Pubblichiamo
integralmente, porgendo le nostre inutili scuse a tutto il personale
medico che lavora giorno e notte nella sanità privata, e che si dovesse
essere sentito offeso anche dalle nostre parole. Abbiamo infatti ogni
giorno criticato la privatizzazione della sanità, e continueremo a
farlo. Ma questo riguarda la proprietà – gli “imprenditori” – non certo
professionisti e lavoratori che stanno in trincea. Letteralmente.
*****
In
una delle costanti mail che ricevo dalla mia direzione sanitaria a
cadenza più che quotidiana ormai in questi giorni, c’era anche un
paragrafo intitolato “fare social responsabilmente”, con alcune
raccomandazioni che possono solo essere sostenute.
Dopo
aver pensato a lungo se e cosa scrivere di ciò che ci sta accadendo, ho
ritenuto che il silenzio non fosse affatto da responsabili. Cercherò
quindi di trasmettere alle persone “non addette ai lavori” e più lontane
alla nostra realtà, cosa stiamo vivendo a Bergamo in questi giorni di
pandemia da Covid-19.
Capisco
la necessità di non creare panico, ma quando il messaggio della
pericolosità di ciò che sta accadendo non arriva alle persone, e sento
ancora chi se ne frega delle raccomandazioni, e gente che si raggruppa
lamentandosi di non poter andare in palestra o poter fare tornei di
calcetto… rabbrividisco.
Capisco
anche il danno economico e sono anch’io preoccupato di quello. Dopo
l’epidemia il dramma sarà ripartire. Però, a parte il fatto che stiamo
letteralmente devastando anche dal punto di vista economico il nostro
SSN, mi permetto di mettere più in alto l’importanza del danno sanitario
che si rischia in tutto il paese e trovo a dir poco “agghiacciante” ad
esempio che non si sia ancora istituita una zona rossa già richiesta
dalla regione, per i comuni di Alzano Lombardo e Nembro (tengo a
precisare che trattasi di pura opinione personale).
[Come sappiamo, la decisione è poi stata tramutata in “zona rossa per tutta la Lombardia, ndr]
Io
stesso guardavo con un po’ di stupore le riorganizzazioni dell’intero
ospedale nella settimana precedente, quando il nostro nemico attuale era
ancora nell’ombra: i reparti piano piano letteralmente “svuotati”, le
attività elettive interrotte, le terapie intensive liberate per creare
quanti più posti letto possibili. I container in arrivo davanti al
pronto soccorso per creare percorsi diversificati ed evitare eventuali
contagi. Tutta questa rapida trasformazione portava nei corridoi
dell’ospedale un’atmosfera di silenzio e vuoto surreale che ancora non
comprendevamo, in attesa di una guerra che doveva ancora iniziare e che
molti (tra cui me) non erano così certi sarebbe mai arrivata con tale
ferocia.
(apro
una parentesi: tutto ciò in silenzio e senza pubblicizzazioni, mentre
diverse testate giornalistiche avevano il coraggio di dire che la sanità
privata non stava facendo niente).
Ricordo
ancora la mia guardia di notte di una settimana fa passata inutilmente
senza chiudere occhio, in attesa di una chiamata dalla microbiologia del
Sacco. Aspettavo l’esito di un tampone sul primo paziente sospetto del
nostro ospedale, pensando a quali conseguenze ci sarebbero state per noi
e per la clinica. Se ci ripenso mi sembra quasi ridicola e
ingiustificata la mia agitazione per un solo possibile caso, ora che ho visto quello che sta accadendo.
Bene, la situazione ora è a dir poco drammatica. Non mi vengono altre parole in mente.
La guerra è letteralmente esplosa e le battaglie sono ininterrotte giorno e notte.
Uno
dopo l’altro i poveri malcapitati si presentano in pronto soccorso.
Hanno tutt’altro che le complicazioni di un’influenza. Piantiamola di
dire che è una brutta influenza. In questi 2 anni ho imparato che i
bergamaschi non vengono in pronto soccorso per niente. Si sono
comportati bene anche stavolta. Hanno seguito tutte le indicazioni date:
una settimana o dieci giorni a casa con la febbre senza uscire e
rischiare di contagiare, ma ora non ce la fanno più. Non respirano
abbastanza, hanno bisogno di ossigeno.
Le
terapie farmacologiche per questo virus sono poche. Il decorso dipende
prevalentemente dal nostro organismo. Noi possiamo solo supportarlo
quando non ce la fa più. Si spera prevalentemente che il nostro organismo debelli il virus da solo, diciamola tutta. Le terapie antivirali sono sperimentali su questo virus e impariamo giorno dopo giorno il suo comportamento. Stare al domicilio sino a che peggiorano i sintomi non cambia la prognosi della malattia.
Ora
però è arrivato quel bisogno di posti letto in tutta la sua
drammaticità. Uno dopo l’altro i reparti che erano stati svuotati, si
riempiono a un ritmo impressionante. I tabelloni con i nomi dei malati,
di colori diversi a seconda dell’unità operativa di appartenenza, ora
sono tutti rossi e al posto dell’intervento chirurgico c’è la diagnosi,
che è sempre la stessa maledetta: polmonite interstiziale bilaterale.
Ora,
spiegatemi quale virus influenzale causa un dramma così rapido. Perché
quella è la differenza (ora scendo un po’ nel tecnico): nell’influenza
classica, a parte contagiare molta meno popolazione nell’arco di più
mesi, i casi si possono complicare meno frequentemente, solo quando il
VIRUS – distruggendo le barriere protettive delle nostre vie
respiratorie – permette ai BATTERI normalmente residenti nelle alte vie
di invadere bronchi e polmoni, provocando casi più gravi.
Il
Covid 19 causa una banale influenza in molte persone giovani, ma in
tanti anziani (e non solo) una vera e propria SARS, perché arriva
direttamente negli alveoli dei polmoni e li infetta rendendoli incapaci
di svolgere la loro funzione. L’insufficienza respiratoria che ne deriva
è spesso grave e dopo pochi giorni di ricovero il semplice ossigeno che
si può somministrare in un reparto può non bastare.
Scusate,
ma a me come medico non tranquillizza affatto che i più gravi siano
prevalentemente anziani con altre patologie. La popolazione anziana è la
più rappresentata nel nostro paese e si fa fatica a trovare qualcuno
che, sopra i 65 anni, non prenda almeno la pastiglia per la pressione o
per il diabete. Vi assicuro poi che quando vedete gente giovane che
finisce in terapia intensiva intubata, pronata o peggio in ECMO (una
macchina per i casi peggiori, che estrae il sangue, lo ri-ossigena e lo
restituisce al corpo, in attesa che l’organismo, si spera, guarisca i
propri polmoni), tutta questa tranquillità per la vostra giovane età vi passa.
E
mentre ci sono sui social ancora persone che si vantano di non aver
paura ignorando le indicazioni, protestando perché le loro normali
abitudini di vita sono messe “temporaneamente” in crisi, il disastro
epidemiologico si va compiendo.
E
non esistono più chirurghi, urologi, ortopedici, siamo unicamente
medici che diventano improvvisamente parte di un unico team per
fronteggiare questo tsunami che ci ha travolto. I casi si moltiplicano,
arriviamo a ritmi di 15-20 ricoveri al giorno tutti per lo stesso
motivo. I risultati dei tamponi ora arrivano uno dopo l’altro: positivo, positivo, positivo.
Improvvisamente
il pronto soccorso è al collasso. Le disposizioni di emergenza vengono
emanate: serve aiuto in pronto soccorso. Una rapida riunione per
imparare come funziona il software di gestione del pronto soccorso e
pochi minuti dopo sono già di sotto, accanto ai guerrieri che stanno al
fronte della guerra.
La
schermata del pc con i motivi degli accessi è sempre la stessa: febbre e
difficoltà respiratoria, febbre e tosse, insufficienza respiratoria
ecc… Gli esami, la radiologia sempre con la stessa sentenza: polmonite
interstiziale bilaterale, polmonite interstiziale bilaterale, polmonite
interstiziale bilaterale. Tutti da ricoverare. Qualcuno già da intubare e
va in terapia intensiva. Per altri invece è tardi…
La
terapia intensiva diventa satura, e dove finisce la terapia intensiva
se ne creano altre. Ogni ventilatore diventa come oro: quelli delle sale
operatorie che hanno ormai sospeso la loro attività non urgente
diventano posti da terapia intensiva che prima non esistevano.
Ho
trovato incredibile, o almeno posso parlare per l’HUMANITAS Gavazzeni
(dove lavoro), come si sia riusciti a mettere in atto in così poco tempo
un dispiego e una riorganizzazione di risorse così finemente
architettata per prepararsi a un disastro di tale entità. E ogni
riorganizzazione di letti, reparti, personale, turni di lavoro e
mansioni viene costantemente rivista giorno dopo giorno per cercare di
dare tutto e anche di più.
Quei
reparti che prima sembravano fantasmi ora sono saturi, pronti a cercare
di dare il meglio per i malati, ma esausti. Il personale è sfinito. Ho
visto la stanchezza su volti che non sapevano cosa fosse, nonostante i
carichi di lavoro già massacranti che avevano. Ho visto le persone
fermarsi ancora oltre gli orari a cui erano soliti fermarsi già, per
straordinari che erano ormai abituali. Ho visto una solidarietà di tutti
noi, che non abbiamo mai mancato di andare dai colleghi internisti per
chiedere “cosa posso fare adesso per te?”, oppure “lascia stare quel
ricovero che ci penso io”. Medici che spostano letti e trasferiscono
pazienti, che somministrano terapie al posto degli infermieri.
Infermieri con le lacrime agli occhi perché non riusciamo a salvare
tutti e i parametri vitali di più malati contemporaneamente rilevano un
destino già segnato.
Non esistono più turni, orari. La vita sociale per noi è sospesa.
Io
sono separato da alcuni mesi, e vi assicuro che ho sempre fatto il
possibile per vedere costantemente mio figlio anche nelle giornate di
smonto notte, senza dormire e rimandando il sonno a quando sono senza di
lui; ma è da quasi 2 settimane che volontariamente non vedo né mio
figlio né i miei familiari per la paura di contagiarli, e di contagiare a
sua volta una nonna anziana o parenti con altri problemi di salute. Mi
accontento di qualche foto di mio figlio che riguardo tra le lacrime e
qualche videochiamata.
Perciò
abbiate pazienza anche voi che non potete andare a teatro, nei musei o
in palestra. Cercate di aver pietà per quella miriade di persone anziane
che potreste sterminare. Non è colpa vostra, lo so, ma di chi vi mette
in testa che si sta esagerando e anche questa testimonianza può sembrare
proprio un’esagerazione per chi è lontano dall’epidemia, ma per favore,
ascoltateci, cercate di uscire di casa solo per le cose indispensabili.
Non
andate in massa a fare scorte nei supermercati: è la cosa peggiore
perché così vi concentrate ed è più alto il rischio di contatti con
contagiati che non sanno di esserlo. Ci potete andare come fate di
solito. Magari se avete una normale mascherina (anche quelle che si
usano per fare certi lavori manuali) mettetevela. Non cercate le ffp2 o
le ffp3. Quelle dovrebbero servire a noi e iniziamo a far fatica a
reperirle. Ormai abbiamo dovuto ottimizzare il loro utilizzo anche noi
solo in certe circostanze, come ha recentemente suggerito l’OMS in
considerazione del loro depauperamento pressoché ubiquitario.
Eh
sì, grazie allo scarseggiare di certi dispositivi, io e tanti altri
colleghi siamo sicuramente esposti nonostante tutti i mezzi di
protezione che abbiamo. Alcuni di noi si sono già contagiati nonostante i
protocolli. Alcuni colleghi contagiati hanno a loro volta familiari
contagiati e alcuni dei loro familiari lottano già tra la vita e la
morte.
Siamo
dove le vostre paure vi potrebbero far stare lontani. Cercate di fare
in modo di stare lontani. Dite ai vostri familiari anziani o con altre
malattie di stare in casa. Portategliela voi la spesa per favore.
Noi
non abbiamo alternativa.
E’ il nostro lavoro. Anzi quello che faccio in
questi giorni non è proprio il lavoro a cui sono abituato, ma lo faccio
lo stesso e mi piacerà ugualmente finché risponderà agli stessi
principi: cercare di far stare meglio e guarire alcuni malati, o
anche solo alleviare le sofferenze e il dolore a chi non purtroppo non
può guarire.
Non spendo invece molte parole riguardo alle persone che ci definiscono eroi
in questi giorni e che fino a ieri erano pronti a insultarci e
denunciarci.
Tanto ritorneranno a insultare e a denunciare appena tutto
sarà finito. La gente dimentica tutto in fretta.
E
non siamo nemmeno eroi in questi giorni. E’ il nostro mestiere.
Rischiavamo già prima tutti i giorni qualcosa di brutto: quando
infiliamo le mani in una pancia piena di sangue di qualcuno che nemmeno
sappiamo se ha l’HIV o l’epatite C; quando lo facciamo anche se lo
sappiamo che ha l’HIV o l’epatite C; quando ci pungiamo con quello con
l’HIV e ci prendiamo per un mese i farmaci che ci fanno vomitare dalla
mattina alla sera.
Quando apriamo con la solita angoscia gli esiti degli
esami ai vari controlli dopo una puntura accidentale sperando di non
esserci contagiati.
Ci guadagniamo semplicemente da vivere con qualcosa
che ci regala emozioni. Non importa se belle o brutte, basta portarle a
casa.
Alla
fine cerchiamo solo di renderci utili per tutti. Ora cercate di farlo
anche voi però: noi con le nostre azioni influenziamo la vita e la morte
di qualche decina di persone.
Voi con le vostre, molte di più.
Per
favore condividete e fate condividere il messaggio. Si deve spargere la
voce per evitare che in tutta Italia succeda ciò che sta accadendo qua.
Nessun commento:
Posta un commento