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Bomba o non
bomba, dell’aereo dell’Egyptair esploso in volo dopo una repentina perdita di
quota (questa in un primo tempo è stata l’interpretazione di immagini satellitari
poi rimessa in discussione) si sa per certo solo che è scomparso dai contatti
radar alle 2:30 di ieri notte. A bordo c’erano 56 passeggeri più dieci membri
d’equipaggio, tutti dati per dispersi. Il velivolo era a 240 km a sud dall’isola
di Kárpathos e stava lasciando lo spazio aereo greco, sarebbe dovuto atterrare
al Cairo verso le 3:15. Gli stessi avvistamenti di rottami di sedili e
giubbotti di salvataggio in tratti di mare non lontani dall’isola meridionale
del Dodecaneso, annunciati dal vicepresidente della compagnia aerea egiziana,
sono stati considerati dal ministero della Difesa greco non appartenenti al
velivolo inabissatosi. Dunque c’è ancora vaghezza e mistero sulle cause
dell’incidente ed è aperta ogni ipotesi. Coinvolti nelle indagini l’Egitto per
l’appartenenza del velivolo, la Grecia per l’area dell’incidente, la Francia
perché il volo MS804 era partito da Parigi, e per questioni di antiterrorismo varie
Intelligence, statunitense in testa. Allo scatenamento di notizie false stanno
contribuendo anche frequentatori di social network che hanno postato la foto
del recupero dei rottami d’un velivolo finito in mare nel golfo del Bengala, nel
marzo scorso, e altre immagini d’altra provenienza.
Si registra
anche una rivendicazione, falsa anch’essa, dell’attentato da parte dello Stato
Islamico. Gli esperti di volo, interrogati attorno alla scomparsa sottolineano
che l’assenza di anomalie a motori e altre apparecchiature può far pensare a un
atto di sabotaggio o agguato con esplosivo. Così le ipotesi ruotano attorno a:
un ordigno le cui componenti siano state fatte filtrare separatamente e poi
assemblate nello spazio dell’aeroporto parigino, al posizionamento d’una bomba
nei precedenti scali di Asmara e Tunisi dove si presume che i controlli fossero
meno elevati. Però indagini compiute sugli addetti in servizio agli aeroporti
francesi hanno evidenziato due fattori di rischio: la possibilità d’introdurre
materiale d’ogni genere in aree non accessibili al pubblico e solitamente
scarsamente o per nulla controllate. E una cospicua rete di simpatizzanti del
Daesh che, da perquisizioni di locali dove hanno accesso inservienti e
personale di terra che lavorano negli scali, contenevano materiale di
propaganda del fondamentalismo islamico. La connessione fra questo genere di
diffusione non legata esplicitamente all’Isis o Qaeda, ma in senso lato al
radicalismo salafita e wahhabita, e atti terroristici non è automatica, però è
seguita con attenzione dagli inquirenti. E mostra un altro punto debole della
quotidianità nella società globale.
Gli esperti di terrorismo ritengono che ulteriori possibili obiettivi potranno essere attaccati tramite attentati, il caso di Bruxelles è ancora sotto gli occhi, così ogni manifestazione di massa (si pensa ai prossimi Europei di calcio in programma in Francia) producono attenzione massima ma non sicurezza assoluta. Il terrore seminato con deflagrazioni aeree o ferroviarie, già usate in passato, continua a rappresentare l’inquietante presenza con cui fare i conti. C’è chi fa notare che l’attentato, in quel caso rivendicato e certo, all’airbus russo dell’ottobre scorso nel Sinai con 224 vittime, è stato un deterrente per viaggi e spostamenti turistici. Le vacanze sul Mar Rosso negli ultimi mesi sono in caduta libera e con un meno 48% le prenotazioni precipitano come gli aerei colpiti. Questo, come prevedibile, è un colpo durissimo per la precaria economia egiziana. E rende il presidente Sisi sempre più nervoso, ma non isolato. I Paesi alleati e amici, a cominciare dalla Francia, gli hanno teso la mano con commesse soprattutto belliche che il duro del Cairo apprezza, ma non può rivolgere contro il Jihad interno. Colpiti restano i cittadini e la vita normale, in Egitto come in ogni angolo del mondo nel quale l’attentatore vive e può celarsi. E quand’è scovato, come Abdeslam, ha già compiuto la missione stragista.
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