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di Giacomo Russo Spena
Rispettare i vincoli, le politiche di austerity e il rigore sui conti pubblici perché “ce lo chiede l’Europa”. Un mantra che ha perseguitato l’Italia negli ultimi anni. Un tormentone che ha impoverito il Paese. Ma se alla Trojka e alla finanza i nostri governanti hanno ubbidito supinamente, sul tema dei diritti non avviene lo stesso. A volte, l’Europa “ce lo chiede”, e noi disobbediamo. Tra i tanti casi, uno: l’identificazione degli agenti in tenuta antisommossa.
Dopo la manifestazione studentesca del 14 novembre 2012 – quando si susseguirono nella piazza romana una serie di abusi della polizia contro i giovani (accertati da riprese video e foto) – la stessa MicroMega si fece promotrice, insieme ad altre realtà, di unappello pubblico per chiedere la riconoscibilità dei tutori dell’ordine. Un successo, sopra ogni aspettativa. Raggiunte quasi 25mila firme in pochissimo tempo. Ad aderire volti noti come Andrea Camilleri, Moni Ovadia, Dario Fo, Margherita Hack, Ascanio Celestini, Stefano Rodotà, Gad Lerner, Gianni Vattimo, Michele Serra, Luigi De Magistris e Massimo Carlotto. Il tema ritorna ciclicamente. Anche dopo l’ultima manifestazione del 12 aprile scorso nella capitale, durante la quale un poliziotto ha pensato bene – in base alla sua versione dei fatti – di scambiare il corpo di una ragazza inerme a terra per uno zaino (che poi non si capisce perché uno dovrebbe prendere a calci uno zaino, ma vabbè) e altri suoi colleghi si sono resi protagonisti di abusi.
Da anni l'Unione europea ci chiede di uniformarci agli altri Paesi con divise “personalizzate”, numeri di matricola, codici stampati sui caschi o addirittura nomi e cognomi scritti in stampatello. Per le polizie europee è la norma identificare chi si occupa di ordine pubblico. Solo l’Italia e pochissimi altri Stati membri fanno eccezione. Eppure nessun governo sembra volersi occupare della vicenda che riguarda forse una norma di pura civiltà, volta a tutelare le stesse forze dell’ordine e ad “estirpare” le mele marce all’interno dei reparti. In Spagna la Guardia Civil e la Policía Nacional da diversi anni hanno l’obbligo di essere identificabili attraverso matricole in bella vista sulle uniformi. Lo stesso accade in Slovenia, in Repubblica Ceca e addirittura in un Paese ad alta tensione sociale come la Grecia, dove solo per i ranghi più alti delle forze dell’ordine non è prevista la riconoscibilità quando in tenuta anti-sommossa. In diversi Paesi del nord Europa il numero identificativo si accompagna con l’esplicita indicazione del nome e della qualifica del singolo agente. Anche in Germania, dove l’introduzione di metodi identificativi fatica a farsi strada, da anni c’è grande dibattito sulla questione.
Un terreno molto scivoloso, quello della violenza ingiustificata esercitata dagli uomini in divisa, rispetto al quale l’Italia costituisce così un caso anomalo in Europa. E sembra che l’opinione pubblica sia più avanti della nostra classe politica, indifferente al tema. Da tempo. Ora qualcosa sembra muoversi. Sia M5S che Sel sarebbero favorevoli ad una legge per i numeri identificativi degli agenti, già pronto il testo che andrebbe solamente votato in Aula. Molti esponenti del Pd si sono detti favorevoli. E’ solo quindi una questione di volontà. Il premier Renzi che dice? E’ favorevole ad inserire questa norma di civiltà? In fondo, non “ce lo chiede l’Europa”?
PS: Altro vulnus italiano rispetto all’Europa è la mancanza del reato di tortura. Da anni siamo in attesa di una legge in materia. Per questo l’associazione Antigone, insieme ad altri soggetti, ha lanciato un appello pubblico che ha raggiunto diecimila firme in pochi giorni. La petizione, indirizzata ai capogruppo parlamentari e alla presidente della Commissione Giustizia della Camera, chiede l'inserimento del reato di tortura nel codice penale.
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venerdì 25 aprile 2014
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