Esiste ancora un ufficio ‘fisico’? Il tempo svolge sempre la sua funzione di ‘regolatore’ delle nostre attività? Nell’era della rivoluzione digitale i confini si stanno confondendo. Lavoriamo da casa, sul treno, in macchina, in bagno… Siamo sempre connessi e sempre reperibili. Assistiamo alla graduale ‘delocalizzazione’ delle nostre giornate. Non esiste più la ‘giornata lavorativa’. Nel pieno del multitasking, capita sempre più spesso di non ricordare cosa stessimo facendo. Il Tecnostress riguarda tutto questo. E in particolare lo stress provocato dall’uso massiccio e continuativo delle nuove tecnologie.
Secondo il presidente di Netdipendenza Onlus Enzo Di Frenna, che si occupa di Tecnostress e dipendenze digitali da più di quindici anni, la nostra mente non è in grado di gestire l’information overload. Il fiume inarrestabile di dati che ci investe, a lungo andare può generare malattia. Con sintomi che possono spaziare dalle vertigini agli attacchi di panico, dalla depressione ai disturbi cardiocircolatori e gastrointestinali, dalla perdita della capacità di concentrazione al calo della memoria. “Il più colpito è il settore della comunicazione: redattori, giornalisti, addetti ai call center. Ma anche avvocati e manager. Insomma – spiega Di Frenna – in tutte le professioni dove l’uso di Internet, dei social network e delle chat è intensivo e continuativo, il rischio di rimanere schiacciati e ammalarsi, è reale”.
Mai così rapidamente le nuove tecnologie sono entrate con tanta prepotenza nella routine quotidiana e lavorativa di milioni di persone. Ogni giorno, testimoni e attori spesso inconsapevoli di un cambiamento epocale, navighiamo in Rete, cerchiamo informazioni e notizie passando rapidamente da un sito all’altro, inviamo messaggi, scarichiamo App, condividiamo foto e momenti intimi sui social network. Il tutto con una gradualità solo apparente. Che ha cambiato per sempre la nostra vita. E non per forza in meglio. Partendo dall’assunto che Internet è un’occasione imperdibile per la crescita e lo sviluppo della società tutta, penso sia altrettanto importante fermarsi a riflettere sul nostro stile di vita.
Negli Stati Uniti, ad esempio, già da tempo si stanno prendendo provvedimenti. Google anni fa ha assoldato John Kabat-Zinn, ideatore dell’MBSR (Mindfulness based stress reduction), per tenere corsi pratici ai propri dipendenti. La mindfulness, una tecnica basata sul respiro e la meditazione, si è dimostrata utile nella gestione e riduzione dello stress. Più di quanto faccia il riposo. Sempre oltreoceano è stata introdotta anche la “pausa digitale”, un periodo di tempo durante il quale il lavoratore stacca completamente dalla tecnologia. Previsto dal contratto di lavoro. Nel nostro paese, dove la stragrande maggioranza dei datori di lavoro non sa nemmeno cosa sia il Tecnostress, tutto ciò è fantascienza.
Eppure, a Torino, a seguito di una denuncia di un lavoratore di un call center, c’è stata la prima sentenza definitiva che ha riconosciuto il Tecnostress come causa di malattia legata al lavoro. Il Testo Unico Salute e Sicurezza del 2008, che per la prima volta ha introdotto l’obbligo di valutare il rischio di stress lavoro-correlato all’interno delle aziende, dovrebbe diventare il punto di partenza per monitorare e intervenire su un fenomeno che riguarda settori sempre più ampi della nostra società. Ma non sarà facile. Complici i ritmi frenetici e la mancanza di consapevolezza, o di mindfulness, lavoratori e responsabili della sicurezza avranno la capacità di fermarsi e comprendere che c’è un problema?
Enzo Di Frenna, che con la sua associazione ha inaugurato i primi corsi di formazione sul Tecnostress, ha appena concluso il primo anno di “digiuno digitale” da tutti i social network. Una decisione (e per ora un record imbattuto in Italia) che ha contribuito a migliorare sensibilmente la sua qualità di vita, e che vuole dimostrare che “è possibile vivere senza, recuperando il valore della relazione umana”.
Nessun commento:
Posta un commento