In un’ampia intervista di due giorni fa al Sole24Ore, il ministro
Tria ostentava sicurezza rispetto all’evoluzione della situazione
economica del nostro paese.
Alfonso Gianni il manifesto
In particolare sulla possibilità che entro
pochi mesi le stime della Commissione europea e quelle del governo
italiano tornino a collimare, malgrado le attuali rilevanti differenze.
Tale sicurezza gli deriverebbe dal fatto che le valutazioni negative
della Commissione sarebbero fondate su un quadro “a politiche
invariate”, ovvero non considererebbero gli impegni già presi dal
governo nella legislazione e nel Def. Se si può definire temeraria una
tale tranquillità d’animo, questo è il caso. Agli intervistatori che
mettono in dubbio la credibilità degli effetti positivi attesi da tali
politiche, in particolare le privatizzazioni per 18 miliardi, il
ministro curiosamente risponde con un argomento che porta più acqua al
mulino di Bruxelles che non al suo. Dice infatti che è prassi della
Commissione non fidarsi degli impegni del governo, anche perché nel
passato sono stati disattesi. Ma, secondo Tria, questa volta il governo è
determinato ad applicare le decisioni, malgrado le baruffe al suo
interno, costi quel che costi. Compreso l’aumento dell’Iva, forse con
qualche piccolo correttivo nella distribuzione delle aliquote. Tria si
era già dichiarato d’accordo sulla necessità di un simile aumento e
avverte, dopo avere liquidato come impossibile la spending review, che
per impedirlo bisogna tagliare la spesa, scelta che considera più
virtuosa che non aumentare le tasse. “Ma – continua il ministro
dell’economia – il problema è decidere dove si taglia”.
Appunto. In
realtà il ragionamento di Tria andrebbe completamente rovesciato. La
scelta politica da compiere è dove e a chi aumentare le tasse. Tra le
due alternative indicate da Tria c’è una terza soluzione che il governo
pentaleghista, e anche l’inerte opposizione di Zingaretti, rifiutano di
prendere in considerazione. Si chiama patrimoniale. La sua necessità e
la sua realizzabilità sono confortate dai dati. Bankitalia e Istat hanno
diffuso solo due giorni fa un rapporto che avrà frequenza annuale su
“La ricchezza delle famiglie e delle società non finanziarie”, da cui
emerge un quadro ulteriormente confermato sulla patrimonializzazione
della ricchezza nel nostro paese. Dopo tre anni di calo la ricchezza
netta delle famiglie italiane nel 2017 è tornata a crescere ed ha
raggiunto la cifra di 9.743miliardi, otto volte il loro reddito e più di
4 volte l’ammontare del debito pubblico. Un dato che alla fine del 2017
poneva le famiglie italiane, quanto a ricchezza pro capite, al di sopra
di quelle tedesche e, secondo l’Ocse, anche di quelle francesi, inglesi
e canadesi. L’abisso delle diseguaglianze in cui è precipitato il
nostro paese è testimoniato anche dai più recenti dati ufficiali
provenienti dalle statistiche delle Finanze. Se da un lato aumentano
povertà e miseria, fuori e dentro il mondo del lavoro, la stessa classe
media si è ristretta e impoverita, perdendo il 12% del reddito dal 2008
ad oggi. Non solo in Italia, visto che l’Ocse certifica fenomeni simili
in molti paesi a capitalismo maturo, ad eccezione, guarda caso, della
Francia, ove assistiamo ad un ampliamento della classe media che rende
ancora più aspra la condizione di chi sta in basso. La parte del leone
della ricchezza patrimoniale delle famiglie italiane è data dagli
immobili (il 49% nel 2017) che dunque continuano a costituire la
principale forma di investimento delle famiglie, mentre le attività
finanziarie hanno raggiunto i 4.374 miliardi di euro, sfruttando il
migliore andamento delle azioni, ma con una incidenza inferiore a quanto
accade nel resto d’Europa. Dal canto loro le imprese hanno accresciuto
la ricchezza lorda rispetto al 2016 con un +3,7% grazie soprattutto
all’incremento sensibile della componente finanziaria rispetto alle
attività reali in continuo calo da cinque anni. In parole povere sono
aumentate tanto la patrimonializzazione della ricchezza italiana, quanto
la diseguaglianza della sua distribuzione, come la finanziarizzazione
dell’attività imprenditoriale. Fenomeni certamente non ignoti, ma
puntualmente confermati nel loro aggravamento. L’introduzione di una
tassa patrimoniale che incida su tutte le forme di ricchezza, appare non
solo indispensabile e socialmente equa, ma persino logica.
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giovedì 16 maggio 2019
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