Una
società per azioni, secondo il codice civile, è un’organizzazione
finalizzata al profitto, che va ripartito tra gli azionisti in funzione
delle azioni possedute. Già questa constatazione formale giustifica
perplessità: come mai lo Stato, o altre amministrazioni pubbliche che non hanno certo fini di profitto,
dovrebbe costituire società per azioni che possiede al 100%? Queste
certo non operano in mercati concorrenziali, quindi se fanno profitti,
verosimilmente si tratta di rendite di monopolio, cioè di risorse
indebitamente sottratte agli utenti. Questo fatto a priori sembra
configgere con l’interesse pubblico.
Ma certo vi sono anche
società per azioni pubbliche pesantemente sussidiate dallo Stato.
Evidentemente in questo caso producono servizi cui lo Stato attribuisce utilità sociali,
e quindi non vuole immetterle nel libero mercato, anche se
notoriamente non vi sono nessi tra socialità e soggetto che produce il
servizio, ma solo tra socialità e caratteristiche di prezzo e qualità
dei servizi pubblici forniti ai cittadini.
Altre società pubbliche gestiscono “monopoli naturali”,
cioè infrastrutture, che per loro natura non si possono mettere in
concorrenza. Ma questo ruolo è affidato in alcuni casi a soggetti
privati, con una logica mai esplicitata.
Infine nel proliferare di
SpA pubbliche negli anni passati, sono sorte anche società che svolgono
funzioni di regolatori o di controllori o di stazioni appaltanti, un
ruolo squisitamente ed esclusivamente pubblico.
Sarà il caso di
entrare in qualche dettaglio per un settore rilevante, quello dei
trasporti, in cui questo tipo di società dominano.
Le Ferrovie dello Stato sono una SpA pubblica, pesantemente sussidiata con circa 7 miliardi all’anno,
dirette fino a pochi giorni fa dall’ing. Moretti. Dichiarano di fare
profitti a valle di questa erogazione di denaro, sostanzialmente
arbitraria (nessuno ha mai spiegato perché non il doppio o la metà). Per
rimanere nelle infrastrutture, le autostrade sono affidate con
contratti di lungo periodo sia a società pubbliche che a privati (la
maggiore, Autostrade per I’Italia, fa capo ai fratelli Benetton), senza
che se ne capisca il criterio.
Lo stesso vale per gli aeroporti (il
primo esempio è la SEA del comune di Milano, il secondo Aeroporti di
Roma ancora facente capo ai Benetton). Aereoporti e autostrade private
in genere fanno profitti .
E sono per la gran parte SpA pubbliche
la moltitudine di aziende del trasporto locale, possedute da Comuni e
Regioni e sussidiate con circa 5 miliardi all’anno dallo Stato e dagli
enti locali, che presentano livelli di efficienza molto bassi.
Fino a due anni fa c’era il caso dell’ANAS SpA:
controllava le concessioni autostradali e nello stesso tempo era
concessionaria essa stessa di autostrade, con una duplicità di ruoli
che comportò il ritorno delle funzioni di controllo al Ministero dei
Trasporti. Tuttavia si è mantenuto apparentemente un elevato livello di
vincolo, tipico dei contratti di natura privatistica tra SpA, alla
divulgazione dei piani finanziari che sono alla base delle concessioni,
che risultano ancora sostanzialmente “segretati”, e difficilmente
visibili anche ad un parlamentare che li chiedesse….Eppure si tratta di
documenti di rilevante interesse pubblico.
Ma vi sono, nel settore
aereo, ENAC per il controllo di aeroporti e compagnie aeree, e ENAV per
l’assistenza al volo, entrambe SpA con funzioni totalmente pubbliche.
(Alitalia era anch’essa una SpA pubblica, con i risultati a tutti
noti….).
Recentemente poi è stata costituita una SpA in Lombardia
(“Infrastrutture Lombarde”) con il compito esclusivo di concedente di
autostrade nuove. Ha avuto adesso gravi problemi con la giustizia, ma
era notoriamente un modello di grande successo, che si accingeva ad
essere imitato in molte altre regioni.
Quali sono gli obiettivi
sempre dichiarati, all’atto della costituzione di SpA pubbliche? Sempre
l’efficienza, per bacco, per potersi liberare di lacci e lacciuoli che
paralizzano le attività dei ministeri…
Non sembra difficile pensare che si tratti di un velo patetico che occulta obiettivi ben meno nobili.
Innanzitutto perchè consente totale disinvoltura sia nelle assunzioni
del personale, a tutti i livelli, che nelle retribuzioni, in media
nettamente più alte che nello stato (qui impera il voto di scambio,
molto più agevole che nelle strutture pubbliche tradizionali….). Poi
perché spesso non hanno sostituito ma si sono sovrapposte a funzioni
dello stato. In terzo luogo, e probabilmente questa è la motivazione più
rilevante, perché consentono di aggirare, grazie alla loro (solo
formale!) natura privatistica, molti vincoli di bilancio o di
trasparenza richiesti dall’Europa.
Tra l’altro non sono mai stati analizzati i guadagni di efficienza dichiarati:
tutte le evidenze che emergono sembrano indicare il contrario, e
confermare possibilità di sottogoverno molto più agili. Anche
tecnicamente è molto difficile ottenere una esatta informazione sulla
reale efficienza di imprese non esposte alla concorrenza.
Che
fare? La risposta sembra davvero semplice, e si rifà ad un solido
“mantra” anglosassone: “il pubblico faccia il pubblico, e il privato il
privato”. Cioè lo Stato smetta di produrre direttamente alcunché
(producevamo anche i panettoni…), e si concentri sul garantire ai
cittadini buoni servizi e infrastrutture a bassi costi, sottraendosi ai
conflitti di interesse (“proteggo la mia impresa o gli
utenti/contribuenti?”) che oggi dominano. Per ottenere produzioni
efficienti, i privati, e non certo per il loro buon cuore, sono molto
più portati, e questa loro attitudine va usata sia attraverso
l’affidamento periodico in gara delle concessioni, che attraverso
autorità di regolazione (cfr. quella recente istituita per i trasporti),
realmente indipendenti e dotate di poteri adeguati, anche nel difendere
le imprese dalle interferenze indebite dalla politica nelle gestioni.
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