Consiglio europeo. Intesa per evitare
crack bancari. Un salto federalista, che sarà attuato a un ritmo molto
progressivo, per spezzare il legame tra crisi bancarie e debito
pubblico. Ma non è certo che abbia effetti sullo spread e sulle
differenze tra paesi nelle concessioni dei prestiti
Gli ottimisti sostengono che se l’accordo sull’Unione bancaria
sottoposto al Consiglio europeo dopo il compromesso raggiunto
nella notte tra mercoledi’ e giovedi’ dai ministri delle finanze dei
28 paesi della Ue fosse stato in vigore nel 2008, praticamente il
99% delle crisi bancarie che hanno scosso la zona euro – e si sono poi
ripercosse nell’economia reale – sarebbero state risolte senza far
ricorso al denaro pubblico, cioè alle tasche dei contribuenti.
I pessimisti hanno invece dei dubbi sui tempi lunghi previsti dal
compromesso sull’Unione bancaria, che non sarà operativa prima del
2026, mentre le banche, chiamate a costituire un fondo di
risoluzione (una specie di assicurazione) che a régime non
supererà comunque i 60 miliardi di euro (per salvare le banche
spagnole Madrid ha preso in prestito 40 miliardi), già cominciano
a frenare sull’entità della loro partecipazione (e chiedono che
venga finanziata attraverso una tassa, cioè dai contribuenti)
.
.
Il ministro del Tesoro italiano,
Fabrizio Saccomanni, come i suoi colleghi delle finanze, ha
definito “storico” l’accordo. Di “storico” c’è in effetti il fatto
che si tratta di un salto federale importante, perché all’orizzonte
di una decina di anni, progressivamente, la risoluzione delle
crisi bancarie future verrà tolta dalla sfera degli stati, per
passare all’unione. L’accordo spezza il legame velenoso tra crisi
bancarie e debito pubblico. Ma la strada sarà lunga: i tedeschi
chiedono un nuovo trattato, che sarà intergovernativo, di modo che
i fondi comuni non saranno gestiti da un’istituzione comunitaria (la
Commissione ne rivendicava la gestione), ma prima di una
“mutualizzazione” (relativa, viste le somme relativamente basse)
ad ogni stato incomberà il dovere di far fronte alle crisi delle
proprie banche. La gerarchia di chi sarà chiamato a pagare in caso
di crisi, per evitare un fallimento ordinato di una banca è la
seguente: gli azionisti della banca, chi ha sottoscritto delle
obbligazioni, i correntisti (c’è una garanzia fino a 100mila euro,
pero’ non scritta nero su bianco), il fondo di risoluzione (in un
primo tempo diviso in compartimenti nazionali, in seguito
mutualizzato) e, infine, se il buco è troppo grosso, di nuovo
i contribuenti. Il Mes (Meccanismo europeo di stabilità) sarà
anch’esso chiamato in causa nel periodo di transizione, anche se
i tedeschi hanno imposto che gli stati si portino garanti di questi
eventuali prestiti. Le principali banche (130 grandi più 200 di
media dimensione) sono messe sotto la supervisione della Bce, che
rafforza cosi’ la sua posizione, controllando istituti che
rappresentano all’incirca l’85% degli attivi bancari.
L’Unione bancaria dovrebbe riportare
un po’ di fiducia nel settore bancario, dove nessuno si fida più di
nessuno. La speranza è che l’abbozzo di Unione bancaria mandi un
segnale positivo per far diminuire la frammentazione del settore
bancario della zona euro, dove i tassi di interesse restano
divergenti tra paese e paese (lo spread). Si spera, inoltre, di
attenuare le differenze sul livello dei crediti concessi, limando
un po’ la stretta che colpisce il sud della zona euro.
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