Nigel Farage, il leader dell’Ukip, il partito euroscettico della destra britannica, ha dichiarato che la vittoria del ‘No’ all’Unione europea segna l’alba dell’indipendenza britannica, “our independence day”.
Loretta Napoleoni Economista
Ma si potrebbe aggiungere che la Brexit
potrebbe diventare l’alba del nuovo ordine mondiale, dove confini,
istituzioni e persino monete cessano di esistere e vengono rimpiazzate.
Partiamo proprio dal Regno Unito, il vecchio impero britannico, dove è in atto una frenetica raccolta di firme per invalidare il referendum. La Scozia
che nel 2014 aveva votato contro l’indipendenza, che a sua volta
avrebbe dissolto l’unione del 1707 con l’Inghilterra, ha votato per
rimanere nell’Eu. Adesso i politici scozzesi vogliono rifare il
referendum per abbandonare questa unione e rimanere in quella europea.
L’Irlanda del Nord, i cui abitanti hanno combattuto per
secoli i colonizzatori inglesi hanno anche loro votato contro la
Brexit. Adesso si pone il problema del confine con la Repubblica irlandese, che appartiene all’Unione Europea, confine che è aperto; l’uscita del Regno Unito ne implicherebbe la chiusura. Gibilterra,
che appartiene alla corona britannica dal 1714 quando la conquistò
dagli spagnoli, ha anche lei votato per rimanere nell’Unione Europea e la Spagna ha già minacciato di annetterla a seguito della vittoria della Brexit.
Ancora più complessa la situazione in Europa a causa del contagio che distruggerebbe i principi
sui quali è nato il sogno europeista: il libero movimento dei
lavoratori e delle merci per evitare l’ennesima guerra nel vecchio
continente. Un progetto costruito dai sopravvissuti alla seconda guerra
mondiale ma che da anni è gestito da una classe di euro-burocrati non eletti e quindi poco sensibili ai bisogni e sentimenti dei 500 milioni di cittadini europei.
La paura di tutti e’ il contagio! Come lo era nel 2010 e nel 2011, ma questa volta minacciare di chiudere i rubinetti della liquidità, come avvenne con la Grecia, non funzionerà. L’elettorato è stanco e sfiduciato e vuole cambiare, e dato che non può mandare a casa il presidente della Commissione Junker o chi ne fa parte, esprime il proprio scontento come può, ad esempio votando per la Brexit o per i partiti anti-europeisti.
Oggi si vota in Spagna e una vittoria del partito anti austerità Podemos confermerebbe questa analisi, e cioè il dilagare del risentimento anti Bruxelles
che ha prodotto la Brexit. E’ questa, ahimè, una tigre che la destra
europea cavalca da anni e che ora sfrutta a suo vantaggio e che i
partiti di centro o progressisti, fatta eccezione di Podemos e di una
parte dei laburisti britannici, non vogliono toccare. E così l’euroscetticismo diventa sinonimo di fascismo ed invece di guidare un processo di riforme istiga alla rottura.
A poche ore dalla Brexit, Marine Le Pen,
considerata la candidata di punta per le prossime elezioni
presidenziali francesi, ha dichiarato che anche la Francia deve lasciare
l’Unione perché questa istituzione ha fatto salire la disoccupazione ed
aperto le porte a “orde di migranti”. Le ha fatto eco Geert Wilders,
voce di punta della destra ultraconservatrice olandese e probabile
futuro primo ministro olandese. Geert ha promesso che, se il prossimo
marzo vincerà le elezioni politiche, proporrà anche lui un referendum
per il Nexit, l’uscita dell’Olanda dall’Unione. Secondo
i sondaggi il 54 per cento degli olandesi vuole questo referendum.
Anche in Italia il partito separatista Lega Nord ha
proposto il referendum, che siano gli italiani a decidere se restare o
andarsene dall’Unione non il governo di un primo ministro non eletto.
Naturalmente, il Frexit, Nexit o Itexit presenterebbero un problema addizionale serissimo: come gestire l’uscita dall’euro?
Tecnicamente parlando questo non è possibile. Mentre secondo l’articolo
50 del trattato di Lisbona una nazione può ipoteticamente decidere di
uscire dall’Unione, questa opzione non esiste per chi ha aderito alla
moneta europea comune. Morale: l’euro potrebbe semplicemente implodere con conseguenze disastrose per tutti.
Un’occhiata all’andamento delle borse di venerdì 24
giugno mette in guardia contro un nuovo crollo di dimensioni epocali. E
questa volta non sarà facile evitare il peggio perché le banche
centrali e gli stati non dispongono della liquidità sufficiente per
arginare la discesa dei listini, certo possono usare le presse e
stampare carta moneta, cosa che già fanno, ma il pericolo è l’iper-inflazione nel momento in cui crolla la fiducia della popolazione nella moneta.
Nelle prossime settimane sapremo se davvero la Brexit ha fatto esplodere la bolla finanziaria e quella immobiliare,
se ha finalmente mostrato al mondo che l’economia dal 2007 e 2008 non
si è ripresa, ma ha continuato a sopravvivere grazie a una serie di manovre eccezionali,
tra cui i tassi d’interesse a zero o negativi, che non possono
perdurare in eterno. A quel punto bisognerà rimboccarsi le maniche e ricominciare da capo su tutti i fronti come avvenne dopo il 1929.
La colpa è degli inglesi?
Assolutamente no, la colpa è di un sistema economico, politico e
finanziario che fa acqua da tutte le parti e che va cambiato. Le borse
che sono letteralmente crollate venerdì sono quelle dei paesi della
periferia, Milano e Madrid si sono contese la maglia nera. Gli indici di borsa
di queste nazioni non riflettono lo status dell’economia nazionale.
L’appartenenza all’EU li inflaziona. Ma è un’illusione, basta farsi un
giro in Grecia. Essere membro dell’Unione non dà
accesso alla ricchezza dell’Eurozona perché non esiste l’Eurobond ma
anche perché questa ricchezza non esiste in termini fiscali. Draghi stampa carta straccia.
Ed ecco spiegato perché l’uscita della seconda economia dall’Unione,
che contribuisce al netto 8 miliardi di sterline l’anno, fa crollare
Piazza Affari di oltre 12 punti percentuali.
Come nel film Independence Day,
dunque, è possibile che dalla prossima settimana si debba ricominciare a
ricostruire tutto iniziando dalla rimozione delle rovine. Se questo è
ciò che dobbiamo fare allora iniziamo a pensare ad un futuro diverso,
più consono al mondo di oggi.
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