da parte dei Paesi che dovrebbero accogliere i rifugiati. Oggi c’è questa buona notizia che la Francia accoglierà 400 siriani al mese: se questo meccanismo avesse funzionato da subito, con i 126mila ricollocamenti previsti, si sarebbe evitato il caos che c’è stato in Grecia”.
Ma l’Europa accusa l’Italia di non aver creato sufficienti hotspot…
“L’Italia si è conquistata un certo rispetto a livello europeo in questi anni. Ci sono le spinte di alcuni Paesi ad alzare la tensione, ma le istituzioni europee sanno benissimo qual è l’impegno italiano. Poi che significa hotspot? Hotspot non è luogo fisico, ma una procedura, un meccanismo di identificazione dei rifugiati”.
Oggi il Viminale ha promesso l’apertura di tre nuovi hotspot, in Puglia, Sardegna e Calabria.
“Erano già previsti e ora verranno aperti. Più in generale c’è bisogno di avere queste procedure d’identificazione subito, lì dove ci sono gli sbarchi. Se questo flusso di migranti si mantiene ai livelli di questi giorni allora servirebbe un hotspot in ogni porto dove arrivano i barconi”.

Anche perché ultimamente ad aggravare il problema è l’arrivo di tanti bambini e ragazzi.

“Quest’anno abbiamo registrato un aumento del 170% degli sbarchi di minori rispetto allo scorso anno. Spesso finiscono nei centri di accoglienza insieme agli adulti, ma ciò non va bene: bisognerebbe aumentare i posti dedicati esclusivamente a loro. Siamo preoccupati dalla presenza di così tanti minori: gli altri anni costituivano il 10% degli arrivi, qui siamo arrivati ben oltre. Moltissimi sono eritrei, egiziani, anche molto piccoli, 11-12 anni. Ciò fa pensare al fatto che dietro ci sia una rete criminale di sfruttamento”.

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