venerdì 20 dicembre 2013

Unione bancaria: accordo storico?



Consiglio europeo. Intesa per evitare crack bancari. Un salto federalista, che sarà attuato a un ritmo molto progressivo, per spezzare il legame tra crisi bancarie e debito pubblico. Ma non è certo che abbia effetti sullo spread e sulle differenze tra paesi nelle concessioni dei prestiti
Gli otti­mi­sti sosten­gono che se l’accordo sull’Unione ban­ca­ria sot­to­po­sto al Con­si­glio euro­peo dopo il com­pro­messo rag­giunto nella notte tra mer­co­ledi’ e gio­vedi’ dai mini­stri delle finanze dei 28 paesi della Ue fosse stato in vigore nel 2008, pra­ti­ca­mente il 99% delle crisi ban­ca­rie che hanno scosso la zona euro – e si sono poi riper­cosse nell’economia reale – sareb­bero state risolte senza far ricorso al denaro pub­blico, cioè alle tasche dei con­tri­buenti. I pes­si­mi­sti hanno invece dei dubbi sui tempi lun­ghi pre­vi­sti dal com­pro­messo sull’Unione ban­ca­ria, che non sarà ope­ra­tiva prima del 2026, men­tre le ban­che, chia­mate a costi­tuire un fondo di riso­lu­zione (una spe­cie di assi­cu­ra­zione) che a régime non supe­rerà comun­que i 60 miliardi di euro (per sal­vare le ban­che spa­gnole Madrid ha preso in pre­stito 40 miliardi), già comin­ciano a fre­nare sull’entità della loro par­te­ci­pa­zione (e chie­dono che venga finan­ziata attra­verso una tassa, cioè dai contribuenti)
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Il mini­stro del Tesoro ita­liano, Fabri­zio Sac­co­manni, come i suoi col­le­ghi delle finanze, ha defi­nito “sto­rico” l’accordo. Di “sto­rico” c’è in effetti il fatto che si tratta di un salto fede­rale impor­tante, per­ché all’orizzonte di una decina di anni, pro­gres­si­va­mente, la riso­lu­zione delle crisi ban­ca­rie future verrà tolta dalla sfera degli stati, per pas­sare all’unione. L’accordo spezza il legame vele­noso tra crisi ban­ca­rie e debito pub­blico. Ma la strada sarà lunga: i tede­schi chie­dono un nuovo trat­tato, che sarà inter­go­ver­na­tivo, di modo che i fondi comuni non saranno gestiti da un’istituzione comu­ni­ta­ria (la Com­mis­sione ne riven­di­cava la gestione), ma prima di una “mutua­liz­za­zione” (rela­tiva, viste le somme rela­ti­va­mente basse) ad ogni stato incom­berà il dovere di far fronte alle crisi delle pro­prie ban­che. La gerar­chia di chi sarà chia­mato a pagare in caso di crisi, per evi­tare un fal­li­mento ordi­nato di una banca è la seguente: gli azio­ni­sti della banca, chi ha sot­to­scritto delle obbli­ga­zioni, i cor­ren­ti­sti (c’è una garan­zia fino a 100mila euro, pero’ non scritta nero su bianco), il fondo di riso­lu­zione (in un primo tempo diviso in com­par­ti­menti nazio­nali, in seguito mutua­liz­zato) e, infine, se il buco è troppo grosso, di nuovo i con­tri­buenti. Il Mes (Mec­ca­ni­smo euro­peo di sta­bi­lità) sarà anch’esso chia­mato in causa nel periodo di tran­si­zione, anche se i tede­schi hanno impo­sto che gli stati si por­tino garanti di que­sti even­tuali pre­stiti. Le prin­ci­pali ban­che (130 grandi più 200 di media dimen­sione) sono messe sotto la super­vi­sione della Bce, che raf­forza cosi’ la sua posi­zione, con­trol­lando isti­tuti che rap­pre­sen­tano all’incirca l’85% degli attivi bancari.
L’Unione ban­ca­ria dovrebbe ripor­tare un po’ di fidu­cia nel set­tore ban­ca­rio, dove nes­suno si fida più di nes­suno. La spe­ranza è che l’abbozzo di Unione ban­ca­ria mandi un segnale posi­tivo per far dimi­nuire la fram­men­ta­zione del set­tore ban­ca­rio della zona euro, dove i tassi di inte­resse restano diver­genti tra paese e paese (lo spread). Si spera, inol­tre, di atte­nuare le dif­fe­renze sul livello dei cre­diti con­cessi, limando un po’ la stretta che col­pi­sce il sud della zona euro.

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