Il 16 aprile
scorso, la Commissione Europea ha notificato all’Italia una nuova
lettera di messa in mora sulla vicenda ILVA/Taranto, aggravando
pesantemente il quadro delle violazioni del diritto europeo commesse
dall’Italia e sancendo, in modo netto, dei punti fondamentali della
questione. Secondo la Commissione, infatti, l’Italia non sta tuttora rispettando
non solo la direttiva IPPC (Industrial Pollution Prevention and Control)
sull’inquinamento e la sua prevezione, ma neanche altre due direttive,
in particolare quella sulle Emissioni Industriali (2010/75/EU) e la
direttiva “Seveso”, sulla prevenzione dei rischi di incidenti
industriali rilevanti.
micromega di Antonia Battaglia
La nuova messa in mora tocca punti
nevralgici della questione ambientale e di conseguenza sanitaria, quali
il trattamento e lo stoccaggio dei rifiuti, gli scarichi delle acque di
lavorazione in mare e nel sottosuolo e, addirittura, il diritto stesso
dell’Ilva a produrre. La Commissione ha infatti scritto al Governo
Italiano che l’inquinamento significativo prodotto dall’azienda
nell’area circostante allo stabilimento (Taranto) costituisce un
pericolo immediato per la salute umana e che, nell’autorizzazione
rilasciata dal Governo per continuare la produzione (Autorizzazione
Integrata Ambientale), non ci sono i requisiti necessari a garantire la
continuazione dell’attività stessa.
Un affondo senza precedenti,
nel quale, richiamandosi all’articolo 8.2 della direttiva sulle
Emissioni Industriali, invocato da PeaceLink nel recente incontro a
Beuxelles con il Commissario Potocnik, si scrive per la prima volta che
“le condizioni di produzione dell'Ilva rappresentano una minaccia di
immediati effetti avversi anche sull'ambiente ed impongono all'Italia
l'obbligo di sospendere le operazioni delle parti rilevanti dello
stabilimento".
A difesa dei diritti di Taranto, dei suoi
lavoratori, dei suoi cittadini, dei suoi bambini, contrariamente a
quanto fatto dai governi italiani che si sono succeduti negli ultimi
decenni, le istituzioni europee entrano in campo in modo ancora più
netto di quanto avessero fatto con la prima lettera di messa in mora del
settembre dell’anno scorso, indicando che l’Ilva non fornisce un
rapporto di sicurezza sugli stabilimenti dal ben lontano 2008.
Nel frattempo, a Roma, impazza la campagna elettorale per le elezioni
europee e, quindi, ogni tema é buono per dimostrare virtù dell’uno e
vizi dell’altro, in un mix incredibile di demagogia, anti-europeismo,
populismo e revisionismo storico dell’ultima ora.
Premesso che
il Governo ed il Parlamento si occupano della questione Ilva solo quando
nasce l’urgenza di approntare leggi che permettano ad un’industria
obsoleta e fatiscente di continuare a produrre l’acciaio italiano,
sull’intervento europeo non si spende neanche una parola, perché in
realtà di Taranto, della città e delle sue crude urgenze sanitarie ed
ambientali, é meglio non parlare. Del bisogno di dare attuazione alle
già carenti leggi promosse dagli stessi rappresentanti dei partiti che
hanno mal gestito la questione ILVA, non si parla e, anzi, si fa finta
di nulla.
Il Ministro della Salute fa finta che l’emergenza
sanitaria di Taranto, con il dilagare del cancro e delle malattie
respiratorie, non esista. I dati attuali sulle malattie ci sono, ma non
vengono resi pubblici dalle Amministrazioni ma confidati qua e là ad
amici e conoscenti perché sono dati che fanno impallidire. Gli ultimi
dati pubblici risalgono al 2010 (Studio Sentieri) e attestano un aumento
delle percentuali di tumore nelle zone limitrofe all’Ilva, con un
eccesso per tutti i tumori di circa il 20%. In particolare l’eccesso di
tumori al fegato é del +75%, all’utero +80%, al polmone +48%.
Il
Ministro dell’Ambiente fa finta che l’emergenza ambientale, la cui
gravità é stata compresa in pieno dalla Commissione Europea, non esista.
La struttura di commissariamento dell’Ilva, che fa capo al Ministero
stesso e quindi al Governo, fa finta che vada tutto bene.
L’Ilva
continua a produrre nella finzione generale, violando le norme perché
produce senza aver messo in atto le prescrizioni previste dalla legge
italiana ed europea, producendo senza aver realizzato alcun investimento
importante, senza aver smantellato l’area a caldo fortemente
inquinante, usando le stesse tecniche di produzione che liberano
diossine, benzoapirene, idrocarburi e che, secondo le perizie della
Procura di Taranto e i decreti del GIP, sono causa di malattia e di
morte, oltre che di disastro ambientale.
L’Ilva produce senza
aver pubblicato il Piano Ambientale che, secondo la legge del 6 febbraio
2014, costituisce modifica all’autorizzazione ambientale la quale già,
secondo la Commissione, viola la legge europea. L’azienda, secondo la
Commissione e secondo la Corte Costituzionale, produce violando tutto,
sopravvivendo senza un Piano Industriale, con ingenti debiti bancari,
tenuta in piedi perché il Governo Italiano ha deciso così.
Taranto é una law-free zone.
Da noi la legge non vale, non ha senso. Da noi comanda il padrone insieme ai partiti. Il resto non conta.
E questo resto é Taranto, il danno collaterale di una politica che ha
scelto di condannare un popolo, la politica che viene a chiederci il
voto per le elezioni europee dopo aver finto di non vedere, dopo aver
preferito allearsi con chi il danno lo ha causato, dopo aver offeso ed
umiliato migliaia di persone costrette a portare sulle proprie spalle
l’indifferenza della classe dirigente e la sua vergognosa promiscuità
con il padrone.
I partiti che sono oggi ai governi locale,
regionale e nazionale hanno delle colpe molto dirette: sono i
responsabili di un dramma che continua ad accentuarsi e per il quale, a
parte gli interventi europei, non si profilano azioni di alcun tipo.
Ci
si ricorda di Taranto solo quando si cercano strumenti per depotenziare
la lotta civile della città, come sta avvenendo in questo momento in
Senato, dove il tentativo di disinnescare la miccia dei reati ambientali
é salutato da tutti i partiti, compresi il Partito Democratico ed il
Movimento 5 Stelle, come un grande successo del diritto italiano.
Il
testo sui reati ambientali, infatti, approvato in febbraio dalla Camera
ed ora in discussione al Senato, introduce nel codice penale una nuova
sezione « Dei diritti contro l’ambiente », ridimensionandone
immediatamente la portata e fornendo all’inquinatore una serie di
strumenti attraverso i quali aggirare gli ostacoli. Perché, affinché un
crimine ambientale possa essere considerato tale, si dovrà prima di
tutto poterlo qualificare come irreversibile, e solo in tal modo
perseguire penalmente chi l’ha perpetrato o ha contribuito a farlo.
Attualmente,
il reato ambientale é perseguibile per reati astratti, che prevedono il
superamento di valori massimi per sostanze pericolose, reati puniti
come contravvenzione. Quindi, se da un lato la proposta di legge
inserisce il delitto di inquinamento ambientale, per il quale prevede
reclusione e multe fino a 100.000 euro nel caso in cui ci sia stata la
compromissione irreversibile dell’ecosistema o l’offesa della incolumità
pubblica, d’altro canto non definisce affatto tali concetti di
compromissione e di deterioramento, lasciando ampi margini di
interpretazione a chi dovrà giudicare reati anche gravi, come quelli
ipotizzati a Taranto. L’astrazione della definizione e il lavoro di
ricognizione scientifica che il testo chiama in causa fanno pensare che
il reato sarebbe ipotizzabile solo dopo anni di studio e di ricerca,
visto che per dichiarare irreversibile un danno ambientale, si deve aver
già provato a ristabilire la situazione originaria, attraverso una
serie di tentativi di bonifica e di decontaminazione.
Cosa accadrebbe nel processo ILVA se il giudice, prima di procedere,
dovesse aspettare che il sito Ilva, il quartiere Tamburi, l’ecosistema
tutto fossero dichiarati irreversibilmente compromessi ? Quale
ecosistema in particolare? Quanto ampio é il suo raggio ? Ne farebbero
parte le persone, i malati, i bambini, gli embrioni in utero che, mentre
scriviamo, stanno crescendo esposti ad ogni sorta di inquinanti? E gli
edifici ? I prati ? Gli alberi ? Su quale estensione ? La diossina ed
altri inquinanti restano decenni sulle superfici, il loro potere
cancerogeno non decade facilmente.
In un processo del genere, la
difesa chiederebbe nuove ed approfondite perizie per dimostrare che
Taranto non é davvero compromessa ! E come affermare scientificamente
che le bonifiche sull’ecosistema sono state realizzate con efficacia? E
sulle persone, sui bambini ? Come dimostrare di aver bonificato il mare e
la falda acquifera, il terreno, tutti i tetti di Taranto e provincia
che continueranno a restituirci le sostanze inquinanti che si sono
poggiate nei decenni? Dal punto di vista legale sarebbe pressoché
impossibile.
L’accertamento in giudizio di eventi quali la
“compromissione o deterioramento rilevante della qualità del suolo” e la
“alterazione irreversibile dell’equilibrio dell’ecosistema » appaiono
un’opera titanica per la difficoltà evidente di concordare su
interpretazioni troppo vaghe.
Sul principio europeo del «chi
inquina paga», invocato nuovamente dalla Commissione, la proposta di
legge presente in Senato afferma che chi ha inquinato potrebbe non dover
risarcire affatto il danno ambientale tranne nel vago caso in cui,
appunto, il danno sia irreversibile sul piano dell’ecosistema e la sua
riparazione "particolarmente onerosa" per lo Stato.
Per avviare una indagine si dovrà attendere la fine dell’ecosistema.
A
Taranto, nel frattempo, la solita vecchia politica locale e regionale
continua a vivere di vita propria, staccata dalla città, dai problemi
incredibili di cittadini lasciati soli a combattere contro l’Ilva,
contro le malattie e contro tutte le problematiche sociali presenti in
una realtà nella quale non esiste amministrazione da diversi anni.
La
Procura di Taranto attende l’avvio del processo contro i vertici
dell’Ilva e contro una buona parte della classe politica, incluso il
Presidente della Regione Puglia Vendola: udienza preliminare il 19
giugno 2014. Ma il processo é diventato come uno specchietto per le
allodole perché, a parte stabilire le responsabilità sui fatti passati
(le indagini sono chiuse), il processo purtroppo nulla può contro quello
che a Taranto si sta verificando adesso, nella totale impunità.
L’Ilva dovrebbe produrre rispettando non solo la debole autorizzazione
contestata dalla Commissione, ma anche la sentenza con cui la Corte
Costituzionale, nel Maggio 2013, ha ribadito la persistenza del vincolo
cautelare sulle aree ed impianti dello stabilimento – posto sotto
sequestro il 25 luglio 2012 – sottolineando che la produzione doveva
avvenire nel rispetto assoluto del protocollo autorizzativo.
Il
grave sbilanciamento nella tutela dei diritti in gioco risulta ancora
più evidente nel momento in cui l’Ilva dichiara di non poter mettere in
atto l’autorizzazione a causa di mancanza di fondi, questione che
costituiva preciso compito del Governo Italiano nel momento stesso in
cui presentava le legge finalizzata a garantire allo stabilimento Ilva
la piena produzione ed attività.
Come é possibile allora che il tempo passi e che non cambi nulla dal punto di vista concreto?
La
legge n.6 del 6 febbraio 2014, cosiddetta “legge Ilva/Terra dei
Fuochi”, complica ulteriormente le cose e attacca il diritto comunitario
europeo autorizzando l’Ilva a non attuare il 20% delle prescrizioni pur
mantenendo invariata la produzione. In quel 20% di prescrizioni
esentate, l’Ilva ed il Governo potranno includervi prescrizioni
importanti, che hanno degli effetti potenzialmente molto pericolosi per
la salute umana e l’ambiente.
Sembrerebbe quindi che il Governo
abbia deciso di porsi al di là del rispetto della Legge e delle
direttive europee e di andare anche contro la sentenza della Corte
Costituzionale.
In sostituzione della politica fallimentare, ci
si aspetterebbe che la Procura di Taranto intervenisse nuovamente per
l’avvio di indagini sullo stato di attuazione dell’AIA,
sull’inquinamento odierno, sulla legittimità della facoltà d’uso di
quegli impianti che sono ancora sotto sequestro dal 26 Luglio 2012, ma
che producono in modo invariato.
Mentre all’ospedale oncologico
Moscati di Taranto, che dovrebbe presidiare tutte le attività
oncologiche della città e della provincia, la mancanza di risorse é
arrivata al punto tale da indurre la sospensione del trasporto degli
ammalati dalla città all’ospedale stesso, si attende che qualcosa cambi.
(30 aprile 2014).
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mercoledì 30 aprile 2014
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