L’Europa è veramente antitotalitaria, pacifica e democratica tale da condannare i supposti totalitarismi?
Per svolgere una critica radicale alla recente
risoluzione del Parlamento europeo che equipara nazismo e comunismo,
seguendo un ineguagliabile esempio, cercherò di “cogliere le cose alla loro radice”, pur consapevole di non poter giungere al livello intellettuale raggiunto da chi indicava questo punto di vista.
La risoluzione del Parlamento europeo, votata dalla
maggioranza dei deputati europei ed italiani (tutta la destra, il PD con
qualche eccezione malamente giustificata e con l’astensione dei 5
stelle), è fondata su tre presupposti impliciti del tutto falsi: 1) in
quanto liberale l’UE è antitotalitaria, come invece non lo furono il
regime nazista e il sistema sovietico; 2) l’Europa costituisce
un’istituzione pacifica e pacificatrice; 3) l’UE e i paesi occidentali a
capitalismo avanzato si fondano su regimi democratici.
In questo breve scritto cercherò ovviamente in
maniera schematica di demolire queste falsità e non sulla base delle mie
personali opinioni, ma richiamando a dettagliati studi storici, di cui
i deputati europei ignorano persino l’esistenza, non parliamo poi dei
giornalisti. Di questi Karl Kraus diceva che sono persone che, pur non
avendo idee, hanno il privilegio di esprimerle, come è facile
constatare tutti i giorni.
In primo luogo, comincio col dire quali sono le
ragioni che hanno spinto questi ben remunerati signori a prendere questa
decisione illegittima: l’opportunismo (mettere in
pratica quanto viene ordinato dai loro padroni che non gradiscono
l’ascesa della Russia sul piano internazionale), la malafede, l’ignoranza e la totale inesperienza della ricerca storica e sociale.
E ora torniamo al primo presupposto. Secondo i nostri parlamentari noi viviamo in un regime liberale-parlamentare,
in cui è rispettata la piena libertà di espressione, la quale
ovviamente comprende anche la libertà di ricerca, di critica, di
insegnamento etc. Il liberalismo, fondato sulla riflessione di John
Locke (1632-1704), ben più datato quindi del “superato” Karl Marx, pone
l‘accento sui diritti naturali dell’individuo
(libertà, vita, proprietà) e attribuisce allo Stato la funzione
esclusiva di difendere questi diritti anche con l’uso della
coercizione. Ora, se il Parlamento europeo pretende con una risoluzione
di risolvere una complessa e dirompente questione storica, entra in
contraddizione con la sua supposta natura liberale e si arroga il
diritto di giungere a fondamentali conclusioni politiche senza alcun
supporto scientifico e senza nessuna argomentazione logica sostenibile.
In poche parole, piega la riflessione scientifica ad esigenze
politiche per di più esecrabili. Questo si chiama politicismo (nel
senso di uso strumentale di valutazioni unilaterali, ma presentate come
oggettive), non ignorato certo dall’Unione sovietica, come per esempio,
nel caso del viscerale conflitto che si scatenò tra i seguaci di Trofim Lysenko, studioso di agronomia, e i genetisti e che terminò con varie vittime.
Anche se non credo che un crimine sia scusabile
perché il nemico ha fatto lo stesso o anche di peggio, non si può non
ricordare che la condanna del marxismo e del comunismo in Occidente
appartiene allo stesso tipo di comportamento politicistico
e ha prodotto molte vittime, tra le quali ricordo la famigerata caccia
alle streghe, l’assassinio dei coniugi Rosenberg (1953), i comunisti
ammazzati e incarcerati dai fascisti e dai nazisti [1], quelli fatti
fuori in Spagna durante e dopo la guerra civile e seppelliti insieme ai
loro nemici defunti nel celebre Valle de los caidos. E si
potrebbe continuare. Concludo questo primo punto col dire che ogni
decisione politica negli ambiti che sono oggetto della ricerca
scientifica viola i principi stessi del liberalismo e svela il suo
truce volto totalitario (nel senso usato dai parlamentari). D’altra
parte, sul termine “totalitarismo”, definito da V. Giacché un non-concetto
per la sua capacità di includere tutto ciò che l’Occidente si pone
come nemico dagli anni ‘50, c’è un ampio dibattito, che contempla
posizioni assai diverse.
Un ampio e articolato studio sugli occultati aspetti totalitari del cosiddetto liberalismo è il libro di Alessandro Pascale Il totalitarismo “liberale”. Le tecniche imperialiste per l’egemonia culturale (2018). Se questa citazione non bastasse, ricordo il libro, tradotto in molte lingue, in italiano da Fazi con il titolo La guerra fredda culturale. La CIA e il mondo delle lettere e delle arti (2004), di cui è autrice Frances Stonor Saunders. Questa storica britannica dimostra con il suo documentatissimo libro come il Congresso per la libertà culturale,
un’emanazione della Cia, ha appoggiato in maniera subdola in funzione
anticomunista dopo la Seconda guerra mondiale la diffusione della
cultura statunitense in Europa, finanziando riviste di prestigio,
eventi culturali, musicali ed intellettuali quali per esempio Ignazio
Silone, George Orwell, Raymond Aron etc. Quindi altro che libertà di
espressione negata dallo stalinismo!
Inoltre, come ha mostrato Lacroix Riz,
è chiara la continuità politica, economica, culturale tra le élites
europee liberali e quelle fasciste e naziste (continuità persistente
dato che non c’è mai stata una vera epurazione),
e che le prime nel momento del “pericolo rosso” hanno sempre preferito
dare un sostegno a governi autoritari e criminali, come lo stesso
fascismo lodato da Churchill nella persona di Mussolini. Come è noto, i
grandi capitalisti europei si sono serviti di manodopera schiava
rastrellata nelle varie regioni d’Europa. Il problema degli ebrei ha
una lunga storia: è stato alimentato dall’accusa di deicidio formulata
dai cristiani; il razzismo in tutte le sue forme, anche le più brutali,
ha accompagnato ovunque l’espansione imperialistica.
Quanto alla natura pacifica e pacificatrice dell’UE,
è ancora più facile dimostrare la falsità di questa affermazione. In
primo luogo, posso rimandare ad un mio articolo già pubblicato,
in cui, richiamandomi agli studi della già citata storica francese
Annie Lacroix Riz, mai tradotti in italiano, scrivo che l’UE è sorta
con l’appoggio degli Stati Uniti e dell’Office of Strategic Services
(OSS, nel 1946 sostituito dalla CIA), sulla base anche del fatto che
alla fine della guerra gli alleati avevano occupato gran parte del
territorio europeo “liberato” sotto la Allied Military Government of Occupied Territories.
Naturalmente tale esigenza nasceva dalla necessità di contenere
l’espansione dei sovietici, veri vincitori della guerra e per questo
stremati da lutti e distruzioni, che erano giunti fino al Berlino e al
campo di concentramento di Auschwitz. Sempre dagli studi della Lacroix
Riz si può evincere che tale progetto politico non costituiva una
novità, giacché sin dalla fine della Prima guerra mondiale la Germania
aveva potuto riarmarsi con l’appoggio della Francia, della Gran
Bretagna e degli Stati Uniti, strettamente implicati in tale opera di
rilancio anche per i cospicui profitti ricavati da tale sostegno. E
sempre con l’idea che una forte potenza nel centro Europa sarebbe stata
una garanzia contro il comunismo a quell’epoca assai
influente tra le masse e negli ambienti intellettuali, che avevano
sperimentato l’efferatezza della Guerra dei trent’anni novecentesca.
Su questa base è del tutto menzognero attribuire le responsabilità dello scatenamento della Seconda guerra mondiale al patto Molotov-Ribbentrop,
siglato il 23 agosto del 1939, i cui protocolli segreti sarebbero
stati recentemente pubblicati nella versione russa. Come è noto, il
patto di non aggressione, di scambi commerciali e di divisione delle
sfere di influenza sovietico-tedesco [2] era stato preceduto da una
serie di vicende che certo non dimostravano “simpatia” da parte delle
potenze occidentali per il governo sovietico. Citiamo l’intervento
diretto nella guerra civile a favore dell’Armata bianca di paesi quali
la Gran Bretagna, il Giappone, la Cecoslovacchia, la Francia, gli Stati
Uniti, la Grecia, la Polonia, la Romania, l’Italia, che partecipò
all’intervento con la Legione Redenta etc. Guerra che costò circa 7
milioni di morti e di cui nessuno dei nostri “pacifici democratici” fa
mai menzione.
Inoltre, il patto era stato preceduto da quello di
Monaco del 1938, firmato da quei regimi “democratici” (Francia, Gran
Bretagna), che avevano ignorato la tragedia della Repubblica spagnola,
sostenuta solo dall’Unione sovietica e dalle Brigate internazionali, e
contrastata dai regimi dittatoriali (Germania, Italia). Con quel patto
si imponeva alla Cecoslovacchia la cessione alla Germania della regione
dei Sudeti abitata in prevalenza da popolazioni tedesche. Questo atto
costituiva il primo passo verso l’incorporazione dei territori di
quegli Stati, che si frapponevano tra la Germania e l’Unione sovietica.
D’altra parte, la Germania aveva firmato e non rispettato anche altri
patti, per esempio nel 1934, quello con la Polonia, in cui si profilava
una soluzione pacifica dei conflitti, che sarebbero potuti sorgere
dalle mire espansionistiche di entrambi i paesi verso l’Unione
sovietica. Ma Nel 1939 la Germania pretende concessioni territoriali
dalla Polonia e i sovietici propongono a Francia e Gran Bretagna
un’alleanza antinazista senza ricevere risposta, mentre la Polonia
rifiuta l’aiuto russo.
E questo è quanto riguarda il passato, tralasciando qui per esigenze di spazio il riferimento ai vari olocausti di
cui si è reso responsabile l’Occidente dalla sua espansione e dalla
crisi del sistema feudale: la tratta negriera, lo sterminio dei popoli
nativi nelle varie regioni colonizzate, senza tenere conto delle stragi
che i sistemi politici come l’Ancien Régime o l’autocrazia
zarista hanno compiuto nei secoli e che avrebbero potuto continuare a
compiere, se non fossero stati rovesciati.
Quanto alla contemporaneità, per essere breve,
ricordo l’intervento Nato nella ex Jugoslavia, di cui l’odioso D’Alema
ancora si vanta, il non rispetto degli accordi Reagan-Gorbaciov sulle
basi militari atlantiche, che oggi si trovano proprio a ridosso dei
confini russi con il sostegno delle potenze europee, la questione
ucraina con un golpe di Stato finanziato dagli USA, l’organizzazione
delle cosiddette rivoluzioni colorate in vari paesi dell’ex Unione
sovietica. Se proprio vogliamo essere più completi, ricordiamo anche il
sostegno ai “ribelli” siriani, la recente guerra alla Libia, la
presenza francese in Niger, oltre ad altri vari interventi in Africa, e
le forniture militari all’Arabia Saudita che sta conducendo una disastrosa guerra nello Yemen.
A questo punto è fondamentale sottolineare che la
politica interventista sviluppata dagli Stati Uniti, unico paese al
mondo ad aver lanciato bombe nucleari, e sostenuta dalle potenze
europee sempre in nome della democrazia a partire dalla fine della
Seconda guerra mondiale è costata circa 20-30 milioni di morti, senza contare i feriti, i milioni di migranti etc.
Considerando tutti i dati qui forniti e pur
rifiutando una lettura puramente quantitativa, il Parlamento con la sua
Risoluzione sull’Importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa dovrebbe
rifare i conti su chi ha prodotto più lutti, stragi, distruzioni, e
dovrebbe anche invocare la necessità di giudicare i crimini commessi
dagli Stati Uniti e dalla Nato.
Passiamo al terzo punto: i regimi che compongono
l’UE sono “democratici”? e cosa vuol dire democrazia? Sembrerebbe che
per i “democratici” democrazia vuol dire semplicemente “libere
elezioni”, ma non spiegano come possano essere libere in paesi i cui
cittadini vengono informati da mezzi comunicativi nelle mani di pochi
gruppi e non possono raggiungere quelle capacità critiche che solo
serie istituzioni educative pubbliche potrebbero fornire. Basti un es.:
in Brasile Bolsonaro ha vinto anche grazie ai 120 milioni di messaggi
con contenuti falsi inviati dai gestori dei cellulari e dei social agli
elettori.
Detto questo, rivolgiamoci al mondo classico per comprendere cosa è veramente la democrazia almeno nella lettura che ne fa Aristotele
nel contesto di una aspra lotta a sostegno dei vari tipi di regime. In
primo luogo, occorre dire che per i detrattori della democrazia essa
costituiva un atto di forza (kratos) con cui
le classi popolari imponevano il loro governo. Come scrive Luciano
Canfora, fu Aristotele ad impiegare come chiave di lettura il contenuto
di classe, giacché a suo parere “la discriminante… [tra oligarchia e
democrazia] non risiede nel fatto che a possedere la cittadinanza siano
‘molti’ o ‘pochi’, bensì se siano possidenti o nullatenenti: il
rispettivo numero è ‘puro accidente’” (Canfora L., La democrazia. Storia di un’ideologia, 2004: 45).
Se questa definizione è fondata, mi pare difficilmente sostenibile che in Europa siano i moderni nullatenenti, ossia i proletari,
a governare, anche perché sarebbero dei veri masochisti, considerate
tutte le misure che negli ultimi decenni sono state prese e che li
hanno, se possibile, ulteriormente impoveriti (negazione dei diritti
del lavoro, diminuzione del salario, della pensione, smantellamento dei
servizi sociali etc.). Sarebbero stati anche così imbecilli da
approvare leggi elettorali maggioritarie, che hanno di fatto escluso
ampi settori sociali dalla partecipazione al governo della cosa
pubblica.
Naturalmente a questo punto non posso esimermi dall’esprimere un giudizio sull’ex Unione sovietica,
la cui storia deve essere contestualizzata. In primo luogo, contro i
semplificatori, direi che non si trattava di una società comunista, ma
di una società in transizione verso il socialismo, che si è trovata a
fare una scelta obbligata (“socialismo in un paese solo”) per il
fallimento delle rivoluzioni europee e il fatto di trovarsi nello stato
di “fortezza assediata” dalle potenze imperialiste, che ancora oggi
guardano con voracità alle sue immense risorse. Per difendersi questo
immenso paese arretrato, in cui le industrie erano nelle mani dei
capitalisti europei, sconvolto dalla guerra civile, ha dovuto
perseguire a tappe forzate l’industrializzazione e lo sviluppo di
armamenti moderni. Tale scelta, non condivisa da tutti i dirigenti
bolscevichi, ha determinato una svolta dirigista ed autoritaria, che è
costata una significativa perdita di vite umane, un distanziamento tra i
gruppi dirigenti e burocratici e le masse popolari, l’espansione
dell’industria pesante a danno di quella leggera, favorendo un
atteggiamento ammirato delle masse verso il consumismo occidentale (V.
Natoli A., Sulle origini dello stalinismo. Saggio popolare,
Firenze 1979). Il dirigismo e l’autoritarismo non sono, tuttavia,
identificabili con il totalitarismo nazista e fascista, perché il
progetto sovietico si fondava sull’emancipazione dallo sfruttamento e
non sul suo impiego ad ampio raggio e sullo sterminio. Tale progetto,
in alcuni momenti, si è ribaltato nel suo contrario ed è fallito, ma –
siccome la storia non è un laboratorio scientifico – un fallimento non
comporta il fallimento definitivo del progetto. Bisogna riprovarci e
nelle nuove drammatiche condizioni attuali, dalle quali oggi questo
capitalismo depredatore, inquinatore, guerrafondaio non sa come uscire.
Note
[1] Fascismo e nazismo non hanno fatto fuori solo
gli ebrei e il primo non è vituperabile solo per le leggi razziali del
1938. Il campo di concentramento di Dachau fu costruito appositamente
per i comunisti; inizialmente ne conteneva 25.000. Per non offuscare la
facciata dei diritti umani, il totalitarismo liberale non ha praticato
lo sterminio dei comunisti, ma li ha sempre tenuti sotto controllo,
limitandone la libertà di movimento. Basti citare il regime di stretta
sorveglianza cui i servizi britannici sottoposero il grande storico
Eric J. Hobsbawm; il suo dossier, contenente migliaia di pagine, largamente censurate, è stato letto e commentato dalla Stonor Saunders (v. più avanti).
[2] Decisioni presenti in tutti i documenti di questo tenore. Basta pensare alla Conferenza di Yalta.
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