mercoledì 30 aprile 2014

L’Ilva fuorilegge e il silenzio della politica.

Il 16 aprile scorso, la Commissione Europea ha notificato all’Italia una nuova lettera di messa in mora sulla vicenda ILVA/Taranto, aggravando pesantemente il quadro delle violazioni del diritto europeo commesse dall’Italia e sancendo, in modo netto, dei punti fondamentali della questione. Secondo la Commissione, infatti, l’Italia non sta tuttora rispettando non solo la direttiva IPPC (Industrial Pollution Prevention and Control) sull’inquinamento e la sua prevezione, ma neanche altre due direttive, in particolare quella sulle Emissioni Industriali (2010/75/EU) e la direttiva “Seveso”, sulla prevenzione dei rischi di incidenti industriali rilevanti.

micromega di Antonia Battaglia
La nuova messa in mora tocca punti nevralgici della questione ambientale e di conseguenza sanitaria, quali il trattamento e lo stoccaggio dei rifiuti, gli scarichi delle acque di lavorazione in mare e nel sottosuolo e, addirittura, il diritto stesso dell’Ilva a produrre. La Commissione ha infatti scritto al Governo Italiano che l’inquinamento significativo prodotto dall’azienda nell’area circostante allo stabilimento (Taranto) costituisce un pericolo immediato per la salute umana e che, nell’autorizzazione rilasciata dal Governo per continuare la produzione (Autorizzazione Integrata Ambientale), non ci sono i requisiti necessari a garantire la continuazione dell’attività stessa.

Un affondo senza precedenti, nel quale, richiamandosi all’articolo 8.2 della direttiva sulle Emissioni Industriali, invocato da PeaceLink nel recente incontro a Beuxelles con il Commissario Potocnik, si scrive per la prima volta che “le condizioni di produzione dell'Ilva rappresentano una minaccia di immediati effetti avversi anche sull'ambiente ed impongono all'Italia l'obbligo di sospendere le operazioni delle parti rilevanti dello stabilimento".

A difesa dei diritti di Taranto, dei suoi lavoratori, dei suoi cittadini, dei suoi bambini, contrariamente a quanto fatto dai governi italiani che si sono succeduti negli ultimi decenni, le istituzioni europee entrano in campo in modo ancora più netto di quanto avessero fatto con la prima lettera di messa in mora del settembre dell’anno scorso, indicando che l’Ilva non fornisce un rapporto di sicurezza sugli stabilimenti dal ben lontano 2008.
Nel frattempo, a Roma, impazza la campagna elettorale per le elezioni europee e, quindi, ogni tema é buono per dimostrare virtù dell’uno e vizi dell’altro, in un mix incredibile di demagogia, anti-europeismo, populismo e revisionismo storico dell’ultima ora.

Premesso che il Governo ed il Parlamento si occupano della questione Ilva solo quando nasce l’urgenza di approntare leggi che permettano ad un’industria obsoleta e fatiscente di continuare a produrre l’acciaio italiano, sull’intervento europeo non si spende neanche una parola, perché in realtà di Taranto, della città e delle sue crude urgenze sanitarie ed ambientali, é meglio non parlare. Del bisogno di dare attuazione alle già carenti leggi promosse dagli stessi rappresentanti dei partiti che hanno mal gestito la questione ILVA, non si parla e, anzi, si fa finta di nulla.

Il Ministro della Salute fa finta che l’emergenza sanitaria di Taranto, con il dilagare del cancro e delle malattie respiratorie, non esista. I dati attuali sulle malattie ci sono, ma non vengono resi pubblici dalle Amministrazioni ma confidati qua e là ad amici e conoscenti perché sono dati che fanno impallidire. Gli ultimi dati pubblici risalgono al 2010 (Studio Sentieri) e attestano un aumento delle percentuali di tumore nelle zone limitrofe all’Ilva, con un eccesso per tutti i tumori di circa il 20%. In particolare l’eccesso di tumori al fegato é del +75%, all’utero +80%, al polmone +48%.

Il Ministro dell’Ambiente fa finta che l’emergenza ambientale, la cui gravità é stata compresa in pieno dalla Commissione Europea, non esista. La struttura di commissariamento dell’Ilva, che fa capo al Ministero stesso e quindi al Governo, fa finta che vada tutto bene.

L’Ilva continua a produrre nella finzione generale, violando le norme perché produce senza aver messo in atto le prescrizioni previste dalla legge italiana ed europea, producendo senza aver realizzato alcun investimento importante, senza aver smantellato l’area a caldo fortemente inquinante, usando le stesse tecniche di produzione che liberano diossine, benzoapirene, idrocarburi e che, secondo le perizie della Procura di Taranto e i decreti del GIP, sono causa di malattia e di morte, oltre che di disastro ambientale.

L’Ilva produce senza aver pubblicato il Piano Ambientale che, secondo la legge del 6 febbraio 2014, costituisce modifica all’autorizzazione ambientale la quale già, secondo la Commissione, viola la legge europea. L’azienda, secondo la Commissione e secondo la Corte Costituzionale, produce violando tutto, sopravvivendo senza un Piano Industriale, con ingenti debiti bancari, tenuta in piedi perché il Governo Italiano ha deciso così.

Taranto é una law-free zone.

Da noi la legge non vale, non ha senso. Da noi comanda il padrone insieme ai partiti. Il resto non conta.
E questo resto é Taranto, il danno collaterale di una politica che ha scelto di condannare un popolo, la politica che viene a chiederci il voto per le elezioni europee dopo aver finto di non vedere, dopo aver preferito allearsi con chi il danno lo ha causato, dopo aver offeso ed umiliato migliaia di persone costrette a portare sulle proprie spalle l’indifferenza della classe dirigente e la sua vergognosa promiscuità con il padrone.

I partiti che sono oggi ai governi locale, regionale e nazionale hanno delle colpe molto dirette: sono i responsabili di un dramma che continua ad accentuarsi e per il quale, a parte gli interventi europei, non si profilano azioni di alcun tipo.

Ci si ricorda di Taranto solo quando si cercano strumenti per depotenziare la lotta civile della città, come sta avvenendo in questo momento in Senato, dove il tentativo di disinnescare la miccia dei reati ambientali é salutato da tutti i partiti, compresi il Partito Democratico ed il Movimento 5 Stelle, come un grande successo del diritto italiano.

Il testo sui reati ambientali, infatti, approvato in febbraio dalla Camera ed ora in discussione al Senato, introduce nel codice penale una nuova sezione « Dei diritti contro l’ambiente », ridimensionandone immediatamente la portata e fornendo all’inquinatore una serie di strumenti attraverso i quali aggirare gli ostacoli. Perché, affinché un crimine ambientale possa essere considerato tale, si dovrà prima di tutto poterlo qualificare come irreversibile, e solo in tal modo perseguire penalmente chi l’ha perpetrato o ha contribuito a farlo.

Attualmente, il reato ambientale é perseguibile per reati astratti, che prevedono il superamento di valori massimi per sostanze pericolose, reati puniti come contravvenzione. Quindi, se da un lato la proposta di legge inserisce il delitto di inquinamento ambientale, per il quale prevede reclusione e multe fino a 100.000 euro nel caso in cui ci sia stata la compromissione irreversibile dell’ecosistema o l’offesa della incolumità pubblica, d’altro canto non definisce affatto tali concetti di compromissione e di deterioramento, lasciando ampi margini di interpretazione a chi dovrà giudicare reati anche gravi, come quelli ipotizzati a Taranto. L’astrazione della definizione e il lavoro di ricognizione scientifica che il testo chiama in causa fanno pensare che il reato sarebbe ipotizzabile solo dopo anni di studio e di ricerca, visto che per dichiarare irreversibile un danno ambientale, si deve aver già provato a ristabilire la situazione originaria, attraverso una serie di tentativi di bonifica e di decontaminazione.
Cosa accadrebbe nel processo ILVA se il giudice, prima di procedere, dovesse aspettare che il sito Ilva, il quartiere Tamburi, l’ecosistema tutto fossero dichiarati irreversibilmente compromessi ? Quale ecosistema in particolare? Quanto ampio é il suo raggio ? Ne farebbero parte le persone, i malati, i bambini, gli embrioni in utero che, mentre scriviamo, stanno crescendo esposti ad ogni sorta di inquinanti? E gli edifici ? I prati ? Gli alberi ? Su quale estensione ? La diossina ed altri inquinanti restano decenni sulle superfici, il loro potere cancerogeno non decade facilmente.

In un processo del genere, la difesa chiederebbe nuove ed approfondite perizie per dimostrare che Taranto non é davvero compromessa ! E come affermare scientificamente che le bonifiche sull’ecosistema sono state realizzate con efficacia? E sulle persone, sui bambini ? Come dimostrare di aver bonificato il mare e la falda acquifera, il terreno, tutti i tetti di Taranto e provincia che continueranno a restituirci le sostanze inquinanti che si sono poggiate nei decenni? Dal punto di vista legale sarebbe pressoché impossibile.

L’accertamento in giudizio di eventi quali la “compromissione o deterioramento rilevante della qualità del suolo” e la “alterazione irreversibile dell’equilibrio dell’ecosistema » appaiono un’opera titanica per la difficoltà evidente di concordare su interpretazioni troppo vaghe.

Sul principio europeo del «chi inquina paga», invocato nuovamente dalla Commissione, la proposta di legge presente in Senato afferma che chi ha inquinato potrebbe non dover risarcire affatto il danno ambientale tranne nel vago caso in cui, appunto, il danno sia irreversibile sul piano dell’ecosistema e la sua riparazione "particolarmente onerosa" per lo Stato.

Per avviare una indagine si dovrà attendere la fine dell’ecosistema.

A Taranto, nel frattempo, la solita vecchia politica locale e regionale continua a vivere di vita propria, staccata dalla città, dai problemi incredibili di cittadini lasciati soli a combattere contro l’Ilva, contro le malattie e contro tutte le problematiche sociali presenti in una realtà nella quale non esiste amministrazione da diversi anni.

La Procura di Taranto attende l’avvio del processo contro i vertici dell’Ilva e contro una buona parte della classe politica, incluso il Presidente della Regione Puglia Vendola: udienza preliminare il 19 giugno 2014. Ma il processo é diventato come uno specchietto per le allodole perché, a parte stabilire le responsabilità sui fatti passati (le indagini sono chiuse), il processo purtroppo nulla può contro quello che a Taranto si sta verificando adesso, nella totale impunità.
L’Ilva dovrebbe produrre rispettando non solo la debole autorizzazione contestata dalla Commissione, ma anche la sentenza con cui la Corte Costituzionale, nel Maggio 2013, ha ribadito la persistenza del vincolo cautelare sulle aree ed impianti dello stabilimento – posto sotto sequestro il 25 luglio 2012 – sottolineando che la produzione doveva avvenire nel rispetto assoluto del protocollo autorizzativo.

Il grave sbilanciamento nella tutela dei diritti in gioco risulta ancora più evidente nel momento in cui l’Ilva dichiara di non poter mettere in atto l’autorizzazione a causa di mancanza di fondi, questione che costituiva preciso compito del Governo Italiano nel momento stesso in cui presentava le legge finalizzata a garantire allo stabilimento Ilva la piena produzione ed attività.
Come é possibile allora che il tempo passi e che non cambi nulla dal punto di vista concreto?
La legge n.6 del 6 febbraio 2014, cosiddetta “legge Ilva/Terra dei Fuochi”, complica ulteriormente le cose e attacca il diritto comunitario europeo autorizzando l’Ilva a non attuare il 20% delle prescrizioni pur mantenendo invariata la produzione. In quel 20% di prescrizioni esentate, l’Ilva ed il Governo potranno includervi prescrizioni importanti, che hanno degli effetti potenzialmente molto pericolosi per la salute umana e l’ambiente.

Sembrerebbe quindi che il Governo abbia deciso di porsi al di là del rispetto della Legge e delle direttive europee e di andare anche contro la sentenza della Corte Costituzionale.

In sostituzione della politica fallimentare, ci si aspetterebbe che la Procura di Taranto intervenisse nuovamente per l’avvio di indagini sullo stato di attuazione dell’AIA, sull’inquinamento odierno, sulla legittimità della facoltà d’uso di quegli impianti che sono ancora sotto sequestro dal 26 Luglio 2012, ma che producono in modo invariato.
Mentre all’ospedale oncologico Moscati di Taranto, che dovrebbe presidiare tutte le attività oncologiche della città e della provincia, la mancanza di risorse é arrivata al punto tale da indurre la sospensione del trasporto degli ammalati dalla città all’ospedale stesso, si attende che qualcosa cambi.

(30 aprile 2014).

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