martedì 29 aprile 2014

La legge liberista del lavoro.

Job Act. Anche gli economisti del Fmi dicono che tra la flessibilità e il lavoro non c’è un rapporto di causa-effetto.

il manifesto Giorgio Airaudo
Quando pochi mesi fa, il segre­ta­rio del Pd Renzi aveva chie­sto al governo Letta una svolta, a par­tire dalle poli­ti­che per il lavoro con il Job Act , gli ave­vamo voluto cre­dere. Sape­vamo che non era­vamo e non saremo stati d’accordo su tutto ma final­mente si met­te­vano in ordine le prio­rità e si ini­ziava a discu­tere delle solu­zioni per le ita­liane e gli ita­liani che hanno come prima ango­scia il lavoro. Il lavoro perso, ricer­cato, insi­curo, insta­bile per sé o per i pro­pri figli e spesso ora­mai per le pro­prie madri e i pro­pri padri (gli eso­dati creati dalla riforma delle pen­sioni di Monti).
Invece in par­la­mento abbiamo assi­stito a discus­sioni sur­reali che pro­pon­gono di esten­dere l’apprendistato ai cin­quan­tenni quando baste­rebbe pren­dere atto dell’errore e rimet­tere mano alla riforma For­nero abbas­sando da subito almeno l’età pen­sio­na­bile facendo ripar­tire il turn over . Ma il pre­si­dente del con­si­glio arri­vato “sere­na­mente” al governo ral­lenta e smen­ti­sce sul lavoro la tanto pro­pa­gan­data velo­cità pro­po­nen­doci un decreto e un dise­gno di legge. In nes­suno dei due prov­ve­di­menti tro­viamo la can­cel­la­zione delle tante forme di fles­si­bi­liz­za­zione inse­rite nel mer­cato del lavoro negli ultimi 20 anni. Dati Ocse dicono che, in Europa, l’Italia è il paese a più alta fles­si­bi­lità, di gran lunga supe­riore a quella di Ger­ma­nia e Francia.

Non si pro­pone di sosti­tuire que­ste forme pre­ca­rie con l’annunciato con­tratto a tutele pro­gres­sive, non si dice, come invece si ipo­tiz­zava nel Job Act , quali sono i set­tori stra­te­gici indu­striali per il paese e cosa si fa per difen­derli e svi­lup­parli men­tre il lavoro che c’è e potrebbe restare se ne va: dalla grande Fiat alla pic­cola Agrati, atten­dendo le intenzioni/condizioni di Ethiad per Ali­ta­lia e vedendo spe­gnere l’altoforno di Piom­bino difeso dalla miglior classe ope­raia ita­liana e dal papa.
Que­ste sono le domande che ave­vano e hanno biso­gno di rispo­ste veloci, invece il governo ci fa votare d’urgenza la dere­go­la­men­ta­zione dei con­tratti a ter­mine e la sva­lu­ta­zione del con­tratto d’apprendistato. Cioè pro­se­gue come tutti i governi che l’hanno pre­ce­duto nelle poli­ti­che della “auste­rità espan­siva”, quelle poli­ti­che che hanno depresso l’economia senza risa­nare i conti.
In con­ti­nuità con le indi­ca­zioni della Bce e della Com­mis­sione ci viene pro­po­sta nuova fles­si­bi­lità nei con­tratti dicen­doci che aiu­terà a creare nuovi posti di lavoro e a ridurre la disoc­cu­pa­zione, quando le evi­denze empi­ri­che ci dicono il con­tra­rio. Molte ricer­che hanno rile­vato che una mag­giore pre­ca­rietà dei con­tratti può addi­rit­tura deter­mi­nare più disoccupazione.
Anche Oli­vier Blan­chard, capo eco­no­mi­sta del Fondo Mone­ta­rio Inter­na­zio­nale, è arri­vato a rico­no­scere che non vi è una pre­cisa cor­re­la­zione tra fles­si­bi­lità e ridu­zione della disoc­cu­pa­zione. E la ragione sta nel fatto che i con­tratti pre­cari se da un lato pos­sono spin­gere le imprese a creare posti di lavoro in una fase di cre­scita eco­no­mica, dall’altro con­sen­tono alle aziende di distrug­gere facil­mente quei posti di lavoro nelle fasi di crisi, come è acca­duto in que­sti anni in Ita­lia dove i primi licen­ziati “ignoti” di que­sta crisi sono stati i pre­cari a vario titolo e con­tratto.
In Ita­lia negli ultimi 5 anni abbiamo perso circa un milione di posti di lavoro con un incre­mento del 90 per cento delle insol­venze delle imprese. Sono per­dite colos­sali, di pro­por­zioni sto­ri­che, che andreb­bero affron­tate con una nuova poli­tica eco­no­mica pub­blica, imma­gi­nando un New Deal ita­liano per un New Deal europeo.
Vice­versa pen­sare di inver­tire la rotta con 80 euro in più al mese in busta paga, nean­che a tutti e in par­ti­co­lare non ai più deboli, inca­pienti, pen­sio­nati al minimo, false par­tite Iva nella crisi è un illu­sione. Mi viene in mente cosa mi diceva un vec­chio ope­raio metal­mec­ca­nico di Torino: «Quando ti rega­lano qual­cosa devi chie­derti cosa ti stanno per pren­dere». C’è biso­gno urgente di inve­sti­menti, ricerca, for­ma­zione, spe­cia­liz­za­zione e tec­no­lo­gia. La trap­pola della fles­si­bi­lità crea occu­pa­zione solo tran­si­to­ria; la con­suma, e poi la espelle, sep­pel­lendo, insieme ai posti di lavoro, le stesse imprese sem­pre più inca­paci di com­pe­tere lungo la linea della pro­dut­ti­vità e dell’innovazione.
La fles­si­bi­lità sosti­tuendo il lavoro (poco qua­li­fi­cato) al capi­tale e alla tec­no­lo­gia, erode la pro­dut­ti­vità, man­tiene le imprese (in par­ti­co­lare quelle pic­cole e pic­co­lis­sime) in uno stato di pre­ca­ria soprav­vi­venza, con il rischio di veder disin­te­grare il sistema pro­dut­tivo e occu­pa­zio­nale ita­liano in tempi bre­vis­simi se non si fuo­rie­sce da que­sto declino. E allora appare chiaro che il governo ha messo la fidu­cia sul decreto lavoro non tanto e non solo per­ché al sena­tore Sac­coni non è parso vero di poter otte­nere dal governo del segre­ta­rio del Pd ciò che non aveva otte­nuto come mini­stro dal governo Ber­lu­sconi, né per le modi­fi­che che la sini­stra del Pd ha appor­tato al testo (modi­fi­che che ridu­cono il danno ma non inver­tono il segno del Decreto verso una ulte­riore pre­ca­riz­za­zione dei con­tratti di lavoro con novità peg­gio­ra­tive della riforma For­nero, come l’eliminazione della cau­sale sui con­tratti a tempo deter­mi­nato e la pos­si­bi­lità di pro­ro­gare que­sti con­tratti con l’annacquamento dell’obbligo for­ma­tivo e di sta­bi­liz­za­zione degli apprendisti).
Ma per­ché senza la fidu­cia si sarebbe rive­lata tutta l’impotenza ad andare oltre, in que­sta alleanza di governo, oltre le poli­ti­che di auste­rità e di ridu­zione dei diritti dei lavo­ra­tori, oltre la pra­tica tar­diva, che ha sedotto anche l’ex mini­stro Bondi, di un blai­ri­smo con 15 anni di ritardo, oltre la sini­stra verso una terra di nes­suno. Resu­sci­tando un libe­ra­li­smo che ha fal­lito, creando nuove povertà, distrug­gendo la classe media, iso­lando e divi­dendo il lavoro e instal­lando un oli­gar­chia che nella crisi anche in Ita­lia con­ti­nua ad arric­chirsi. Un libe­ra­li­smo cri­ti­cato e supe­rato anche nei paesi d’origine.
Il mini­stro Poletti in que­sti giorni ha detto che «pre­fe­ri­sce una riforma che fun­zioni ad una riforma giu­sta che non fun­ziona». Io penso che frasi di que­sto tipo cer­ti­fi­chino i fal­li­menti non i risul­tati. Invece il nostro para­me­tro di giu­di­zio è cosa viene di buono ai pre­cari, ai disoc­cu­pati, agli ope­rai e al lavoro dipen­dente tutto. Noi non vediamo risul­tati per loro, vediamo ricat­ta­bi­lità, divi­sione e soli­tu­dine cre­scente e per que­sto abbiamo votato con­tro. Per costruire una sini­stra dell’ alter­na­tiva alle poli­ti­che di auste­rità e di grandi alleanze in Ita­lia e in Europa.

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