Nel complessivo definanziamento del Sistema sanitario nazionale, la spesa per investimenti in sanità in questi 18 anni è stata molto squilibrata territorialmente. Da Etica e Economia.L’emergenza coronavirus sta mettendo in luce le conseguenze del grave sotto-finanziamento del sistema sanitario nazionale (SSN), documentato da molte fonti; da ultimo, con semplicità e chiarezza da Reforming (2020). Sono da tempo disponibili molte analisi economiche del SSN, anche nelle sue articolazioni territoriali: si vedano per tutte quelle, recenti, dell’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB 2019) e della Fondazione Gimbe (2019). Esse si concentrano particolarmente sull’analisi della spesa corrente, che in sanità è della massima rilevanza sia per il personale sia per gli acquisti di beni (farmaci) e servizi. Convergono nel sottolineare il progressivo definanziamento del SSN; ricordano i meccanismi di riparto territoriale delle risorse e i bilanci sanitari regionali, sottolineando la più difficile situazione delle regioni del Sud, in termini finanziari e di esiti delle cure. In molti casi esse comprendono anche analisi sulle dotazioni strutturali del SSN e delle sue articolazioni regionali, in particolare in termini di posti-letto; anche da questo punto di vista vengono sottolineate crescenti differenze territoriali, soprattutto per gli effetti di riduzione della spesa indotti dai Piani di Rientro (ad esempio Aimone Gigio et al., 2018).
Può essere utile affiancare a questo vasto corpo di analisi una riflessione specifica sulla spesa in conto capitale in sanità, nell’insieme del paese e nelle Regioni. Questa analisi è possibile grazie al sistema dei Conti Pubblici Territoriali (CPT), che rende disponibili dati di cassa sulla spesa per investimenti pubblici in sanità, dal 2000 in poi, in valori costanti e consolidati per livello di governo (la spesa finale è effettuata per la quasi totalità dalle Aziende Sanitarie Locali). La figura 1 mostra il totale nazionale degli investimenti pubblici in sanità, a prezzi del 2010, fra il 2000 e il 2017; essi sono ammontati complessivamente a 47 miliardi di euro.
Stando al rapporto annuale della Corte dei Conti (2019, p. 244) sulla finanza pubblica, che analizza i bilanci delle ASL, si tratta di un livello molto inferiore, nel 2016, a quello degli altri paesi europei. “In Italia solo lo 0,3% del Prodotto è destinato ad accumulazione, contro importi più che doppi nelle principali economie europee: lo 1,1 della Germania, lo 0,6 della Francia. Superiori anche Spagna e Portogallo con rispettivamente lo 0,7 e lo 0,6”.
Ma di che parliamo? Dallo stesso Rapporto si può calcolare (dalla pagina 243, medie quadriennali 2015-18 a prezzi correnti), la composizione tipologica degli investimenti, che appare piuttosto qualificata in senso scientifico-tecnologico, e quindi di grande rilevanza per la qualità delle cure. Infatti, se per il 40% si tratta di terreni e fabbricati e per il 17% di mobili, automezzi e altri beni materiali, quasi un terzo della spesa (32%) è per attrezzature scientifiche e sanitarie, il 7% per impianti e macchinari e il 5% per immobilizzazioni immateriali.
La spesa per investimenti in sanità in questi 18 anni è stata poi molto squilibrata territorialmente. Dei 47 miliardi totali, oltre 27,4 sono stati spesi nelle regioni del Nord, 11,5 in quelle del Centro e 10,5 nel Mezzogiorno; in particolare in quest’ultima area, che nella media del periodo pesa per il 35% della popolazione italiana, gli investimenti sono stati pari al 17,9% del totale. In termini pro-capite, a fronte di una spesa nazionale media annua di 44,4 euro, quella nel Nord-Est è pari a 76,7 (cioè di ben tre quarti più alta), mentre quella nelle Isole è pari a 36,3 euro e nel Sud Continentale a 24,7: poco più della metà della media nazionale.
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