Nella Capitale tira aria pesante. Contro le occupazioni di case e gli spazi sociali occupati, ormai da mesi è in corso una offensiva a tutto campo. Da un lato magistratura e organi di polizia stanno procedendo con decine di provvedimenti giudiziari, dall’altra gli uffici tecnici delle varie amministrazioni stanno producendo ingiunzioni di pagamento, ordinanze di chiusure e provvedimenti restrittivi per le attività sociali, ricreative, di funzionamento e di autofinanziamento degli spazi sociali.
contropiano.org Federico Rucco
Sospinti da una martellante campagna stampa dei due giornali locali
legati ai palazzinari, rispettivamente il Messaggero per Caltagirone e
il Tempo per Bonifaci, la Procura della Repubblica di Roma e la
Prefettura hanno dichiarato guerra agli spazi e alle abitazioni
occupate.
Il Tempo ha curato un vero e proprio “dossier” delle occupazioni selezionandole tra “politiche” e sociali. Lo stesso quotidiano riferisce che ci sono circa 60 inchieste giudiziarie sulle occupazioni, da quelle “tradizionali” per furto di energia elettrica a quelle più pesanti per “associazione a delinquere a fini di estorsione”. Sulle occupazioni incombono gli sgomberi, che, alla luce di quanto accaduto alla Montagnola o allo studentato occupato "Godot", non lesinano affatto le maniere forti da parte della polizia.
L’inchiesta balzata agli onori delle cronache, quella condotta dal Pm Tescaroli, ha tirato dentro anche la”politica” e il Comune di Roma. E qui la vicenda si sta facendo più pesante per le conseguenze politiche oltre che giudiziarie.
I gruppi consiliari della destra e i quotidiani legati ai costruttori sono partiti alla carica contro l’attuale vicesindaco di Roma, Luigi Nieri, accusato di aver fatto quello che un qualsiasi amministratore dovrebbe fare per cercare soluzioni di fronte alle emergenze sociali che si presentano in un’area metropolitana come Roma.
Nieri (Sel) tra l’altro, viene dalla storia dei movimenti sociali a Roma, in particolare dalla lotta per la casa e quelle territoriali. Una storia politica e una sensibilità che lo hanno portato ad essere intercettato dalla magistratura mentre discute per telefono le possibili soluzioni dopo gli sgomberi coordinati di due occupazioni di case (Centocelle e Tuscolana) e dello spazio sociale “Angelo Mai”.
Il segnale inviato è chiaro e pesante. La “politica” deve farsi da parte e rinunciare al suo ruolo di mediazione tra le contraddizioni sociali e i diritti di proprietà (privati o pubblici che siano). A gestire la situazione devono rimanere solo i “tecnici” (in questo caso magistrati e poliziotti) che procedono secondo i parametri di una “legalità” che però lascia la gente senza casa in mezzo alla strada, gli edifici vuoti a degradare, le scuole chiuse a marcire, i territori e la città senza risposte né vita sociale.
La linea dura scelta dalla Procura e dal Prefetto (entrati ripetutamente in contrasto con la giunta comunale proprio sulle soluzioni) sta procedendo come un bulldozer e invita esplicitamente la politica a ritirarsi nella sfera dell’amministrazione e della governance, piuttosto che in quella della mediazione tra interessi diversi che è funzione propria della “politica”.
L’incombente attuazione del Decreto Salva Roma (rinominato da molti “Ammazza Roma”) rovescerà sulla vita e le esigenze sociali della capitale il medesimo spirito dei diktat che hanno messo in ginocchio al Grecia. Privatizzazioni dei servizi municipali, dismissioni, svendita ai privati del patrimonio pubblico, “messa a profitto” di ogni attività civile e sociale nella città.
Gli speculatori e i palazzinari, i fondi di investimento stranieri e la grande distribuzione gongolano. Loro “sanno come mettere a valore una città”, i suoi spazi, i suoi flussi di vita e relazioni sociali, ridisegnando completamente la mappa geografica, urbanistica e sociale di un’area metropolitana che non conta solo sui più di tre milioni di residenti ma anche – e soprattutto – sugli undici milioni di turisti/consumatori che ogni anno piovono su Roma.
E’ dentro questa destrutturazione/ristrutturazione dell’area metropolitana di Roma che, a fianco dei blitz, degli sgomberi e delle denunce contro i movimenti sociali, si sta realizzando una normalizzazione dall’alto anche della sua vita sociale. Come? Ad esempio mettendo in ginocchio le attività autogestite esistenti.
Lo storico Centro di Cultura Popolare del Tufello, uno scantinato occupato in un quartiere popolare fin dagli anni Settanta che si è visto arrivare una richiesta di pagamenti arretrati per 240mila euro. Lo Scup a San Giovanni è sotto sfratto da parte di una società legata alla Lega delle Cooperative. In queste settimane è toccato all’Osteria del centro sociale Corto Circuito che si è vista mettere i sigilli perché non ha i permessi di somministrazione di alimenti e bevande, poi ad un altro spazio sociale storico, quello della Casa della Pace di Testaccio (attiva fin dal 1984 all’ex Mattatoio) che ha visto piovere uno dietro l’altro ingiunzioni e sospensioni delle attività ricreative (in particolare gli spettacoli) da parte della Questura e del Comune.
Un’aria pesante quella che si sta respirando a Roma. Un’aria del tutto conseguente a quella che si respira in Italia e nell’Europa dominata dai diktat dell’Unione Europea. Gli interessi popolari dovrebbero rassegnarsi alla subalternità e la politica rinunciare alla sua funzione per lasciare il campo solo alla governance dei tecnici, i quali non devono in alcun modo rispondere alle domande o al consenso sociale, in tutti i sensi.
Il Tempo ha curato un vero e proprio “dossier” delle occupazioni selezionandole tra “politiche” e sociali. Lo stesso quotidiano riferisce che ci sono circa 60 inchieste giudiziarie sulle occupazioni, da quelle “tradizionali” per furto di energia elettrica a quelle più pesanti per “associazione a delinquere a fini di estorsione”. Sulle occupazioni incombono gli sgomberi, che, alla luce di quanto accaduto alla Montagnola o allo studentato occupato "Godot", non lesinano affatto le maniere forti da parte della polizia.
L’inchiesta balzata agli onori delle cronache, quella condotta dal Pm Tescaroli, ha tirato dentro anche la”politica” e il Comune di Roma. E qui la vicenda si sta facendo più pesante per le conseguenze politiche oltre che giudiziarie.
I gruppi consiliari della destra e i quotidiani legati ai costruttori sono partiti alla carica contro l’attuale vicesindaco di Roma, Luigi Nieri, accusato di aver fatto quello che un qualsiasi amministratore dovrebbe fare per cercare soluzioni di fronte alle emergenze sociali che si presentano in un’area metropolitana come Roma.
Nieri (Sel) tra l’altro, viene dalla storia dei movimenti sociali a Roma, in particolare dalla lotta per la casa e quelle territoriali. Una storia politica e una sensibilità che lo hanno portato ad essere intercettato dalla magistratura mentre discute per telefono le possibili soluzioni dopo gli sgomberi coordinati di due occupazioni di case (Centocelle e Tuscolana) e dello spazio sociale “Angelo Mai”.
Il segnale inviato è chiaro e pesante. La “politica” deve farsi da parte e rinunciare al suo ruolo di mediazione tra le contraddizioni sociali e i diritti di proprietà (privati o pubblici che siano). A gestire la situazione devono rimanere solo i “tecnici” (in questo caso magistrati e poliziotti) che procedono secondo i parametri di una “legalità” che però lascia la gente senza casa in mezzo alla strada, gli edifici vuoti a degradare, le scuole chiuse a marcire, i territori e la città senza risposte né vita sociale.
La linea dura scelta dalla Procura e dal Prefetto (entrati ripetutamente in contrasto con la giunta comunale proprio sulle soluzioni) sta procedendo come un bulldozer e invita esplicitamente la politica a ritirarsi nella sfera dell’amministrazione e della governance, piuttosto che in quella della mediazione tra interessi diversi che è funzione propria della “politica”.
L’incombente attuazione del Decreto Salva Roma (rinominato da molti “Ammazza Roma”) rovescerà sulla vita e le esigenze sociali della capitale il medesimo spirito dei diktat che hanno messo in ginocchio al Grecia. Privatizzazioni dei servizi municipali, dismissioni, svendita ai privati del patrimonio pubblico, “messa a profitto” di ogni attività civile e sociale nella città.
Gli speculatori e i palazzinari, i fondi di investimento stranieri e la grande distribuzione gongolano. Loro “sanno come mettere a valore una città”, i suoi spazi, i suoi flussi di vita e relazioni sociali, ridisegnando completamente la mappa geografica, urbanistica e sociale di un’area metropolitana che non conta solo sui più di tre milioni di residenti ma anche – e soprattutto – sugli undici milioni di turisti/consumatori che ogni anno piovono su Roma.
E’ dentro questa destrutturazione/ristrutturazione dell’area metropolitana di Roma che, a fianco dei blitz, degli sgomberi e delle denunce contro i movimenti sociali, si sta realizzando una normalizzazione dall’alto anche della sua vita sociale. Come? Ad esempio mettendo in ginocchio le attività autogestite esistenti.
Lo storico Centro di Cultura Popolare del Tufello, uno scantinato occupato in un quartiere popolare fin dagli anni Settanta che si è visto arrivare una richiesta di pagamenti arretrati per 240mila euro. Lo Scup a San Giovanni è sotto sfratto da parte di una società legata alla Lega delle Cooperative. In queste settimane è toccato all’Osteria del centro sociale Corto Circuito che si è vista mettere i sigilli perché non ha i permessi di somministrazione di alimenti e bevande, poi ad un altro spazio sociale storico, quello della Casa della Pace di Testaccio (attiva fin dal 1984 all’ex Mattatoio) che ha visto piovere uno dietro l’altro ingiunzioni e sospensioni delle attività ricreative (in particolare gli spettacoli) da parte della Questura e del Comune.
Un’aria pesante quella che si sta respirando a Roma. Un’aria del tutto conseguente a quella che si respira in Italia e nell’Europa dominata dai diktat dell’Unione Europea. Gli interessi popolari dovrebbero rassegnarsi alla subalternità e la politica rinunciare alla sua funzione per lasciare il campo solo alla governance dei tecnici, i quali non devono in alcun modo rispondere alle domande o al consenso sociale, in tutti i sensi.
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