Le convulsioni del Sistema Sanitario Nazionale, la crisi del capitalismo, i balbettii dell’UE, la dittatura di Confindustria e delle multinazionali, il ricorso - inefficace per fermare il contagio - allo Stato di Polizia e all’Esercito, la militarizzazione preventiva dei territori e della società
La democrazia infetta e la carne viva del contagio
Il rischio a cui il coronavirus SARS-CoV-2 (causa
del contagio Covid-19) sta esponendo l’intera comunità umana ha
evidenziato (se qualcuno ne avesse avuto ancora il dubbio) le profonde differenze di classe
che attraversano le nostre società: è stata drammaticamente messa a
nudo la linea di separazione tra privilegiati e sommersi, anche se al
momento non ci sono farmaci o vaccini che possano garantire - neanche
ai ricchi – l’immunità o una cura. In una situazione di virulenta
precarietà esistenziale, con l’evidenza della fragilità e della
caducità della nostra vita, non si può tuttavia affermare di condividere
tutti il medesimo destino, di essere realmente tutti eguali: come è
evidente dalle cronache - e anche dagli scaffali ancora pieni,
brulicanti di merci nei supermercati - c’è una parte consistente di
società che non può rimanere a casa per proteggersi dal contagio,
riducendo i rapporti per contrastare la diffusione della pandemia e
rischiando di infettare i propri familiari. Al di là di polemiche
sterili, occorre analizzare il comportamento del governo Conte e le misure prese e che si annunciano. Tardivamente, cominciano ad arrivare provvedimenti a sostegno delle categorie non protette,
perché non possono lavorare, perché rischiano il posto, perché non
dotati di protezione nelle unità produttive, verso le famiglie con i
figli a casa da proteggere ed accudire. Tuttavia, il segno dei
provvedimenti resta condizionato dal mercato e dettato dal profitto.
Il lavoro ai tempi della pandemia
Assieme a professioni e mestieri fondamentali (gli
operatori sanitari: medici, infermieri, barellieri, farmacisti), vi sono
moltissime attività lavorative che ricoprono servizi o lavori
essenziali, ma che sono esposti al rischio di contagio perché
scarsamente protetti o semplicemente perché esposti al contatto con il
pubblico. Vi sono inoltre una serie di lavori collegati alla
produzione, alla distribuzione di merci, a servizi per la collettività e
le persone (farmaceutica, produzione di macchinari, strumenti e
dispositivi medici e protettivi, filiera alimentare, igiene ambientale,
assistenti domiciliari e sanitari) che sono essenziali e necessari
affinché il dramma non si aggravi con la disarticolazione delle
relazioni sociali. Infine, vi sono addetti che lavorano in settori che
non possono essere considerati essenziali e strategici, ma non si
interrompono per il timore che le aziende rischino la chiusura, con la
conseguente distruzione di occupazione.
Lo sfruttamento prima di salute e sicurezza
È in queste figure di lavoratori e lavoratrici che emerge con violenza la contraddizione propria del capitalismo: l'auto
sfruttamento delle piccole aziende e del lavoro autonomo delle partite
IVA, che non possono fermare la propria attività per non finire
espulse dal mercato, assieme allo sfruttamento intensivo delle grandi aziende che spremono la manodopera per realizzare più profitti possibile, in un’economia che sta rapidamente virando verso nuovi scenari che molti assimilano a quella di guerra.
La rappresentazione che si presenta plasticamente ai nostri occhi è quella di una società stratificata, con le classi proletarie (sia
lavoratori e lavoratrici dipendenti che le nuove figure del lavoro
precario, a tempo determinato, a intermittenza, a chiamata, interinale e
chi più ne ha, più ne metta) da parafulmine su cui si scarica tutto il peso dell’emergenza sanitaria:
nonostante gli allarmi che continuano ad alzarsi da chi è già passato
dalla tragica esperienza, i medici cinesi, ancora il Governo Conte non
riesce ad assumere appieno l’unica decisione sensata di fermare - con
un apposito e chiaro ordine tassativo – le aziende, le fabbriche, i
magazzini, la circolazione delle merci non essenziali. Il risultato
sono le fibrillazioni di un sistema che ha come priorità assoluta i
profitti e gli interessi del padronato, che irresponsabilmente ha
continuato nelle settimane passate (e continua tuttora) a infierire sui
lavoratori imponendo lo svolgimento delle mansioni e dei turni con
cinico spregio alla sicurezza e alla salute.
D’altronde, ci sono immagini che circolano in rete e nei servizi di alcune trasmissioni televisive che testimoniano la presenza
cospicua di operai all’ingresso delle fabbriche o di aziende della
logistica, e neppure i ripetuti scioperi dei giorni scorsi ha ancora
determinato la chiusura di tutte le attività produttive e commerciali
non essenziali. Addirittura, in piena emergenza mentre la
Lombardia era dichiarata zona rossa, il Presidente della Confindustria
lombarda Bonometti l’11 marzo si dichiarava contrario alla chiusura
completa: una posizione che non lascia dubbi alla sensibilità e agli
interessi che anche in una situazione così drammatica si vogliono
imporre e preservare. D’altronde, l’ultimo decreto governativo firmato
anche dalle confederazioni CGIL-CISL-UIL, ribadisce la dittatura di
Confindustria che non abbandona i propri interessi neppure di fronte ad
una emergenza globale. Non sarebbe invece il momento di mettere sotto
il controllo diretto del governo le banche, con tutti i conti e il
mercato dei titoli, e istituire una patrimoniale progressiva per avere
risorse da indirizzare intanto alla ricostruzione del Sistema Sanitario
Nazionale pubblico, alla cassa integrazione dei lavoratori, alla
sospensione dei mutui? Sarebbe una scelta razionale, con un segno
chiaramente in controtendenza.
Le convulsioni del sistema basato su mercato e profitti
La difficoltà decisionale mostrata dal Governo
nazionale, con lo stillicidio di provvedimenti in sequenza con la
crescita dell’intensità dei contagi e dei decessi, ha mostrato un esecutivo in stato confusionale che
non ha brillato in chiarezza comunicativa e chiara senza indugi e
tentennamenti, mostrata dal governo nazionale, deriva dalle troppe
ferite inflitte al sistema politico-istituzionale, culminato nella
modifica costituzionale del Titolo V - predisposta da D’Alema e Amato -
che ha sgretolato l’integrità dello Stato e in particolare del Sistema
Sanitario Nazionale nella devoluzione delle competenze alle Regioni, e
dal massacro sociale operato dai governi di destra e di
centro-sinistra, entrambi ammaliati dal mercato selvaggio impostosi in
quaranta anni di capitalismo neoliberista: le convulsioni della sanità a
cui assistiamo sono aggravate da decenni di politiche di austerità
funzionali a estrarre profitti, nella lunga fase di crisi sistemica del
capitale che, dagli anni Ottanta del Novecento, proietta le sue ferali
ombre fino ad oggi, con scosse telluriche sempre più devastanti,
provocate dalle speculazioni finanziarie.
Gli attacchi allo Stato Sociale, e in particolare alla Sanità Pubblica, hanno prodotto una vulnerabilità del sistema sanitario che si manifesta violentemente in queste settimane:
l’introduzione del principio di sussidiarietà, con la concorrenza tra
pubblico e privato, ha accompagnato il taglio di 37 mld di euro in
circa quindici anni, contrazione delle risorse che ha causato lo
smantellamento dei Pronto Soccorso, dei presidi territoriali, di decine
di migliaia di posti letto, dei servizi di assistenza, dei laboratori
di analisi e ricerca, la precarizzazione di medici, infermieri e
ricercatori, che oggi paghiamo con uno straordinario tributo di morti
che non accenna a fermarsi. In compenso, le strutture private ricevono
da anni benefici fiscali dallo Stato, nonché fondi e donazioni
eccellenti da ricchi facoltosi che vogliono comprarsi un’assistenza
garantita: come è già stato ricordato da più parti, oggi non è più
possibile avere troppi riguardi, e l’unica soluzione per sostenere le
strutture pubbliche è la requisizione delle strutture private e la
precettazione dei medici e del personale infermieristico che vi lavora
da mettere al servizio della comunità.
Occorrerà verificare, non appena la virulenza del
contagio si sarà attenuata e potremo riprendere appieno l’iniziativa
politica, quanto delle misure prese in circostanze eccezionali, e
quanto delle denunce ai tagli al Sistema Sanitario Nazionale e delle
dichiarazioni contro la frantumazione dello Stato centrale a vantaggio
dell’autonomia differenziata (regionalismo potenziato) saranno
confermate o se si sarà trattato di lacrime di coccodrillo che
evaporeranno ai primi segni di normalizzazione.
Prove tecniche di rimodellamento sociale
In una società nettamente divisa tra chi possiede le
risorse e la possibilità economica per sostenersi in queste settimane
di isolamento, o che ha la garanzia di poter continuare la propria
attività attraverso il lavoro a distanza (“lavoro agile”), e chi deve
uscire per raggiungere il proprio posto di lavoro, non potendo
sottrarsi a questo impegno perché non ha altre fonti di reddito che un
salario o una retribuzione precaria. Le misure prese con il Decreto Cura Italiacoprono
una parte delle situazioni lavorative interessate da sospensione delle
attività, ma tralascia molti occupati, precari o sommersi, in piccole e
piccolissime attività (commerciali, di ristorazione, di cura ad
anziani e indigenti), ma soprattutto non aggredisce la questione
fondamentale: la necessità che grandi aziende (nazionali e
multinazionali) debbano chiudere, garantendo il mantenimento di salari e
di tutti gli istituti contrattuali, prima che l’infezione si diffonda
esponenzialmente tra i lavoratori, vanificando gli sforzi di medici e
infermieri, e gli appelli a rimanere in casa lanciati sempre più
disperatamente dagli operatori sanitari che stanno per essere travolti
dall’emergenza.
Oltre al cinismo e all’indifferenza di classe, si
sta verificando una trasformazione nelle modalità del lavoro che già
alcune aziende, supportate da intellettuali organici (al capitale),
economisti e giuslavoristi allineati stanno considerando come un test
per rinnovare le forme del lavoro e le mansioni degli occupati: la
pandemia ha offerto alle amministrazioni e ai management
un’occasione per uno straordinario esperimento sociale, che potrebbe
dare soluzioni inimmaginabili con conseguenze occupazionali e
mansionarie stravolgenti. Non va sottovalutata l’astuzia della
borghesia, o almeno di quelle articolazioni più innovative capaci di
sfruttare ogni situazione al fine di ristrutturare il proprio dominio
di classe.
La democrazia infetta e la ricostruzione dopo la crisi
Lo scenario che si sta aprendo in questi ultimi
giorni è quello di una precipitosa deriva verso la sospensione
(temporanea ma, poiché l’emergenza si protrarrà per mesi, rischia di
diventare definitiva), della democrazia, giustificata dalla necessità
di misure drastiche per fermare il contagio: l’esigenza di evitare la
diffusione del virus ha già portato a sospendere ogni manifestazione di
piazza, e adesso si prefigura il ricorso alle forze dell’ordine - e
addirittura all’esercito - per controllare e dissuadere comportamenti
sicuramente irresponsabili, ma che non possono essere considerati i
principali, o quantomeno gli unici, vettori del contagio. A fronte delle
migliaia di lavoratori che sono costretti ad ammassarsi sui mezzi
pubblici, nelle fabbriche e nei magazzini, indicare qualche corsa come
responsabile principale del contagio appare inverosimile, è voler
osservare il dito che indica la luna: diventa più fondato invece per
giustificare la militarizzazione delle città, già presidiate
abitualmente (ma inutilmente) contro il terrorismo (minaccia ormai
sbiadita di fronte all'insidia del virus), come dispiegamento
preventivo per una difficile - se, come si prospetta l’emergenza dovesse
continuare per mesi - tenuta dell’insieme del sistema sociale, con
conseguenti reazioni rabbiose di massa e disordini sociali. Non ci
faranno credere che si istituisce uno stato di polizia e si ricorre
all’utilizzo dell’esercito solamente per dissuadere le persone dal fare
sport all’aperto, dal portare il cane ai giardinetti, dal fare la fila
ai supermercati, ma per un controllo repressivo del territorio in
vista di una eventuale situazione di instabilità sociale.
Si aggiunga che l’attuale esecutivo continua a
emanare decreti, al di là dell'efficacia e dei limiti, da convertire in
legge dal Parlamento, che si può riunire (quando si riunisce) a ranghi
ridotti - la realizzazione del taglio dei parlamentari - ; che
l’attività politica e sindacale è ridotta a riunioni e incontri
attraverso collegamenti video o audio a distanza; che gli istituti
contrattuali e i diritti sindacali sono in un limbo: dovremo vigilare
perché la restrizione degli spazi politico-sindacali, che già stavano
diminuendo prima dell’epidemia, non venga realizzata. Occorrerà
elaborare un programma di ricostruzione dell’economia e della società
che non riproponga modelli capitalistici (liberisti o semplicemente
riformisti), ma inedite prospettive di collettivizzazione e
nazionalizzazione dei settori strategici.
La putrescenza patologica del capitalismo
Il sistema capitalistico, nelle sue articolazioni
politiche e istituzionali, sta però muovendosi in ordine sparso e
disordinato, con interessi contrapposti e conflittuali (concorrenza su
scala internazionale e intra-nazionale tra paesi dell'UE), con
strategie difformi, contrastanti e contraddittorie.
Nelle scorse settimane, l’Italia ha ricevuto colpi bassi dai paesi più vicini, con cinici calcoli per avvantaggiare le proprie merci sui mercati, ma anche risposte irricevibili dalla Presidente della BCE Christine
Lagarde, poi rettificate, fino ad un rovesciamento di atteggiamento da
parte della stessa Banca Centrale e dalla Presidente della Commissione
Europea, Ursula von der Leyen, con l’annuncio il 20 marzo la
sospensione del Patto di Stabilità per consentire a tutti i paesi una
spesa senza vincoli contro l’epidemia. Ben poco rispetto alla
solidarietà e agli aiuti concreti provenienti dal colosso cinese e
persino dalla piccola Cuba, nonostante l’infame embargo imposto dagli Stati Uniti.
È evidente che le fibrillazioni convulse e
contraddittorie a cui stiamo assistendo sono costitutive del
capitalismo, aggravate dalla concorrenza tra interessi nazionali e
transnazionali.
Certo è che niente potrà essere più come prima: ciò che da comunisti (ovunque collocati e al di là delle ormai veramente esiziali divisioni) ci dovremo porre, e su cui sviluppare un’elaborazione teorica e da cui organizzare l’azione politica, è la prospettiva della rottura del sistema capitalistico, rivelatosi incapace di risolvere non solo la crisi economico-finanziaria, né tantomeno politico-sociale, ma perfino quella drammatica di un’emergenza sanitaria pandemica, la prima del XXI secolo.
È il compito immane di avviare il processo di fuoriuscita dal capitalismo e di transizione al socialismo. Certo è che niente potrà essere più come prima: ciò che da comunisti (ovunque collocati e al di là delle ormai veramente esiziali divisioni) ci dovremo porre, e su cui sviluppare un’elaborazione teorica e da cui organizzare l’azione politica, è la prospettiva della rottura del sistema capitalistico, rivelatosi incapace di risolvere non solo la crisi economico-finanziaria, né tantomeno politico-sociale, ma perfino quella drammatica di un’emergenza sanitaria pandemica, la prima del XXI secolo.
29/03/2020 | Copyleft © Tutto il materiale è liberamente riproducibile ed è richiesta soltanto la menzione della fonte.
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