sabato 12 aprile 2014

Spending review Carrozzoni da tagliare, nella lista di Renzi spuntano i consorzi di bonifica.

Carrozzoni da tagliare, nella lista di Renzi spuntano i consorzi di bonifica

Da Nord a Sud, i 137 enti sparsi sul territorio dovrebbero servire per prevenire inondazioni e frane. Ma spendono milioni l'anno per mantenere il personale amministrativo, mentre per le opere di messa in sicurezza non resta quasi nulla. Ora il premier vorrebbe chiuderli. Risparmio previsto? Mezzo miliardo di euro all’anno.

















Il copione è ormai rodato: annuncio, cancellazione degli enti inutili della pubblica amministrazione e risparmio. La furia “da taglio” del premier Matteo Renzi prende di mira inefficienze e potentati del settore pubblico. Con un elenco che ogni giorno cresce sulla sua scrivania.

«Sforbicia-Italia» è il nome del progetto per la soppressione, riforma, riorganizzazione di tutto quello che non funziona. Per maggio il segretario democratico ha promesso un intervento mai visto prima sul funzionamento della macchina statale: «Interverremo su tutte le sacche di micropotere e sottopotere, santuari che finora nessuno ha mai pensato di toccare, e non risparmieremo nessuno».

Dopo il Senato, le Province, il Cnel ora nel mirino sono finiti i consorzi di bonifica. Cosa fanno? Dovrebbero curare i nostri fiumi, proteggerci dalle alluvioni e prevenire frane ed esondazioni che periodicamente colpiscono il Belpaese.
Sono 137 (erano 175 fino a dieci anni fa)  e sono stati creati all’inizio del Novecento come organi di  autogoverno del territorio. Esempi di federalismo applicato alle acque: reinvestono quanto ricevono dagli enti locali e dai proprietari dei terreni agricoli come contributo di bonifica. Con un particolare: su oltre 500 milioni di euro all’anno che entrano in cassaforte, la metà se ne va per il personale e la burocrazia. Con uno strascico di scandali milionari e spese pazze. Tanti soldi e scarsi risultati.

TOSCANA, TANTE POLTRONE POCA TRASPARENZA
In Toscana i consorzi hanno un budget di 132 milioni di euro, 65 dei quali provengono dai contributi degli utenti, il resto da Regioni e Province. In media delle tasse pagate dai cittadini il 40-50 per cento se ne va in normale gestione. Con taglie extra-large: 26 membri per consiglio, con tanto di retribuzioni e gettoni di presenza, 156 consiglieri totali, 90 eletti e 66 nominati dagli enti locali. I presidenti incassano 33.500 euro lordi annui, mentre i consiglieri hanno un gettone di presenza di 30 euro lordi a seduta.

Una burocrazia elefantiaca con un esercito di 501 dipendenti complessivi, di cui solo 166 sono operai.
E come gestiscono questo denaro per arginare i fiumi e prevenire le frane? «Sui grandi appalti c’è l’obbligo di gara e vi partecipano 20 aziende ogni volta» spiega Paolo Bargellini, ex presidente del consorzio dell'Ombrone e del Bisenzio e ora commissario: «Con gli affidamenti minori cerchiamo di distribuire lavori in modo equo alle aziende fornitrici sul territorio. Sotto i 40mila euro la legge ci consente l'affidamento diretto, senza gara».

Ora c’è una nuova legge regionale che, per risparmiare, ordina ai consorzi di assegnare «preferibilmente i lavori di manutenzione ordinaria agli imprenditori agricoli».

Per capire come vengono spesi i soldi pubblici, lo scorso anno i magistrati contabili hanno cercato di mettere il naso in questi bilanci, con una sorpresa: «I consorzi di bonifica si sono rifiutati di documentare i conti» ha spiegato all’apertura dell’anno giudiziario il procuratore regionale della Corte dei Conti Angelo Canale. «Gli atti ci sono stati rimandati indietro e attualmente stiamo procedendo con istanze di resa di conto». Un muro contro muro tra pezzi dello Stato.

A SECCO IN SICILIA
Nell’isola si contano undici enti di bonifica che fanno funzionare impianti e distribuzione dell’acqua delle dighe. Costano alle casse della Regione Sicilia 120 milioni di euro all’anno e garantiscono un posto di lavoro ad oltre 2.500 impiegati. Ma tra un consorzio e un altro c’è un abisso per numero di addetti e ettari da dissetare.

Nella montuosa Enna, con appena 6.800 ettari di campi, si contano ben 315 dipendenti. Un record che fa schizzare il consorzio al secondo posto per numero di lavoratori. Significa in pratica che per irrigare ci vuole in media un dipendente per appena 5 ettari. E peggio ancora fa il consorzio di Messina: qui addirittura un dipendente basta per appena due ettari.

«Tutte queste spese», dice il segretario regionale della Cia siciliana, Carmelo Gurrieri - affrontate dalla Regione ogni anno, non bastano ad evitare la sete all'agricoltura siciliana, dove spesso saltano campagne di produzione per la mancanza d’acqua». C'è spazio anche per un primato assoluto in negativo: nel 2009 ci sono state due intere aree della provincia di Palermo, Polizzi Generosa e San Giuseppe Jato, che non hanno ricevuto un solo goccio d'acqua nei loro circa ottomila ettari di terreno coltivati. Colpa della fatiscenza delle reti idriche. Non va meglio a Catania, dove la Corte dei Conti ha aperto un'inchiesta su presunte assunzioni e consulenze clientelari per 70 milioni di danni erariali. Così gli enti pubblici nati per aiutare l’agricoltura sfuggono al controllo della Regione e si trasformano in carrozzoni clientelari.

SPESE PAZZE MA SENZA TITOLO
Non è solo una questione meridionale. A Bergamo l’indagine per truffa aggravata tocca l’ex assessore comunale Marcello Moro. Lui fino a dicembre 2012 è anche presidente dal Consorzio di bonifica della media pianura bergamasca. Secondo l'accusa si sarebbe fatto rimborsare una cena da oltre mille euro. A febbraio 2011 festeggiava San Valentino con l'ex attaccante dell'Atalanta Sergio Floccari e le rispettive mogli. Il banchetto a lume di candela viene pagato con la carta di credito del calciatore, ma poi Moro si sarebbe fatto consegnare lo scontrino e avrebbe chiesto e ottenuto il rimborso dal Consorzio.

«Se l’episodio risultasse vero, potrebbe essere un errore dovuto a una mia svista», si è giustificato il politico del Pdl. Ma l'indagine solleva altri problemi: gli vengono congelati 200 mila euro di stipendio da presidente.
Il sequestro di beni è stato richiesto dal pm Giancarlo Mancusi perché secondo la ricostruzione della Procura la busta paga (circa 275 mila euro lordi) e i rimborsi (21 mila euro) come boss del Consorzio tra il 2007 e il 2012 sarebbero stati un illecito profitto.

Moro aveva soltanto sulla carta, ma non di fatto, i requisiti previsti dallo statuto dell’ente per essere eletto alla guida del consorzio. Una battaglia di carte bollate arrivata fino alla Corte di Cassazione, che ha rinviato gli atti a Bergamo, per una nuova udienza. Ora potrebbe pensarci Renzi, deciso a lavorare di forbici sui consorzi di bonifica ritenuti inutili o eccessivamente costosi.

Nessun commento:

Posta un commento