In piena pandemia da Coronavirus scontiamo sulla nostra pelle decenni di tagli nel settore pubblico e a tutela dei lavoratori,a favore dell'aumento delle spese militari
- di Federico Giusti 16/03/2020
Credits: https://www.google.com/amp/s/paoloborrello.wordpress.com/2018/11/14/quarantanni-di-spending-review/amp/
L'augurio è che in quarantena gli italiani inizino a ragionare con la loro testa e che non prevalgano panico e disinformazione.
Siamo in una sorta di stato di eccezione, regole ferree ma indispensabili a tutela della salute e sicurezza collettiva, ma regole che non valgono per molti, per gli operai, i facchini costretti a recarsi al lavoro nonostante gli ambienti ove sono costretti ad operare non siano in linea con i dettami di sicurezza richiesti.
I dati dimostrano come in pochi anni siano stati smantellati 700 posti letto ospedalieri ogni 100.000 abitanti. L'Organizzazione Mondiale della Sanità spiega come nel 1980 i posti letto fossero 922 per 100.000 abitanti, nel 2013 solo 275.
Fatti due conti possiamo asserire, senza smentita, che i tagli dei posti letto abbiano anche decretato la depauperizzazione di tutta la sanità pubblica, la terapia intensiva in primis.
Si sono tagliati posti letto e ospedali, la ricetta liberista
applicata anche ai trasporti con la cancellazione di tante tratte
giudicate rami secchi, o alla ricerca e alla istruzione pubblica
(crollo delle immatricolazioni alle università).
Allo stesso tempo li fondi destinati ai servizi pubblici sono diminuiti drasticamente, è cresciuta la disuguaglianza sociale ed economica. Sempre nello stesso periodo sono cresciute le spese militari, ormai pari al 2% del Pil come richiesto dalla Nato.
Per essere ancora più chiari è sufficiente ricordare come una nuova
portaerei costi quanto due ospedali con 4 mila posti letto, un caccia
da guerra quanto gli impianti di ventilazione per due terzi delle
regioni Italiane.
Possiamo anche sbagliare nei calcoli ma il senso della nostra osservazione è di facile comprensione: in
30 anni i ricchi sono diventati più ricchi, è cresciuta la povertà,
sono crollati i fondi destinati alla ricerca e all'innovazione.
E, nei tempi di contagio, esigere che si riducano le spese militari a
favore di quelle per la sanità è un imperativo categorico, dovrebbe
essere la comune rivendicazione di quanto resta della sinistra sindacale
e politica conflittuale.
In questi giorni le fabbriche sono scese in sciopero,
i sindacati confederali si sono svegliati troppo tardi come del resto
sempre accade, e quelli di base, dipinti come agitatori di professione,
avevano ragioni da vendere nel chiedere la chiusura delle aziende.
Stiamo prendendo atto di una situazione drammatica, Confindustria e il Sole 24 Ore ribadiscono come la produzione possa proseguire indisturbata nonostante l’emergenza coronavirus, pur nel rispetto delle direttive del Dpcm dell’11 marzo.
I datori di lavoro sono obbligati ad adottare misure e cautele ma crediamo assai
difficile tutelare la sicurezza dei lavoratori e delle lavoratrici
mantenendo la produzione e la presenza ravvicinata di operai. E
su questo punto il centrosinistra si è dimostrato assai più vicino
alle posizioni padronali che al sentire comune della classe
lavoratrice.
Le indicazioni poi di incentivare il ricorso allo smart working
non si addicono a gran parte dei posti di lavoro, basti pensare che
numerose realtà sono abbandonate al loro destino, devono decidere se
chiudere e mandare tutti a casa o mantenere aperto con tutti i rischi
del caso. Molti enti della Pubblica amministrazione
sono paralizzati, in seria difficoltà nell'adottare lo smart working
nonostante i dpcm e le circolari, l'arretratezza informatica e
tecnologica del pubblico è il risultato di 15 anni di tagli e di
spending review.
Il Governo sta preparando un Decreto
che a nostro avviso dovrà essere coraggioso per considerare tutte le
realtà, subordinate e autonome, colpite da questo autentico tsunami.
A parte la Pubblica amministrazione non esiste alcun
obbligo del datore di lavoro privato nella adozione di smart working
né viene richiamato a riorganizzare le modalità produttive e gestionali
in altro modo.
In questi giorni mancano persino gli aggiornamenti
del documento di valutazione dei rischi, si crea confusione tra le
competenze suddivise tra Stato e Regioni. La confusione regna sovrana perfino sui servizi essenziali pubblici
da garantire sempre e comunque. Il Dpcm dell’11 marzo raccomanda la
sospensione delle attività nei reparti aziendali considerati non
indispensabili alla produzione, si raccomanda di usufruire dei
permessi, dei congedi e dei Rol, sarebbe invece auspicabile un
provvedimento valido erga omnes per coprire le assenze senza gravare sui lavoratori, sulle loro ferie, sulle nostre retribuzioni.
Scontiamo i tagli alla Pubblica
amministrazione, i mancati investimenti tecnologici nel settore
privato, vengono a galla le responsabilità della ubriacatura
neoliberista tra tagli, delocalizzazioni, disinvestimenti nel settore pubblico.
16/03/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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