Con
la prima parte da oggi pubblichiamo sul nostro giornale quattro puntate
di una analisi/inchiesta curata da Stefano Zai sull’industria 4.0.
L’automazione,
a livello mondiale, tra il 2015 e il 2020 ha distrutto 7 milioni di
posti di lavoro e ne ha creati solo due.
Secondo una proiezione uscita
su Il Sole 24 Ore, l’industria 4.0 in Italia tra il 2017 e il 2035
porterà alla scomparsa di 3,5 milioni di posti di lavoro.
Si tratta di
una sfida sul lavoro che va analizzata, compresa e ingaggiata con
estrema determinazione. In
questa prima parte vengono analizzate le connessioni tra lo sviluppo
dell’automazione industriale e la divisione internazionale del lavoro
che assegna al nostro paese un ruolo subalterno. Nelle prossime puntate
verranno sviluppati quello che l’autore definisce come il “totalitarismo
digitale”; l’industria 4.0 come rivoluzione del lavoro e delle sue
forme ed infine i progetti del governo sull’industria 4.0 e come opporsi
ad essi (redazione).
*****
Industry
4.0 è il termine impiegato per indicare la quarta rivoluzione
industriale. Non è questo l’ambito per consentire una sua
contestualizzazione storica e un confronto con le precedenti, ma una
cosa è importante da sottolineare: Industry 4.0 sta avendo e avrà sui
modi di produzione, sul lavoro per come lo abbiamo conosciuto, sulla
rappresentanza sindacale, sulla società, sullo Stato, una portata
rivoluzionaria tale da essere paragonabile, a mio avviso, solo alla
prima rivoluzione industriale, dove l’umanità incominciò a trasformarsi
da ciò che era stata per secoli, prettamente agricola e contadina,
all’essere prettamente industriale. Quello in cui oggi ci stiamo
trasformando è tutto da comprendere, non solo per capire verso cosa ci
stiamo muovendo, ma per avere gli strumenti per affrontarlo.
L’aspetto
che viene maggiormente enfatizzato ed evidenziato ai lavoratori e alla
società intera dalle parti datoriali, da Confindustria, dalla Unione
europea e BusinessEurope, è di Industry 4.0 come rivoluzione
tecnologica, ma non è solo questo: è anche e pariteticamente una
rivoluzione del lavoro e delle sue forme per come lo abbiamo conosciuto
fino ad oggi. Viene descritta in larga parte dal punto di vista
tecnologico, dimenticandosi (volutamente) che il secondo pilastro legato
alla trasformazione del lavoro è ugualmente fondamentale.
Prima
di entrare più a fondo in merito alle caratteristiche di Fabbrica 4.0 e
sugli impatti che essa sta avendo e avrà nel mondo del lavoro, in modo
particolare in termini di occupazione, è necessario provare a mettere a
fuoco il contesto.
Il sistema economico-produttivo (anche finanziario, ma non lo prendiamo in considerazione in questo articolo) europeo si sta definendo per essere un modello che si va definendo come un processo di centralizzazione senza concentrazione1.
Per
dirla in parole semplici, si centralizza il business, ossia la parte
amministrativa di alto livello, i profitti e la conoscenza (teniamo a
mente questa parola, poi capiremo perché), ma le produzioni, le
forniture, i processi intermedi, l’indotto, quindi il lavoro, sono
parcellizzati, diciamo “liquefatti” in molteplici luoghi (reali e
virtuali di produzione e lavoro) lungo le catene del valore globali ed
europee e non più concentrati in solo luogo o regione. Queste porzioni
produttive parcellizzate e distribuite sulla carta fanno riferimento a
più centri, ma la realtà è che questi sotto-processi non sono in grado
di reggere ad un elevatissimo livello di concorrenza e finiscono per
riferire ad un unico centro, di fatto operando in una mono-committenza.
L’Italia
fa parte a pieno di questo modello, in un processo che lega la macro
regione del nord (Emilia – Lombardia – Veneto), con la propria industria
manifatturiera di piccole medie dimensioni, alle catene del valore che
hanno il proprio centro nel cuore della Ue (Germania in particolare).
Le
catene del valore legate a questo centro sono i “cavalli” che devono
correre per la competizione tra i vari poli economici globali. Il resto
del paese è stato relegato a fornitore di servizi, turismo e fornitore
di manovalanza precarizzata, flessibilizzata. Attenzione, però, che il
Nord non è omogeneo e per stare nelle sopracitate catene del valore la
competizione è schiacciante, si scarica sempre più la competizione sul
lavoro (precarizzazione e flessibilizzazione), molti attori industriali
di piccole dimensioni non riescono e tutto questo sta producendo una
forbice tra ricchi e poveri sempre più ampia.
Il sistema economico-paese in parte rientra nel modello europeo appena
descritto, mentre il resto è stato e viene “dato in pasto” alle
multinazionali extra Ue, che si fondano su
modelli economici di valorizzazione differenti da quello europee (vedi
la Cina e le vie della seta o gli Stati Uniti di Trump, ecc.),
interessati a conquistare fette di mercato, con tutte le conseguenze che
questo comporta.
Ex-Ilva,
Alitalia, ecc., tanto per citare alcuni esempi. Un modello industriale
che non esiste: un processo di deindustrializzazione per la maggior
parte del paese e un modello acefalo per le regioni del nord, agganciate
alle catene del valore sopracitate, che in qualsiasi momento ti possono
sganciare o rimodellare a piacimento. Un processo complessivo che non
governiamo come paese e a maggior ragione come lavoratori, che trova il
suo fondamento nella nostra adesione all’Unione europea.
In
un modello economico Ue di questo tipo, centralizzato ma non
concentrato appunto, è evidente che gioca un ruolo fondamentale la
tecnologia. Ecco perché è fondamentale Industria 4.0., che consente
la “non concentrazione” dell’apparato produttivo, automatizzando in
parte o completamente le produzioni per operare h24, la connessione dei i
vari punti globali in cui la produzione è “sparpagliata”, la
velocizzazione e la distribuzione dei prodotti (logistica), la
circolazione dei fattori produttivi e delle informazioni.
Ma
al contempo la medesima tecnologia realizza la centralizzazione di ciò
che è considerato il delta necessario per potere concorrere a livello
globale. Uno dei pochi e possibili fattori rimasti su cui il capitale
europeo e occidentale sta puntando per riuscire ad avere ancora
profitti, in un contesto di manifattura e produzione reale al palo dal
2008 con la crisi: le informazioni. I dati che racchiudono la conoscenza
con cui oggi è possibile valorizzare e concorrere. I dati che
racchiudono la descrizione di ognuno di noi, i gusti, gli orientamenti
dei lavoratori-consumatori, che poi devono essere riutilizzati nel
business.
Quindi,
Industry 4.0 si basa e si sviluppa su due pilastri fondamentali. Il
primo è quello tecnologico: Industry 4.0 come rivoluzione tecnologica.
Il secondo è Industry 4.0 come trasformazione delle forme del lavoro,
una rivoluzione in senso neoliberale dello stesso, che si contestualizza
in una rivoluzione neoliberale più ampia di matrice
politico-ideologico-sociale.
Industry 4.0 come rivoluzione tecnologica2.
Industry 4.0 come rivoluzione tecnologica è caratterizzata da:
Produzione additiva3.
L’emblema dell’industria 4.0 è la stampante 3D (tre dimensioni) che ha
dato il via alla cosiddetta manifattura additiva, cioè una modalità
produttiva che consente la realizzazione di oggetti (componenti,
semilavorati, prodotti finiti, ecc.) ottenuti producendo e sommando
strati successivi di materiale (appunto con la stampa 3D) e ciò
contrasta con quanto accaduto fino ad ora in molti ambiti della
produzione tradizionale, in cui si procede per sottrazione dal pieno
(tornitura, fresatura, ecc.). Si tratta di un’evoluzione fondamentale
nella più ampia tendenza alla digitalizzazione della manifattura che si
realizza attraverso il dialogo tra computer e macchine, grazie alla
condivisione di informazione (tra macchine, tra persone, tra macchine e
persone) resa possibile, tra l’altro, dall’ormai consolidata diffusione
di internet.
Si identificano due caratteristiche della produzione additiva centrali per comprenderne le potenzialità di sviluppo:
a)
consentire di produrre oggetti disegnati con geometrie complesse non
altrimenti realizzabili in un unico pezzo con le tecniche tradizionali,
modificandone la struttura costruttiva con un minore impiego di materie
prime, maggiori prestazioni, utilizzando materiali diversi da quelli
oggi in uso;
b)
fare sì che i costi di realizzazione di varianti rispetto ad un modello
base siano sostanzialmente molto ridotti, in quanto si cambia il
software non più la linea, la macchina, lo stampo, ecc. Si viene così
affermando un nuovo modello industriale manifatturiero legato alla
personalizzazione del prodotto, cioè alla “personalizzazione di massa”
delle produzioni, con un impatto sul lavoro dettato dall’esubero di
manodopera, completa assenza dell’uomo in questi processi produttivi
(una piccola villetta residenziale nelle sue parti strutturali già può
essere costruita con la totale assenza dell’uomo) ed una
flessibilizzazione del lavoro rimasto che si dovrà adeguare, nei modi,
nei tempi e nei luoghi (le stampanti 3D si possono spostare facilmente,
l’applicazione edile ne è un esempio).
Inoltre,
in alcuni settori, verrà scaricata buona parte dei costi produttivi
delle parti datoriali ai consumatori, perché piazzeranno al consumatore
stesso l’onere di stamparsi il prodotto (Barilla, ad esempio, sta
pensando stampanti 3D da vendere al consumatore per stamparsi la pasta
direttamente a casa, avendo profitto dalla vendita del software che
realizza la forma della pasta e del semilavorato per stamparla, ma con
un notevole risparmio nei costi di produzione).
“I.O.T., Internet of Things” – Internet delle cose:
può essere definito come “rete delle apparecchiature e degli oggetti
diversi dal computer connessi alla rete”. Per capire non c’è niente di
meglio che citare alcuni esempi: “oltre 50.000 indirizzi IP, nodi
intelligenti di una grande rete mettono in connessione ogni oggetto che
entra in contatto con la filiera, facendolo dialogare con tutti gli
altri: dal robot al componente più piccolo che scomparirà nel prodotto
finito, la nuova Mercedes Classe E. A Stoccarda questo modello passerà
alla storia come la prima auto “nativa digitale” del marchio. La vettura
non è un “concept” ed è in vendita nelle concessionarie, è figlia della
digitalizzazione della fabbrica”. […]
“La casa farmaceutica può inviare alla stampante 3D dell’ospedale le istruzioni per produrre il medicinale personalizzato”4.
In
prospettiva, ma in un tempo neanche troppo distante, si definiranno
filiere produttive e prodotti finiti in grado di autodiagnosticarsi, quindi non solo completa automazione della produzione, ma anche della sua manutenzione.
Vien da sé comprendere come si apra uno scenario potenziale di notevole
perdita di posti di lavoro legati alla manutenzione della filiera
produttiva stessa e del prodotto finito. Anche in questo caso come per
la produzione additiva, si va nella direzione di connettere la linea
direttamente con il consumatore finale, nel nuovo tipo di modello
industriale legato alla personalizzazione del prodotto,
personalizzazione di massa delle produzioni.
Si
è qui osservato I.O.T. dal punto di vista delle produzioni, per dir
così, ma I.O.T. coinvolge un aspetto fondamentale dal punto di vista
della quotidianità stessa delle persone e della società. Le nostre case
sono sempre più colme di prodotti “smart” (cose connesse alla rete, rese
“intelligenti” dalla connessione, appunto), connessi con le filiere di
produzione, la rete, i “social network” e noi stessi. Immediato
comprendere quale sia la conseguenza: una completa profilazione delle
nostre abitudini, ecc., che sviluppa controllo e soprattutto
autocontrollo e un accumulo di dati da mettere a profitto.
Big data e cloud.
Fabbrica 4.0 deve fare viaggiare, monitorare ed immagazzinare dati.
Dati, che devono appunto essere scambiati fra le cose (I.O.T.), fare
funzionare le stampanti 3D, ecc. Quindi è già una realtà il “cloud
computing” – cloud sta per nuvola, nuvola virtuale, nella quale si
immagazzinano dati – un insieme di tecnologie che permettono tipicamente
sotto forma di un servizio offerto al cliente, di memorizzare,
archiviare elaborare dati, grazie all’utilizzo di risorse hardware e
software distribuite e virtualizzate.
Ma soprattutto è già una realtà il Big data.
Applicazioni, piattaforme, social network, ecc., realizzano la
produzione di una massa enorme di dati, da gestire e rielaborare in
informazioni anche in tempo reale, questo è il “Big data”.
Fondamentale per un soggetto Industry 4.0, quindi, la gestione e
rielaborazione di questa massa enorme di dati considerando che non tutti
sono prodotti dal soggetto stesso. Inoltre, la gestione e
rielaborazione del “Big data” rappresenta un business in sé, la nuova
gallina dalle uova d’oro, chi ci sa “mettere mano” ed è in grado di
rendere disponibile queste informazioni, diventa un operatore
indispensabile alla nuova era industriale.
Robotica.
Quando si parla di robotica a tutti viene in mente la linea produttiva
di autovetture, ormai esclusivamente composta da bracci robotici
completamente automatizzati. Questa è già una realtà esistente, che
Industry 4.0 andrà ad incrementare ed acuire con sistemi sempre più
autonomi, complessi ed interconnessi (I.O.T.). Ma questa,
interconnessione a parte, sta ancora nell’ automazione o automazione
industriale, ed è già presente da numerosi anni nelle nostre fabbriche.
Però, Fabbrica 4.0 quando pensa alla robotica, pensa a qualcos’altro. Un
ulteriore salto di qualità. Industria 4.0 non parla di “normali sistemi
robotici”, la nuova frontiera si chiama robot collaborativo, capace
cioè di lavorare a fianco a fianco con l’uomo”, capace, cioè, di
sostituire l’uomo.
Anche in questo caso per capire di cosa stiamo parlando, facciamo un esempio.
“ABB
ha presentato da qualche anno, un robot veramente collaborativo:
YuMi. YuMi è un robot umanoide, progettato per l’utilizzo per esempio
nel montaggio di minuteria, in cui gli esseri umani e i robot eseguono
congiuntamente le stesse operazioni. YuMi è l’abbreviazione di ‘you and
me,’ cioè una collaborazione “tra me e te”. YuMi è stato sviluppato in
primo luogo per far fronte alle esigenze produttive di flessibilità e
agilità dell’industria dell’elettronica, ma verrà adottato sempre più in
altri settori di mercato. YuMi è anche dotato di vista e tatto” 5 o KIVA robot di Amazon, impiegati nel settore logistico.
La
conseguenza dell’acuizione dell’automazione industriale, nonché
l’introduzione dei robot collaborativi, producono e produrranno, oltre
un evidente esubero di manodopera, per quei pochi lavoratori che
rimarranno: una velocizzazione del tempo di lavoro, una completa
dipendenza dai robot in quanto a metriche e movimenti (i movimenti del
lavoratore sono ormai completamente dettati dalle macchine, con
conseguenti problemi psico-fisici), saturazione totale del tempo di
lavoro (lavoro continuo con l’eliminazione di fattori di riposo e
dialogo con eventuale operaio vicino) e ovviamente ed in tendenza una
totale sostituzione della macchina al lavoratore. Inoltre, non si sta
creando una nuova fascia di lavoro qualificato che “sostituisca” o
“subentri” ai lavoratori espulsi, non che la creazione di questa fascia
giustifichi l’espulsione degli attuali lavoratori, anche perché il
numero non sarà equivalente, ma evidenzia come in realtà non vi sia un
piano complessivo relativo all’impatto di Industry 4.0.
Chi
lavora con i robot racconta che già attualmente sono in grado di
autodiagnosticarsi, solo ogni tanto si deve intervenire a risolvere un
problema che proprio da soli non sono grado di risolvere (esempio di
applicazione di I.O.T.). I robot si rompono spesso, producono numerosi
scarti e c’è un incremento del lavoro mal fatto a danno del prodotto e
anche dell’ambiente6.
Tutti
gli aspetti esposti fino a questo punto e quelli che andiamo ad
affrontare di seguito in merito al cambiamento della forma lavoro,
realizzano un nuovo paradigma che da origine alla manifattura digitale\
fabbriche intelligenti, appunto le “smart factory”. (fine prima parte)
—–
1
Cfr. “Non c’è tempo da perdere: come industria 4.0 cambierà il modo di
produrre”, Matteo Gaddi, Nadia Garbellini 19 luglio 2019.
2
In riferimento ai concetti di produzione additiva, I.O.T., “big data e
cloud”, robotica, “smart factory”, Cfr. “Nova Edu”, La fabbrica 4.0,
collana de Il sole 24 ore.
3
Cfr. “La manifattura additiva. alcune valutazioni economiche con
particolare riferimento all’industria italiana, Scenari industriali anno
2014, Centro Studi Confindustria.
5 “ABB svela il futuro della collaborazione tra uomo e robot: YuMi “, Automazione Integrata – la redazione, 10 settembre 2014.
6
In riferimento all’introduzione dei robot, Cfr. “La società
artificiale”, a cura di Renato Curcio. Sensibili alle foglie, 2017.
*ricercatore e coordinatore sindacale dell’Usb di Parma
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