Le trattative con Forza Italia e sinistra pd. Oggi vertice Renzi-Finocchiaro. Diminuirà il numero dei senatori indicati dal capo dello Stato.
ROMA
- I tempi delle riforme si allungano. Ma dopo settimane di braccio di
ferro, con i partiti e dentro il Pd, a Palazzo Chigi si sono convinti
che un primo compromesso sul Senato delle autonomie sia a portata di
mano. La moral suasion del capo dello Stato sembra aver placato gli
animi dei senatori e convinto anche i renziani che il
prendere-o-lasciare sia un metodo rischioso quando di mezzo c’è la
Costituzione. A parole i fedelissimi del segretario mantengono il punto e
insistono nel dire che sul passaggio più controverso - la non
elettività dei futuri senatori - il governo non cambia idea. Ma intanto,
dietro le quinte, si tratta.
Il ministro Maria Elena Boschi e
il vicesegretario del Pd, Lorenzo Guerini, hanno tenuto anche ieri i
contatti con Denis Verdini e Paolo Romani per rabbonire Forza Italia e
smussare alcuni spigoli del testo che non convincono Berlusconi. Lo
scoglio più alto, però, resta l’ala «dissidente» del Pd e sul fronte
interno oggi si muoverà Matteo Renzi: vedrà la presidente della
commissione Affari costituzionali, Anna Finocchiaro, parlerà con il
capogruppo Luigi Zanda e, domani alle 9, affronterà i senatori. Non sarà
una riunione al buio, perché il leader da giorni lavora a una possibile
soluzione. Intervistato da Lucia Annunziata a In mezz’ora Renzi ha
aperto uno spiraglio alle istanze della minoranza del Pd: «Oggi la linea
di fondo è che i consiglieri individuano al proprio interno quale
consigliere regionale va al Senato, questo può essere un punto di
mediazione».
La relatrice Finocchiaro sta lavorando al
testo base che sarà incardinato mercoledì a Palazzo Madama in tandem
con il relatore di minoranza, Roberto Calderoli. E dai partiti trapela
che i quattro pilastri di Renzi - i senatori non votano la fiducia, non
percepiscono indennità, non votano leggi di bilancio e non vengono
eletti dai cittadini - restano saldi. L’ultimo punto è il più delicato.
Poiché in commissione si è saldato un fronte favorevole al disegno di
legge di Vannino Chiti, che prevede l’elezione diretta, Renzi deve
trovare un punto d’incontro per scongiurare che in Aula si scateni la
battaglia degli emendamenti. Gaetano Quagliariello (Ncd) ritiene «una
cosa di buon senso» l’apertura di Renzi alle proposte di Calderoli e del
lettiano Francesco Russo sull’elettività e la spiega così: «Quando si
eleggono i consigli regionali, alcuni consiglieri vengono designati come
senatori e poi sarà il Consiglio a scegliere, tra i designati, chi
dovrà andare a Palazzo Madama». Una via di mezzo tra elezione diretta ed
elezione di secondo grado, che (nelle interpretazioni più spinte)
prevede appositi listini collegati ai consigli regionali.
Non sarà, questa, l’unica modifica al testo del governo.
La rappresentanza dei sindaci, da più parti giudicata spropositata,
verrà ridotta a vantaggio delle Regioni. Diminuirà il numero dei
senatori nominati dal capo dello Stato, che nel progetto Boschi sono 21 e
che il Nuovo centrodestra vorrebbe abolire del tutto. E la
rappresentanza regionale verrà riequilibrata: nel ddl del governo Molise
e Lombardia hanno lo stesso numero di senatori, mentre la bozza
Finocchiaro prevede che il numero di membri sia in rapporto alla
popolazione. Quanto al Titolo V, la clausola di salvaguardia statale
sarà a geometria variabile: lo Stato potrà richiamare a sé alcune
materie, ma potrà farlo anche solo per certe Regioni e non per altre.
Anche le competenze sono state riviste, come richiesto da Berlusconi
(che non vuole trasformare il Senato in un «dopolavoro di sindaci») e
dalla minoranza del Pd.
Alle 17 al Teatro Eliseo si riunirà per
la prima volta quel «correntone» di giovani «riformisti» del Pd che ha
trovato nel capogruppo alla Camera, Roberto Speranza, uno dei punti di
riferimento. Un passaggio atteso dai renziani per capire l’atteggiamento
che bersaniani, lettiani e dalemiani terranno anche sulle riforme. Il
senatore Miguel Gotor, che è stato un fiero oppositore di Renzi, ora è
in prima linea tra chi, a sinistra, spinge per cambiare il
bicameralismo: «Far fallire il progetto sarebbe un suicidio, per il
governo e per il Pd. Ritengo ridicolo impiccarsi ai tecnicismi.
L’elettività indiretta è un buon punto di mediazione». Il resto
funziona? «Gli aspetti da cambiare sono diversi. Il tema chiave è il
bilanciamento dei poteri. E vedo con difficoltà che uno possa fare al
tempo stesso il sindaco di una grande città come Roma o Milano, il
presidente dell’area metropolitana e anche il senatore. Sono questioni
di buon senso».
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