giovedì 2 maggio 2019

Siamo ultimi in Europa per spesa in istruzione. Così ci condannano a essere un popolo ignorante.

Abbiamo tutti un aneddoto sulle condizioni fatiscenti del sistema scolastico italiano: non c’è studente di qualsiasi latitudine che non abbia il ricordo di mediocri pasti della mensa – quando la mensa c’è – o di giornate passate al freddo per un guasto al sistema di riscaldamento. 
 
 


All’università è normale sedersi a terra in aule affollate o ascoltare le lezioni dal corridoio, perché i locali sono troppo piccoli per accogliere tutti.
In Italia, fra studenti e professori si instaura un rapporto di mutua rassegnazione, ma basta andare all’estero, conoscere un Erasmus, ascoltare racconti di esperienze diverse – danesi, svedesi, tedeschi – per rendersi conto di quanto l’Italia, nel campo dell’istruzione, sia arretrata rispetto al resto d’Europa. 
Non è un luogo comune, ma una realtà provata dalle statistiche. 
Da anni l’Italia è terzultima in Europa per investimenti nel settore educativo: secondo un rapporto Eurostat, l’Italia riserva alla scuola circa il 3,8% (passato al 3,5% per il 2019 con l’ultimo documento programmatico di Bilancio) del Pil, almeno un punto in meno rispetto alla media europea – che si attesta al 4,9% del Pil – e molto al di sotto di altri Paesi: la Danimarca guida questa classifica con 7 punti percentuali, seguita dalla Svezia, con 6,5 punti, e dal Belgio con 6,4. Solo la Romania e l’Irlanda registrano un dato peggiore di quello italiano, rispettivamente con il 3,1% e il 3,7% del Pil. Anche altri Paesi europei che non fanno parte dell’Unione spendono più di noi: l’Islanda destina all’istruzione quasi l’8% del suo Pil, mentre Norvegia e Svizzera si attestano sopra i 5 punti percentuali.

Guardando i dati si potrebbe obiettare che anche la Germania, con il suo 4,3%, si trova sotto la media europea, ma se consideriamo il valore del Pil tedesco, Berlino investe nell’istruzione 127,4 miliardi di euro l’anno, contro i 65,1 dello Stato italiano. Per quanto riguarda la percentuale di spesa dedicata all’istruzione rispetto alla spesa pubblica totale, l’Italia riconferma il trend negativo e si trova addirittura all’ultimo posto della classifica con il 7,9%. La Grecia spende l’8,2%, la Romania l’8,4%. L’Islanda il 15%.
Sul tema dei finanziamenti scolastici l’esecutivo gialloverde sembra intenzionato a fare economia almeno quanto i governi precedenti. Lo scorso febbraio il ministro dell’Istruzione Marco Bussetti, rispondendo a chi chiedeva più soldi per gli istituti scolastici del Meridione, ha dichiarato che “Non servono più fondi. Serve più sacrificio, più lavoro, più impegno. Vi dovete impegnare forte”. Il vicepremier Luigi Di Maio si è affrettato a fare marcia indietro: “Se un Ministro dice una fesseria sulla scuola, chiede scusa. Caro Marco, siamo noi al Governo che evidentemente dobbiamo impegnarci sempre di più”. Un impegno che stenta ad arrivare dato che già in passato Bussetti si era espresso contro la possibilità di aumentare gli stipendi inadeguati dei docenti: “Lo stipendio degli insegnanti dovrebbe essere all’altezza del ruolo che hanno e dell’impegno. Non possiamo però far finta di non conoscere la difficile situazione dei conti dello Stato,” aveva dichiarato.
Oltre agli stipendi del personale anche le strutture sono inadeguate e spesso fatiscenti. Secondo l’ultimo rapporto nazionale sulla sicurezza delle scuole – stilato da Cittadinanzattiva – un edificio scolastico su due ha ricevuto il collaudo statico, meno di uno su dieci è stato migliorato dal punto di vista sismico, e in media ogni quattro giorni si verificherebbe un crollo. Il rapporto restituisce un Paese spaccato: se in Lombardia si spendono in media 119mila euro per una manutenzione ordinaria, in Puglia si arriva a malapena a 3mila, mentre in Calabria si superano di poco i 2mila euro. Al Nord il 64% degli istituti scolastici è in possesso del certificato di prevenzione incendi, mentre al Sud il dato scende al 17%, così come solo il 15% degli istituti ha il certificato che attesta il rispetto delle norme igienico-sanitarie, contro il 67% delle scuole settentrionali.
Allo stesso modo, al Nord le verifiche tecniche hanno riconosciuto il 63% degli edifici scolastici come agibile, mentre al Sud i controlli hanno dato parere positivo solo nel 15% dei casi. Il Centro non versa in condizioni migliori: il 19% delle scuole ha il certificato di prevenzioni incendi, solo il 18% quello sanitario e il 22% quello di agibilità.
Sono le regioni del Centro e del Sud a mostrare i più gravi segni di ritardo: nel Lazio l’agibilità è attestata solo per il 9% delle scuole, il 6% in caso di incendi; In Campania il dato migliora di poco: 11% per l’agibilità e 17% per la prevenzione incendi; di poco sopra la Calabria con il 12% di agibilità.
Non può dirsi migliore la situazione delle università. I fondi scarseggiano e l’istruzione “pubblica” è in gran parte a carico delle famiglie. Secondo Anvur l’Italia è il terzo Paese in Europa per le rette più alte, superata solo da Inghilterra e Paesi Bassi. Di contro solo uno studente su cinque ha accesso a una borsa di studio, costringendo l’80% degli universitari italiani a cavarsela da soli, con le proprie forze o con il contributo economico della famiglia.
All’estero la situazione è sensibilmente diversa: in Germania circa il 25% degli studenti percepisce borse di studio, in Spagna il 30% e in Francia il 40%. Inoltre in Germania e Austria non sono previste tasse universitarie, mentre in Danimarca, Finlandia e Svezia gli studi sono gratuiti per i cittadini europei.
Andando più nello specifico, in Danimarca gli studenti possono usufruire di aiuti su base mensile o settimanale: chi vive con i genitori può arrivare a percepire 346 euro, mentre chi vive da solo prende fino a 804 euro. In Finlandia gli aiuti dello Stato ammontano a 11.260 euro annui per studente, che se ha un reddito inferiore a 11850 euro annui ha diritto anche a un bonus affitto di 201 euro mensili per 9 mesi l’anno.
In Germania non ci sono tasse – escluso l’abbonamento ai mezzi – e le borse di studio possono garantire 735 euro mensili. In Norvegia gli studenti pagano una cifra a semestre che oscilla tra i 30 e i 60 euro. In Scozia la laurea triennale è gratuita, mentre in Francia le università hanno una tassa unica per tutti gli studenti di 181 euro l’anno per una magistrale e 250 per un master (a esclusione di politecnici e facoltà di medicina dove la cifra sale a un massimo di 600 euro). Inoltre lo Stato francese garantisce un bonus tra i 115 e i 200 euro mensili per le spese di affitto. 
In Italia i fondi sono gestiti male e non si fa niente per invertire la tendenza. Dal 2013 è fermo il decreto che destina il 3% del denaro confiscato alla mafia al Fondo Integrativo Statale per la concessione di borse di studio universitarie. Mancano i decreti attuativi per rendere effettiva questa misura. Secondo Elisa Marchetti, coordinatore nazionale dell’Unione degli Universitari, “Queste risorse risultano fondamentali per il finanziamento del diritto allo studio e, oltretutto, riteniamo questa vicenda estremamente grave, considerando che si tratta di un ‘semplice’ trasferimento di risorse e non di fondi aggiuntivi per cui si renderebbe necessario trovare conseguenti coperture”. 
Con presupposti simili non stupisce che secondo un recente rapporto Ocse un quarto dei 500mila studenti che hanno sostenuto l’esame di maturità nel 2018 vivrà all’estero entro il 2020 per studiare o lavorare. Questo esodo imminente è il frutto dalla mancanza di lavoro, ma anche dalle scarse prospettive offerte dal nostro sistema scolastico.
Fra gravi deficit nelle infrastrutture e un costo elevato dell’istruzione, la scuola italiana è uno dei punti di maggior debolezza del nostro Paese. Chi concentra la sua attenzione su un’inesistente invasione straniera dovrebbe rendersi conto che il vero pericolo è affidare i propri figli a scuole che rischiano di crollare loro sulla testa e a un sistema universitario che li esclude con rette insostenibili per un numero sempre più alto di famiglie.

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