Screening
impossibili, mascherine introvabili, mancanza di personale, letti e
respiratori. La Lombardia, con una popolazione di 10 milioni di
abitanti, ha più vittime della Cina, con una popolazione di 1,4 miliardi
di abitanti e un PIL pro capite molto più basso. In Francia, a causa
della mancanza di risorse, alcuni ospedali hanno deciso di interrompere
l’intubazione dei pazienti di età superiore ai 75 anni.
In
Belgio, alcuni ospedali devono fare affidamento sulle donazioni del
pubblico per i respiratori o le maschere protettive. Il sistema
sanitario pubblico in Europa doveva essere il migliore al mondo. Oggi
sembra meno preparato di fronte alla pandemia rispetto ai sistemi
cinese, sudcoreano, vietnamita o singaporiano.
Cronaca di un disastro sanitario annunciato
Il
6 febbraio scorso, su iniziativa del PTB e del gruppo della Sinistra
unitaria europea (GUE/NGL), abbiamo accolto al Parlamento europeo i
professionisti della sanità di una decina di paesi europei. Quelli che
oggi sono i veri eroi di una spietata guerra sanitaria. Loro sono già
sul piede di guerra. Contro un avversario ben identificato: l’austerità.
Nella
sala che abbiamo riservato, le loro testimonianze si susseguono e sono
simili. In ceco o in francese, in tedesco o in spagnolo, il messaggio di
allarme è lo stesso. Come quello di un canarino in miniera. In quindici
anni, gli ospedali francesi hanno visto scomparire decine di migliaia
di letti e di posti di lavoro.
Il messaggio di 70 direttori medici universitari non lasciava dubbi:
“L’ospedale pubblico sta collassando e non siamo più in grado di
svolgere le nostre missioni”. Più di 200 servizi d’urgenza erano già in
sciopero da 10 mesi.
In
Italia, dal 2010, c’è stata una continua riduzione del budget del
sistema sanitario nazionale. Tra il 1998 e il 2017, l’Italia ha perso
120.000 posti letto in ospedale. Per 1.000 abitanti, resta con 3,6 letti
[1].
La
Germania sta andando molto meglio, ma i suoi 28.000 letti in terapia
intensiva non sarebbero sufficienti senza un massiccio screening,
osserva Die Welt. Tanto più che un letto da solo non salva nessuno. Bisogna avere il personale.
I
sindacati tedeschi denunciano la carenza di decine di migliaia di
operatori sanitari. Nel 2019, più di un terzo degli ospedali ha dovuto
chiudere temporaneamente i letti di terapia intensiva per mancanza di
personale, ha riferito l’Istituto ospedaliero tedesco a dicembre.
In
Grecia, la principale istituzione per le malattie respiratorie,
l’ospedale Sotiria di Atene, ha perso un terzo dei suoi medici e più di
un quarto dei suoi pneumologi in formazione [2]
In
Belgio, il movimento dei camici bianchi e la richiesta di donazioni da
parte degli ospedali dimostrano che il budget non è affatto all’altezza
delle esigenze.
I liberisti non hanno mai accettato che la sanità fosse un servizio pubblico e si sottraesse al mercato
L’austerità
ha disarmato l’esercito che combatte il coronavirus, ha decimato i
ranghi di quei soldati anti-coronavirus che sono i nostri operatori
sanitari, ha distrutto le trincee che sono i nostri ospedali. Sia le
autorità italiane che quelle spagnole sono ora obbligate a requisire o
nazionalizzare gli ospedali privati per renderli disponibili alla lotta
contro il coronavirus.
Christophe
Prud’homme, portavoce dell’associazione francese dei medici d’urgenza,
spiega: “I liberisti non hanno mai accettato che la sanità e
l’istruzione fossero servizi pubblici e si sottraessero al mercato. Ora
si stanno vendicando, con una strategia molto chiara: stanno creando
carenze, distruggendo lentamente il settore pubblico per introdurre un
settore privato redditizio che sostituisca il servizio pubblico divenuto
secondo loro inadempiente”. E così facendo, stanno reintroducendo il
mercato.
Perché
il modello che la Commissione Europea ha sostenuto per il futuro, prima
della crisi del coronavirus, è il modello sanitario liberista
americano. Anziché riconoscere il servizio pubblico, le istituzioni
europee descrivono sempre più spesso i servizi sanitari come “servizi di
interesse economico generale”, che devono ovviamente soddisfare le
esigenze del mercato.
L’infermiere
chirurgico tedesco Thomas Zmrzly, del sindacato Ver.di, denuncia che
“anche gli ospedali pubblici oggi devono soddisfare rigidi criteri di
redditività”. Una logica che ha spinto lo storico ospedale Slootervaart
di Amsterdam in bancarotta nel 2018. Per questo motivo, anche negli
ospedali “non commerciali”, la maggior parte delle attività sono
esternalizzate: pulizia, ristorazione, analisi di laboratorio, trasporto
dei letti, servizi di trasporto, fornitura di medicinali, lavanderia,
ecc.
Le
catene di subappaltatori svolgono questo lavoro con salari bassi e
personale interinale. Il settore delle case di cura è nel frattempo
dominato da grandi gruppi privati altamente redditizi, con l’unico
obiettivo della redditività, dalla Germania alla Spagna.
Questa evanescente solidarietà europea
Con
i sistemi sanitari in crisi, la solidarietà concreta tra i paesi
europei si sarebbe rivelata un miracolo. Tanto più che, nonostante la
sua bella retorica, l’Unione Europea si basa soprattutto sulla
concorrenza libera e non falsata. Ognuno per sé. Per decenni, questi
meccanismi hanno rafforzato le regioni forti a scapito di altre regioni.
I
vincitori di questa folle corsa si rifiutano di concedere sostanziali
trasferimenti per compensare le disuguaglianze. Intere regioni dell’est e
del sud del continente vengono svuotate perché non hanno alcuno sbocco
economico. I fondi di coesione sono un gesso su una gamba di legno. Una
tale Unione offre poco terreno fertile per la solidarietà degli Stati.
L’abbiamo
visto quando è scoppiata la crisi. Esprimendo il suo disappunto con i
partner europei, l’Italia ha chiesto pubblicamente aiuto alla Cina, a
Cuba, nota in tutto il mondo per il suo sistema sanitario pubblico, e al
Venezuela. Il ministro degli esteri italiano si è anche recato
all’aeroporto per incontrare di persona i medici russi.
Questa
solidarietà internazionale, che è stata dimostrata anche dai Paesi
soggetti a sanzioni europee, è ovviamente da accogliere con favore.
Tuttavia, questa solidarietà internazionale è in netto contrasto con la
mancanza di solidarietà all’interno dell’Unione Europea.
Abbiamo
visto la Germania vietare l’esportazione di mascherine mediche in
Italia, prima di cambiare idea (un po’) e offrire – un mese dopo
l’inizio della crisi – a otto (8!) pazienti italiani la possibilità di
farsi curare in Germania. Abbiamo visto la Repubblica Ceca confiscare,
per errore, maschere destinate all’Italia.
Ci
siamo trovati con un presidentessa della Banca Centrale Europea (BCE)
che ha serenamente dichiarato di non essere interessata al differenziale
dei tassi di interesse all’interno della zona euro, prima di cambiare
(leggermente) idea.
Abbiamo
visto un presidente della Serbia, paese candidato all’adesione,
sconvolto da un embargo europeo sulle attrezzature mediche, denunciare
una “solidarietà europea mai esistita”, che non era altro che una
favola, e rivolgersi al suo “amico e fratello Xi Jinping” (presidente
cinese), solo per ottenere in tutta fretta un’iniziativa disastrosa
dalla Commissione per i paesi candidati.
Il
primo ministro bulgaro ha osservato che “la solidarietà europea è a
pezzi” e si è rivolto alla Russia. Le iniziative della Commissione –
basate in gran parte sul riciclaggio dei fondi strutturali, di coesione e
di altri fondi – sembrano troppo poche, troppo tardive.
“Whatever it takes”
L’austerità
e la mercificazione, promosse dalle istituzioni europee, hanno
dimostrato di essere i becchini della nostra sanità. La proposta della
Commissione di sospendere il Patto di stabilità è largamente
insufficiente. Tanto più che non tutto ciò che luccica è oro. Giovedì 19
marzo, Didier Reynders, recentemente nominato commissario europeo, ha
espresso l’idea di base della Commissione: gestire la crisi sanitaria
come la crisi bancaria del 2008.
All’epoca,
tutte le regole europee erano state messe da parte per salvare le
banche. Una volta che i disavanzi nazionali sono stati accumulati per
salvare le banche, le regole di bilancio europee sono state utilizzate
per far pagare alla gente la crisi bancaria. Austerità per tutti,
ovunque. Quindi ogni banca salvata significava un servizio pubblico
sacrificato.
Il
commissario Reynders vuole applicare le ricette della crisi bancaria
alla crisi sanitaria. In altre parole, in primo luogo consentire agli
Stati di gestire i disavanzi di bilancio per salvaguardare i profitti
delle grandi imprese.
In
Italia, Confindustria, la federazione delle imprese, sta già proponendo
un Comitato Nazionale composto da banche, industriali e governo per
“gestire la crisi”. Tuttavia, “dopo”, dice Reynders, “bisognerà
rimettere in ordine i conti della spesa pubblica”. Prima garantiamo i
profitti privati, poi distruggiamo ulteriormente il sistema sanitario
pubblico.
Questo
è totalmente assurdo. Abbiamo bisogno di un Big Bang sanitario
necessario a livello europeo, senza riprendere le ricette del passato.
Di fronte all’evidenza, anche Emmanuel Macron riconosce, a parole, che
alcuni settori devono essere protetti dal mercato. L’austerità è un
disastro sanitario provato e acuto.
No, il Patto di stabilità non deve essere sospeso. Deve essere abbandonato una volta per tutte.
Perché
è necessaria una spesa pubblica immediata e massiccia per sostenere e
riparare i sistemi sanitari devastati da un decennio di austerità. Un
tale piano di emergenza per il sistema sanitario deve partire dai
bisogni.
“Whatever
it takes”, costi quel che costi, tutto ciò che era necessario per
salvare l’euro, esclamavano i funzionari della Banca Centrale Europea. È
tempo di rispondere: fare qualsiasi cosa sia necessaria per il nostro
sistema sanitario pubblico. I piani di investimento, i fondi di
salvataggio e simili devono dare priorità alla ricostruzione dei nostri
sistemi sanitari. E, naturalmente, senza i condizionamenti anti-sociali
associati al Meccanismo Europeo di Stabilità (MES).
Restauriamo la cattedrale della Sanità Pubblica
La
ricostruzione dei nostri sistemi sanitari pubblici deve essere al
centro di tutti i nostri sforzi. Il settore pubblico non solo offre
un’assistenza più accessibile, ma ha anche un enorme vantaggio
nell’assistenza primaria e quindi nello screening. Il riorientamento
della Germania di un meccanismo di screening generalmente utilizzato per
l’influenza stagionale ha dimostrato la sua efficacia rispetto alla
situazione in Francia, Belgio o altrove.
L’OMS
osserva, tuttavia, che mentre i paesi occidentali richiedono un
cambiamento comportamentale attraverso l’imposizione di un
distanziamento sociale, in genere falliscono in questo secondo aspetto
cruciale: lo screening e la ricerca attiva dei pazienti affetti da
Covid-19, metodi che si sono dimostrati efficaci in Cina e in altri
paesi asiatici. In assenza di un solido servizio pubblico, la strategia
europea funziona solo su una gamba.
È
necessario un enorme cambiamento comportamentale da parte della
popolazione, ma le autorità non lo rilevano quasi mai. Lo screening di
massa richiede un sistema sanitario pubblico forte, costruito a tutti i
livelli, compresa la prima linea vicino alla popolazione, e capace di
mobilitare la popolazione. Un servizio pubblico di qualità è una
necessità vitale. Un servizio pubblico non deve essere redditizio, ma
deve avere mezzi finanziari sufficienti per svolgere la sua missione.
Dobbiamo
investire massicciamente nell’assistenza sanitaria pubblica, umana e di
qualità. La salute non può essere una merce, ma deve diventare quel
diritto universale proclamato nella Costituzione dell’OMS: “Il godimento
del più alto livello di salute raggiungibile è uno dei diritti
fondamentali di ogni essere umano senza distinzione di razza, religione,
credo politico, condizione economica o sociale””.
Ciò
implica la difesa, il ripristino e lo sviluppo della sanità pubblica,
ma anche investimenti nella prevenzione e nello screening, e più in
generale lo sviluppo di un sistema sanitario pubblico con una solida
assistenza medica di base, sociale e solidale. L’intero sistema
sanitario si basa sull’assistenza primaria. In Belgio, l’assistenza
medica di base rappresenta meno del 5% del budget sanitario. Questo è
decisamente insufficiente.
Facciamo
in modo che i vincitori della crisi bancaria paghino per la crisi
sanitaria. Attualmente, nell’Unione Europea, il contributo delle imposte
sul capitale alle entrate fiscali è aneddotico. In vari paesi è stata
rimessa sul tavolo una Corona Tax sulle più alte fortune. Perché nella
crisi post coronavirus, le nostre società non possono più permettersi il
lusso dei miliardari.
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