mercoledì 18 maggio 2016

Turchia. Censurati 100 mila siti, via l’immunità ai deputati curdi.

Staff members and supporters of Zaman newspaper shout slogans and hold placards reading "Free press can not be silenced" during a protest against a raid by counter-terror police in Istanbul on December 14, 2014. Turkish police launched a sweeping operation to arrest supporters of President Recep Tayyip Erdogan's rival, US-exiled imam Fethullah Gulen, including a raid on the offices of the Zaman daily, which is close to the cleric. A huge crowd gathered outside the offices of Zaman on the outskirts of Istanbul, creating a small stampede and forcing the police to leave the building without detaining any newspaper employees. AFP PHOTO/OZAN KOSE

Oltre 100 mila siti web sono stati censurati dal regime turco in meno di un anno, precisamente dal giorno delle elezioni politiche del giugno 2015.

 Lo rivela un rapporto di Press for Freedom, progetto finanziato da un programma bilaterale dell’ambasciata britannica per il monitoraggio della libertà di espressione. Secondo lo studio, il web resta uno dei terreni in cui la censura del regime islamico-nazionalista turco si manifesta più duramente nel paese dove il potere di Erdogan e della sua cerchia si rafforza sempre di più.
Nel periodo preso in esame, ad esempio, il sito dell’agenzia curda Diha è stato oscurato ben 37 volte, mentre 13 dei suoi reporter sono finiti in prigione. Dall’inizio di quest’anno, invece, 33 giornalisti sono stati fermati e ben 894 licenziati per motivi politici. Tra questi ci sono anche vittime eclatanti, come il direttore del quotidiano Cumhuriyet Can Dundar e il suo caporedattore, arrestati e poi condannati a quasi sei anni di reclusione per aver rivelato in un articolo il sostegno del regime ai jihadisti operanti in Siria.

Il rapporto mette in evidenza anche le continue aggressioni fisiche e gli attentati nei confronti dei reporter, con ben 200 attacchi registrati tra gennaio e aprile di quest’anno. Nello stesso periodo, altri 12 giornalisti sono finiti a processo con l’accusa di insulti al presidente Recep Tayyip Erdogan; reato in base al quale dall’inizio del suo mandato, nell’agosto 2014, sono state aperte quasi duemila inchieste anche a carico di adolescenti.
Oltre a oscurare siti web e ad incarcerare giornalisti, il regime si sta dedicando negli ultimi mesi ad una vera e propria campagna di commissariamento e chiusura dei media critici. La vittima più significativa di questo assalto all’informazione non allineata è stato il quotidiano Zaman. All’inizio di marzo quello che era il più diffuso e letto quotidiano dell’opposizione islamico-moderata al regime è stato prima occupato militarmente dalla polizia e poi commissariato da un gruppo di amministratori giudiziari che ne hanno ribaltato la linea editoriale dopo aver licenziato giornalisti e tecnici, facendone un giornale completamente allineato. Ma dopo l’inevitabile crollo delle vendite – passate in neanche due mesi da 650 mila copie a neanche 2 mila – il gruppo Feza, commissariato dai funzionari del regime, ha deciso di chiudere lo storico giornale a partire dallo scorso 15 maggio, insieme all’agenzia di stampa Cihan, l’unica che poteva tener testa per capillarità d’informazione e autorevolezza a quella ufficiale Anadolu, ormai da tempo strettamente controllata dal regime. In precedenza l’Akp aveva già neutralizzato e poi chiuso le tv, i giornali e le radio del gruppo editoriale Ipek, commissariato alla vigilia delle elezioni del novembre scorso, ed anche in questo caso con l’accusa di essere uno strumento della rete politico-religioso-imprenditoriale guidata da Fethullah Gulen, ex padrino di Erdogan poi diventatone strenuo oppositore seppure a partire da posizioni islamiche e liberiste.
In un paese dove il bavaglio nei confronti dell’informazione critica si stringe di giorno in giorno, il governo persegue anche la rimozione dell’immunità parlamentare per quei deputati che si rivelino troppo indipendenti e critici.
Ieri si è svolta la prima sessione plenaria del Parlamento turco per votare un emendamento costituzionale presentato dal Partito Giustizia e Sviluppo, al potere, che mira a rimuovere l’immunità parlamentare dei deputati di cui la magistratura chieda il rinvio a giudizio. Al momento, i ‘dossier’ aperti dalla magistratura riguardano ben 129 deputati di tutti i partiti sui 550 totali che compongono l’assemblea legislativa di Ankara. Ma appare più che evidente che la norma sia stata scritta ad hoc per punire e ridurre al silenzio i deputati del Partito Democratico dei Popoli (Hdp), di sinistra e filo-curdo, che rischiano quindi l’arresto con accuse di sostegno al Pkk. Se la legge passasse il regime turco, pur senza mettere formalmente fuorilegge l’Hdp come è stato fatto in passato con una lunga lista di organizzazioni curde, riuscirebbe comunque a limitare al minimo l’agibilità per una formazione che nelle due più recenti tornate elettorali ha saputo superare i confini tradizionali del ‘voto curdo’ conquistando ampi consensi sia nelle regioni del sud-est sia nelle grandi città turche dove anche consistenti settori di elettorato turco progressista hanno scelto Selahattin Demirtas, leader esso stesso a rischio prigione, accusato di ‘incitamento al terrorismo’ come molti dei suoi colleghi deputati.
Dopo il via libera in commissione a inizio maggio, con il voto di tutti i partiti tranne l’Hdp, ieri il parlamento ha cominciato l’esame del provvedimento in seduta plenaria. Il provocatorio testo ha già causato scene senza precedenti in commissione dove i parlamentari si sono scambiati pugni e calci e lo stesso scenario potrebbe riprodursi al momento del voto finale da parte dell’aula.
Per approvare la norma, l’Akp avrà bisogno del sostegno di una parte delle opposizioni socialdemocratica (Chp) e nazionalista di destra (Mhp) che hanno già votato a favore del provvedimento in commissione ma non ieri. La decisione del parlamento è arrivata in serata: con 348 sì e solo 155 voti contrari l’assemblea nazionale di Ankara ha dato il via libera al dibattito sull’emendamento costituzionale sulla rimozione dell’immunità ai deputati indagati. La prossima votazione dovrebbe svolgersi al più tardi lunedì, ma l’Akp ha fretta di approvare la legge già venerdì, prima del congresso straordinario di domenica, in cui eleggerà il nuovo premier turco dopo che Ahmet Davutoglu è stato ‘dimissionato’ da Erdogan.
Il sogno, finora frustrato del ‘sultano’, è conquistare in un modo o nell’altro la soglia dei 367 voti (i due terzi dei componenti del Parlamento) che gli permetterebbe una modifica della Costituzione senza dover indire un referendum. Se alcuni deputati dell’Hdp dovessero essere esclusi dal Parlamento grazie all’approvazione della draconiana legge, la strada verso la conquista dei due terzi dei parlamentari sarebbe spianata. “Se avrà successo questo golpe sarà un passo cruciale per Erdogan per sostituire la democrazia parlamentare… con un sistema assolutista presidenziale” ha denunciato infatti Demirtas.
Intanto i due terzi dei parlamentari il governo li deve trovare subito per far approvare l’emendamento costituzionale in questione; i 348 voti ottenuti ieri sera sono sufficienti a continuare l’iter parlamentare ma non a permettere l’approvazione della norma senza che essa debba essere sottoposta al giudizio dei cittadini tramite un rischioso referendum. E così in vista della votazione finale il regime apre la campagna acquisti di parlamentari delle cosiddette opposizioni, in particolare i nazionalisti di destra dell’Mhp scossi da una grave crisi interna.

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