Anna Lombroso
Rivolgo lo stesso appello a tutti quelli che sotto sotto hanno dato ragione a Zaia e sospettato che nelle fattezze del pollo in agrodolce si celasse il micetto della sora Nina, a quelli che per anni hanno denunciato l’infiltrazione orientale misteriosa e enigmatica in quartieri delle nostre città, diventata tollerabile solo quando con una bella valigetta di contante si sono comprati la casuccia di nonna a Piazza Vittorio, quelli che non leggono le etichette delle merce per paura di scoprire che il prodotto elettronico comprato da Euronics è solo “assemblato” nella civile Germania, e che pensano che la roba importata da là non dura niente, salvo, si direbbe, il Covid19.
Insomma mi rivolgo a quelli che oggi magnificano usi e comportamenti della lontana potenza segnati beneficamente dal collettivismo comunista, che ci hanno dato un esempio di civiltà, coesione, efficienza.
Parlo anche a quelli che oggi cascano dal pero perché è stata resa esplicita una linea di condotta che dovrebbe ispirare scelte decisive per la sopravvivenza di alcuni target rispetto a altri, secondo criteri riguardanti età e pregresse condizioni di salute.
E che non devono aver mai avuto a che fare con liste di attesa per la diagnostica di anziani genitori, con la loro permanenza prolungata nei pronto soccorso dei nosocomi, con la oculata prescrizione di farmaci a carico del servizio sanitario a fronte del dissipato invito al consumo di integratori miracolosi in sostituzione di medicinali, o della festosa conversione degli stessi in prodotti aggiuntivi in modo da non permetterne il rimborso.
O a quelli che non si sono interrogati sulle legittimità di scelte suggerite dalla Chiesa: gestante o nascituro? o dalle imprese: cinquantenne competente ma sindacalizzato o giovane inesperto e ricattabile? Tanto che una selezione malthusiana per liberarci dal peso gravoso di parassiti, anziani e invalidi veri oltre che presunti, sul sistema previdenziale è diventato un valore portante dell’ideologia e della prassi di istituzioni e autorità governative.
Perché non è certo da oggi che alternative vergognose, intimidazioni e minacce sono diventate sistema di gestione della cosa pubblica e privata, legalizzate e moralmente autorizzate dalla necessità e da nuovi stati di eccezione, che vanno dal contrasto al terrorismo, al prevalere di crisi alimentate proprio per introdurre e applicare disposizioni speciali e anomale, fino, appunto, ad epidemie, che diventano apocalittiche perché disfunzioni, riduzione degli investimenti, inefficienze combinate con clientelismi e corruzione hanno convertito cura e assistenza in territori per le scorrerie dei predoni o obsolescenze da chiudere per far posto all’iniziativa privata.
E mi indirizzo a quelli che fino a ieri si dibattevano tra la condanna delle generazioni passate per aver vissuto sopra le proprie possibilità, che hanno così ridotto le opportunità di quelle a venire, e la tutela dei vecchietti che vanno conservati e tutelati perché contribuiscono agli studi e ai fondi pensioni dei nipoti, da sottrarre alle vogliose aspirazioni di badanti, togliendo loro carta di credito e conto in banca, che tanto prima o poi non ci staranno più con la testa, e che oggi li vogliono nativi digitali, chiusi a casa ma idonei a farsi la spesa con Easycoop, a pagarsi le bollette online, a abbonarsi a un servizio di pony che provveda a recapitare farmaci d’urgenza.
Insomma a approfittare delle solidaristiche occasioni offerte dal commercio in rete, fino a ieri osteggiato perché uccide le relazioni umane, sfrutta la manodopera, promossa repentinamente a forza lavoro doverosamente dotata di spirito di servizio e abnegazione. Che poi sono gli stessi che propalavano la buona novella della fine della fatica grazie lo Storm Work e l’automazione, che si compiacevano del telestudio e oggi si lagnano per scuole e università chiuse, come se non fosse evidente a tutti che certe soluzioni, certi comportamenti e responsabilità collettive sono praticabili soltanto se esiste un tessuto sociale e organizzativo sano, se un paese conserva autodeterminazione e sovranità senza doversi assoggettare a imperativi economici e culturali imposti dall’altro e da fuori.
E come non pensare a tutti quelli che fino all’altro giorno attribuivano ai fondamenti sani della società la possibilità di salvarci dalla miseria economica e soprattutto morale, mettendo in cima gli affetti, i sodalizi familiari, i patti generazionali, sicché il mammismo deplorato dagli studiosi del familismo amorale – e pure da ministre nell’espletamento delle loro funzioni pubbliche invece praticato tra le mura di casa e dell’università dove raccomandare rampolli renitenti allo studio – è stato sdoganato in qualità di ammissibile succedaneo di sistemi sociali deperiti. E che oggi davanti al mesto ritorno al Sud di ragazzi costretti non all’Erasmus al Nord, ma a contratti precari della scuola a Lecco se sono di Ricadi, come un tempo i carabinieri, chiedono a gran voce sanzioni, gogna e riprovazione per i vigliacconi che minacciano la salute di regioni, alle quali negli anni sono stati negati investimenti, scuole, ospedali, strade e treni. Tanto che la fuga, senz’altro incosciente, per carità, è durata il tempo dell’incubazione e quello del completamento della Salerno-Reggio Calabria.
Ovviamente parlo anche a quelli che prima sono andati dall’omeopata, dal santone, dal riflessologo, per dimostrare icasticamente la sfiducia nei medici tradizionali, a quelli che hanno accettato e concorso alla fine della sanità pubblica, scegliendo e pagando a caro prezzo le prestazioni miracolistiche di cliniche con trattamento alberghiero, di prestigiosi sacerdoti della medicina poco inclini alla fattura, anche nelle funzioni di maghi, che solo in caso eccezionale si affidano al caro vecchio pronto soccorso anche per il brufolo, e che da qualche giorno esigono che tutto fili liscio, che le strutture ospedaliere e gli addetti impoveriti e umiliati tornino ad essere missionari ed eroi, o pretendono che, dopo che per anni la ricerca scientifica sia stata avvilita e delegata a enti privati finanziati dall’industria farmaceutica, volonterosi e geniali studiosi rimasti non si sa come in Italia a fare i bidelli, gli analisti negli ambulatori, i docenti di materie tecniche, magari nel garage di casa come il guru dell’informatica, trovino la cura per tutti i mali.
Che poi sono quelli che, vivendo in quelle geografie ancora protette, che un bel tomo chiama “classe signorile” intendendo anche quelli appena al di sopra delle condizioni di povertà, hanno a torto ritenuto che sarebbero stati risparmiati, che si sarebbero salvati con le assicurazioni private, con i fondi, e pure votando quelli che li esprimono e rappresentano, esponenti di un ceto modestamente acculturato, che può pagarsi qualche vacanza e Netflix, che interpreta il cosmopolitismo come accesso a voli low cost, a Airbnb e l’Erasmus dei figli, che si riconosce con gli arrivati sperando di farcela perchè si è arreso a essere retrocesso da cittadino a consumatore. O meglio a topolino di quelli che si arrampicano tutto il tempo su e giù per le scalette dei mutui, delle tasse, delle bollette.
Non ho mai creduto che a un ceto dirigente corrotto, incapace, inadeguato facesse da contrasto una società civile virtuosa. Anche se ci sono tante attenuanti a spiegare la decadenza, la riduzione da popolo a massa, il disincanto democratico voluto e promosso da chi ha messo a punto una ideologia e una pratica per togliere forza alla volontà popolare in nome della condanna del populismo e poteri agli stati e ai parlamenti in nome della condanna del sovranismo. Anche se il marasma che ci agita è prodotto da una informazione avvelenata, incorporata, intimidita e condizionata. Anche se uno dei cardini del pensiero corrente consiste nel persuadere della bontà del male minore per farci dimenticare che comunque si tratta di un male.
Stavolta il male è qui, un male perfetto perché nasconde e rivela tutti i mali, i contagi, le ferite, le cancrene del tempo passato e quelle di oggi. I vaccini per quelli ci sarebbero, ma per impiegarli bisogna usare senso critico, autonomia di pensiero, ragione e, appunto, il cervello.
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