In questi giorni, il nostro Paese si trova in una situazione di emergenza sanitaria come mai vista negli ultimi decenni.
La diffusione di un virus prima sconosciuto, il Covid-19, con focolai in Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna, ma che già in queste ultime ore sta raggiungendo Roma e le regioni del sud, sta spingendo il governo ad assumere politiche straordinarie.
Dall’Unione Europea che ha dato il via libera allo sforamento di bilancio, al sostegno dei lavoratori con la messa a disposizione in Emilia-Romagna di 38 milioni di euro per la cassa integrazione in deroga, all’assunzione straordinaria di ventimila persone tra medici, infermieri e altro personale sanitario, alla possibilità data alla Protezione Civile di poter espropriare presidi sanitari e medico-chirurgici, nonché beni mobili ed immobili, ogni ora vengono rotte regole che fino a qualche giorno fa sembravano leggi sacre e inviolabili.
Riteniamo queste misure giuste ma tardive e fin troppo limitate rispetto a quelle che sono le necessità del Paese.
Questa epidemia si sta inserendo in un contesto già fragilissimo, segnato da dieci anni di crisi economica e di politiche lacrime e sangue che, nello specifico della sanità pubblica, hanno comportato tagli lineari continui che hanno prodotto come risultato la carenza sistematica di personale e attrezzature nelle strutture ospedaliere, la chiusura di presidi sanitari sui territori, privatizzazioni e aziendalizzazione.
Non solo i tagli ma anche i progetti finora realizzati sul piano delle regionalizzazioni dei settori strategici dello Stato, come appunto la sanità, hanno di fatto ostacolato pesantemente una gestione coerente e coordinata dell’emergenza, mostrandone tutti i limiti. La Lombardia, l’Emilia-Romagna e il Veneto, regioni tanto decantate come eccellenze italiane e che pretendono “l’autonomia differenziata”, nel giro di due settimane si sono trovate al collasso e ad invocare aiuti da parte del Governo.
Un’emergenza nell’emergenza causata da decenni di governo di una classe dirigente indecente, che riesce a mostrare ancora il peggio di sé prendendo scelte spesso confusionarie e contradditorie, influenzate dalle pressioni di gruppi di interesse, come Confindustria, Confcommercio e tutto il padronato del Nord produttivo, che per giorni hanno minimizzato la gravità della situazione per non compromettere i loro interessi.
L’imprevisto Coronavirus sta dimostrando che solo una politica forte di pianificazione può fare fronte alle necessità di un sistema di sviluppo fragile. Riteniamo dunque fondamentale che le misure adottate non vengano archiviate velocemente e considerate emergenziali. Perché, se il governo nazionale come quelli regionali sono capaci di adottare misure straordinarie, vuol dire che alle emergenze è possibile far fronte con strumenti adeguati.
Tutto si riduce ad una questione di volontà politica: oggi, l’epidemia richiede una serie di misure importanti atte a fermare la diffusione del virus e giustamente si fa ricorso a strumenti straordinari, mentre è mancata la stessa volontà politica per rispondere all’impoverimento della nostra società. I costi della crisi economica sono stati tutti scaricati sulle fasce più deboli imponendo, soprattutto alle giovani generazioni, disoccupazione, precarietà, emigrazione forzata e privazione del futuro, mentre venivano salvaguardati gli interessi delle banche e dei più forti.
Questa volta non possiamo permettere che la crisi venga gestita come in passato. Gli avvenimenti di questi giorni vanno, infatti, vissuti come un precedente che ci dimostra come le regole e le ipotesi su cui si basava lo sviluppo diseguale del nostro paese siano fallimentari. Dal pareggio di bilancio, all’autonomia differenziata, alla privatizzazione dei settori strategici, alla politica delle “non assunzioni” nel pubblico fino al (non)ruolo della UE (che ci ha completamente abbandonato in questa situazione) l’impalcatura su cui si reggeva il discorso delle classi dirigenti è miseramente crollato. Inoltre, anni di cultura dell’individualismo e di sfiducia in tutto ciò che è comune, pubblico e collettivo hanno prodotto una risposta alla “si salvi chi può” che sta portando migliaia di persone a non rispettare le indicazioni date dalle autorità sanitarie accelerando enormemente la diffusione del virus.
Adesso è il momento della solidarietà, dobbiamo augurarci che l’epidemia passi e far sentire tutta la nostra vicinanza ai lavoratori e alle lavoratrici che stanno lottando in prima linea contro questo virus. Ma dobbiamo farlo pretendendo che queste cose non accadano più: per risolvere le emergenze ci vogliono risposte strutturali, non a tempo!
È FONDAMENTALE il rientro del personale sanitario costretto ad andare all’estero in cerca di lavoro, un piano straordinario d’investimenti pubblici per la stabilizzazione, l’assunzione e la formazione delle nuove generazioni nei settori della formazione, della sanità e della ricerca.
È FONDAMENTALE la requisizione e la ripubblicizzazione di tutte le strutture fondamentali, e in prospettiva dei settori strategici, per il mantenimento della salute e dell’interesse generale.
È FONDAMENTALE che si affronti l’emergenza con il blocco dei licenziamenti, la cassa integrazione per i lavoratori costretti a stare a casa, l’estensione del reddito di cittadinanza, i congedi parentali e permessi retribuiti.
È FONDAMENTALE a rottura dei vincoli di bilancio per sostenere manovre economiche sistemiche, anche senza il permesso della UE.
Il superamento di questa emergenza non deve lasciare la possibilità a un ritorno allo status quo, le fratture che si stanno aprendo sono uno spazio che dobbiamo occupare. Come generazione cresciuta dentro la crisi ci hanno raccontato che non c’era alternativa, che le regole che ci venivano imposte erano sacre e inviolabili.
L’emergenza scaturitasi con la diffusione del Coronavirus è l’entrata in scena nella nostra storia del cigno nero, che rimette in discussione lo stato di cose presenti, dimostrando che questa non è l’unica realtà possibile.
Non torneremo indietro!
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