Sono gli ultimi giorni di guerra, i
soldati tedeschi muoiono a grappoli sotto i gas e le bombe inglesi nelle
Fiandre. Si prepara la pace di Versailles: l’imperatore Guglielmo II e
Max von Baden, il cancelliere, stanno trattando con gli alleati.
Da mesi la capitale Berlino è sconvolta dalle proteste lanciate dallo Spartakus-Bund, la principale formazione comunista tedesca scissasi nel 1914 dai socialdemocratici della SPD.
Niccolò Koenig
Lo Spartakus invoca l’immediata fine della guerra e una riforma radicale di stampo socialista nel Reich, e in città scoppiano disordini.
Nello stesso mese viene fondato dai membri del comitato esecutivo dello Spartakus Rosa Luxemburg, Karl Liebknecht ed Ernst Thälmann il KPD, il partito comunista tedesco. Agli inizi di dicembre, poco dopo la fine della guerra, il neonato KPD conta già oltre 150.000 iscritti, e il suo primo congresso si terrà tra dicembre 1918 e gennaio 1919.
Dopo la fuga dell’imperatore e la fondazione della Repubblica di Weimar, il KPD entra in parlamento. Subito propone un pacchetto di riforme di stampo socialista, tese a combattere
l’inflazione e i disagi sociali che seguono la fine della guerra e il
potere nascente di gruppi paramilitari di estrema destra. Le
riforme, che trovano grandissima approvazione popolare, sono tuttavia
respinte da SPD, liberali ed estrema destra, e il presidente della
repubblica Friedrich Ebert (SPD) decide di usare il pugno di ferro con i comunisti che scendono in strada in tutto il paese per protestare contro la decisione del parlamento.
Le manifestazioni, inizialmente pacifiche, sono ovunque caricate dalla polizia ed assaltate dai nazionalisti di destra:
i morti si contano a dozzine, la sezione centrale di Berlino del
partito comunista viene data alle fiamme e il più esaltato tra coloro
che appiccano il fuoco all’edificio si chiama Adolf Hitler.
Mentre i deputati Haase, Dittmann e Barth si dimettono per protesta,
il KPD e lo Spartakus si danno appuntamento in piazza a Berlino il 5
gennaio per una grande manifestazione contro la repressione
violentissima attuata da Ebert e il rifiuto del parlamento di
varare le riforme necessarie per placare la crisi economica che comincia
ad attanagliare la Germania.
Le frange più estreme delle due
formazioni comuniste già nutrono progetti eversivi: viene scoperto un
attentato contro Ebert e due ministri del suo gabinetto, e la polizia
sospetta un tentativo di insurrezione.
Ebert fa dimettere il capo della
polizia di Berlino, considerato vicino ai comunisti, e lo fa sostituire
con Wilhelm Reinhard, che diventerà poi comandante delle SS, con
l’istruzione di “usare il pugno di ferro per impedire qualsiasi atto di matrice eversiva”. Reinhard riunisce soldati regolari e “gruppi volontari”, squadracce di estrema destra accomunate dall’odio per i comunisti.
La mattina del 5 gennaio lo
Spartakus-Bund in tutta la sua forza marcia per le strade di Berlino: i
comunisti sono 500.000 e inondano le strade della capitale di bandiere
rosse. I poliziotti hanno blindato le sedi della SPD e dei liberali con
cavalli di frisia e nidi di mitragliatrici. Si temono fortemente atti
violenti, e qualcuno insinua che i “volontari” di Reinhard non aspettino
altro.
Secondo Reinhard si sarebbero certamente verificati disordini più o meno gravi, ma nessuno immaginava che il
5 gennaio fosse stato scelto dall’ala radicale dello Spartakus e del
KPD come la data d’inizio della rivoluzione bolscevica tedesca.
Come in Russia, i rivoltosi attendono il momento opportuno: le armi non
mancano, si dice che siano state importate dalla Russia con la
complicità del Cremlino, in mano a Lenin. In tutto, i rivoltosi sono
alcune migliaia, tutti portano appuntata sul bavero della giacca la
stella rossa.
La “rivoluzione” inizia alle undici di mattina:
i bolscevichi tedeschi si staccano dal corteo e irrompono nella sede
del Vorwärts, il giornale della SPD. Vengono occupati fulmineamente
anche la redazione della Berliner Tageszeitung, il maggior quotidiano
berlinese, diverse stamperie e la centrale telegrafica. Dalla sede del
giornale pende ora uno striscione: “Proletari tedeschi, avanti alla lotta - Fronte bolscevico rivoluzionario”.
Le rotatorie vengono sfruttate per stampare decine di migliaia di
volantini che invitano la popolazione ad unirsi ai rivoluzionari.
Prima che Reinhard possa inviare un
reggimento alla riconquista degli edifici occupati, le strade sono
sbarrate da barricate e ovunque alle finestre compaiono bandiere rosse.
Dietro le bandiere, fanno capolino le canne dei fucili.
Il KPD, tuttavia, resta assolutamente sorpreso dall’insurrezione: il comitato centrale non era a conoscenza dei piani rivoluzionari della sua ala estremista.
Molti premono per prendere parte all’insurrezione, che sembra andare a
buon fine, ma molti preferiscono una dissociazione del KPD da ogni atto
armato. Ma il timore di Liebknecht è che una dissociazione possa
allontanare il neonato partito dai comunisti favorevoli all’azione
armata e portare a una scissione al suo interno. Dopo tre ore di
dibattito, il KPD aderisce alla rivoluzione ed esorta i suoi militanti ad armarsi e a prendere parte alla “lotta rivoluzionaria”.
Si forma un “comitato rivoluzionario”
composto da membri del KPD e dello Spartakus-Bund. I rivoltosi, che
raggiungono il numero di 50.000, falliscono nel tentativo di occupare il
parlamento e gli altri edifici istituzionali. Reinhard scatena addosso
ai comunisti tutti i 350.000 uomini della guarnigione berlinese. Per la
prima volta, la “rivoluzione” prende una piega negativa per i militanti
asserragliati nelle stamperie.
Il 10 gennaio, cinque giorni dopo
l’occupazione dei giornali, gli uomini di Reinhard sfondano le barricate
ed espugnano la sede del Vorwärts e le tipografie. Tutti i rivoltosi trovati in possesso di un’arma sono fucilati.
Adolf Hitler combatte in prima linea. Lo stesso giorno, Reinhard fa
arrestare tutti i membri del KPD trovati nella sezione centrale. Gli
insorti, scesi a 4.000, controllano solo la centrale telegrafica, che
perderanno il giorno seguente, 11 gennaio. La popolazione non si è unita
ai bolscevichi tedeschi, la rivoluzione è fallita.
Il 12 gennaio, tutto è finito. Rosa
Luxemburg e Karl Liebknecht sono fermati a casa di un amico e vengono
uccisi da soldati e ausiliari durante il tragitto verso la centrale di
polizia. Tentativi di rivoluzione a Potsdam e Dresda
falliscono. Altri seimila membri del partito comunista e dello Spartakus
vengono gettati nelle prigioni berlinesi, lo strascico della
repressione comincia. Partono i processi, che si concludono con 5800
assoluzioni e duecento condanne per “insurrezione armata” e “terrorismo
eversivo”. In seguito a questi verdetti e agli assassinii dei due leader
comunisti ci sono in tutta la Germania sommosse civili che terminano
solo nel maggio 1919 e provocano diverse migliaia di morti. Ma non sono
neanche embrioni di rivoluzione. Il KPD riesce a salvarsi solo con
l’aiuto diplomatico russo dall’essere dichiarato fuorilegge.
Dopo il fallimento della “rivoluzione di gennaio”, non vi sono più speranze di trasformare la repubblica di Weimar in paese socialista.
L’insurrezione, per certi versi molto simile a quella che si avrà,
sette anni dopo, in Spagna, si conclude con l’azzeramento delle
prospettive rivoluzionarie del movimento comunista tedesco. Tutti i suoi
membri più eminenti sono controllati a vista, molti in prigione. E
il popolo, come ha dimostrato con la sua mancanza di partecipazione
nelle sei giornate del gennaio 1919, non è dalla parte dei comunisti.
Nelle elezioni successive il KPD
ottiene tra il 10% e il 19% dei voti. Viene proibito con l’avvento al
potere dei nazisti. Le tombe di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht
verranno distrutte dalle SS e i loro assassini diventeranno negli anni
’40 alti funzionari del partito nazista.
Nonostante il fallimento globale del
comunismo, una Germania socialista e bolscevica nata da un successo
dell’insurrezione di gennaio avrebbe, secondo molti storici, evitato la
dittatura nazista. E con essa quaranta milioni di morti.
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