giovedì 16 maggio 2019

LA CURA

post originale di Augusto Scatolini
redazione R@P

  • Decrescita felice
Non tutte le merci sono beni. Se, con l’automobile, andiamo dal punto A al punto B consumiamo un
certo numero di litri di carburante. Abbiamo così contribuito alla crescita del  Prodotto Interno Lordo
(PIL) che sembrerebbe una cosa buona, ma se tra A e B c’è un ingorgo, la velocità sarà minore,
il tempo di percorrenza sarà maggiore così come il consumo di carburante sarà maggiore.
Abbiamo incrementato ulteriormente il PIL ma non abbiamo aumentato la felicità del conducente.
Di questi esempi se ne potrebbero fare a decine e centinaia, il punto è che l’andamento dell’economia
misurata con la crescita o meno del PIL è semplicemente una follia “neoliberista”.
Questo dogma religioso e ideologico è basato sul consumo sfrenato, illimitato e smisurato di  ogni tipo
di merce, buona e cattiva, materiale e immateriale. Le armi che produciamo in Sardegna e che poi
vendiamo in Medio Oriente aumentano il PIL ma sarebbe molto meglio farne a meno. I costi per la
ricostruzione del ponte Morando aumentano il PIL ma ne avremmo fatto volentieri a meno.
Questo dogma neoliberista viene alimentato sostanzialmente da tre pratiche mefistofeliche che sono
l’obsolescenza programmata, la pubblicità e la moda.

La prima ci induce a ri-acquistare dei beni che deliberatamente si degradano prematuramente e che
potrebbero essere semplicemente riparati se la riparazione non costasse più dell’acquisto del prodotto
nuovo.
La seconda e la terza, invece, ci inducono ad acquistare, compulsivamente, una serie interminabile di
prodotti assolutamente inutili e superflui per una vita sana e sobria ma solamente utili per immaginarsi
e immedesimarsi nei personaggi patinati delle pubblicità. Servono anche a credere che la felicità
dipenda da quante cose consumiamo e poi conferiamo in discarica e a farci accettare da una società
che appare, e appare proprio perché consuma.
Queste tre pratiche dovrebbero essere vietate per legge in quanto immorali e deleterie.
Dobbiamo, inoltre ridurre l’Impronta ecologica, tutti noi.
L'impronta ecologica è un indicatore complesso utilizzato per valutare il consumo umano di
risorse naturali rispetto alla capacità della Terra di rigenerarle. E’ termodinamicamente
dimostrato che in un mondo finito non ci può essere una crescita infinita. Se tutti i circa 7
miliardi di abitanti della terra avessero un’impronta ecologica come quella di un californiano
medio, ci servirebbero altri 5 o 6 pianeti come la terra (da sfruttare).
A questo punto qualcuno inevitabilmente obietterà che non producendo più beni e merci inutili,
dannosi, programmati per deteriorarsi precocemente, indotti dalla pubblicità e dalla moda, la
produzione diminuirebbe drasticamente e si verrebbero a creare milioni di disoccupati.
Una parte di questi disoccupati potrebbero essere nuovamente occupati per tutti quei servizi
socialmente utili come la cura e la salvaguardia dell’ambiente, la scuola pubblica, la sanità
pubblica, la giustizia, i servizi sociali, i beni culturali, tutti quei servizi che non possono essere
gestiti dai privati perché non producono profitti monetari ma solamente profitti sociali.
I soldi per finanziare queste attività possono provenire dall’emissione di biglietti di stato o da
certificati fiscali statali o da minibot. Si tratta, semplicemente, di iniziare a riappropriarci della
Sovranità Monetaria
Il resto dei disoccupati possono essere re-impiegati dal tempo-lavoro lasciato libero dopo un
robusta diminuzione dell’orario di lavoro a parità di salario.

autori di riferimento: Latouche, Pallante, Georgescu-Roegen, Castoriadis, Illich.


  • Riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario
La produttività dei lavoratori nel corso degli ultimi due secoli (industrializzazione) è aumentata
proporzionalmente allo sviluppo tecnologico, in particolare con la tecnologia dell’informazione
(informatizzazione) la produttività ha subito un’impennata formidabile e spettacolare. Peccato
che la redistribuzione in termini di salario non abbia seguito lo stesso andamento, un
lavoratore oggi produce quanto 10 o più lavoratori del secolo scorso. Il profitto (plusvalore)
derivante da questa iper-produttività è andato tutto nella direzione del datore di lavoro. Non a
caso, per esempio, oggi un Amministratore Delegato riceve una retribuzione pari a oltre 300
volte quella di un suo sottoposto.
E’ di tutta evidenza che ora una redistribuzione del plusvalore prodotto dai lavoratori  deve
avvenire in forma di riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e di riduzione degli anni di
lavoro.
Questa pratica si rivela utile anche a controbilanciare la massiccia introduzione di robot
(informatizzati) in tutti le attività produttive e di servizio.
A parte la rivoluzione classica, quella fatta con i fucili, questo è anche l’unico modo per
correggere la rappresentazione delle due piramidi perfettamente speculari verticalmente:
quella con la punta rivolta verso l’alto che rappresenta il numero dei ricchi (1%) e la base
in basso che rappresenta il numero dei poveri (99%)  
quella con la punta rivolta verso il basso che rappresenta la ricchezza dei poveri (1%) e la
base in alto che rappresenta la ricchezza dei ricchi (99%)

autori di riferimento: Sarebbero troppi da citare, in gran parte comunisti.


  • Reddito di base universale incondizionato
Questa idea non è originalissima, ne parlava già Thomas Paine nel 1795.
Il reddito di base è un ammontare di denaro che viene dato, a intervalli regolari,  a tutti
indistintamente (erga omnes), è individuale, a prescindere dal reddito e incondizionato ovvero
non si pretende nulla in cambio eccetto la cittadinanza o la residenza.
Il reddito di base è parte delle riforme socio-economiche necessarie alla realizzazione di una
società che distribuisca in modo giusto le risorse economiche.
Tra i vantaggi che si otterrebbero, se venisse attuato, c’è sicuramente:
  • una semplificazione burocratica intesa come controlli e verifiche di tutte le misure di
  • wellfare oggi applicate. Le verifiche del reddito di base sono pressoché nulle.
  • disincentiverebbe lo strumento degli straordinari da parte degli occupati, stimolando così
  • nuove assunzioni.
  • eviterebbe l’accettazione da parte dei disoccupati di contratti vergognosi (in termini di
  • salario e tutele) che oggi sono costretti ad accettare.
  • Stimolerebbe lo strumento del part-time liberando (parzialmente) l’uomo dal lavoro. Il
  • tempo liberato potrebbe essere usato per curare gli affetti familiari o a dedicarsi a cose
  • ben più serie del lavoro come lo studio, l’arte, la musica, ecc.
L’obiezione classica, posta dai detrattori di questa teoria, è:  bello, molto bello ma dove si
prendono i soldi?
I soldi per finanziare il reddito di base universale e incondizionato possono venire da varie
fonti:
  • la razionalizzazione degli strumenti di wellfare attualmente utilizzati ma molto frammentati
  • tassazione minima 1% o 2% sulle transazioni finanziarie (oggi allo zero virgola,
  • praticamente esentasse)
  • vera lotta all’evasione ed elusione fiscale. Oggi oltre all’80% delle tasse proviene da
  • dipendenti e pensionati e non perché siano particolarmente onesti ma semplicemente
  • perché vengono tassati alla fonte.
  • ultimo ma non ultimo, dalla Sovranità Monetaria

autori di riferimento: Paine, Fourier, Charlier, Vanderborght, Von Parijis .


  • Sovranità monetaria
Premesso che se tornassimo alla situazione  ante divorzio Tesoro-Banca d’Italia (1981)
quando lo stato si finanziava con l’emissione di titoli di stato a tasso di interesse
predeterminato pari all’inflazione e l’eccedenza veniva acquistata dalla Banca d’Italia (partita
di giro) non ci troveremmo nella disastrosa odierna situazione.  
Il fatto che uno stato sovrano non abbia la sovranità monetaria rappresenta un ossimoro
perfetto. Il fatto che uno stato, per costruire un ospedale o una scuola, debba chiedere i soldi
in prestito (con interessi usurai) ai privati (banche, Banca d’Italia, BCE) che sono gli unici che
hanno il potere di creare i soldi dal nulla, come avviene da 30 anni  è certamente un buon
argomento per vari trattati psichiatrici criminali.
Questo stato di cose, oltre al famoso divorzio del 1981, deriva anche da scelte scellerate
come la fusione delle banche commerciali che dovrebbero finanziare, tramite prestiti, famiglie
e aziende con le banche d’affari che fanno speculazione finanziaria. Oppure dalla
privatizzazione di tutte le banche pubbliche, inclusa la Banca d’Italia. A differenza dell
Germania e Gran Bretagna le quali hanno ancora banche pubbliche che possono acquistare
i titoli di stato invenduti sui mercati finanziari, azzerando in questo modo sia il debito che gli
interessi.
Potremmo emettere moneta positiva non a debito come le statonote (al contrario delle
banconote) come fece in passato Lincoln, Kennedy e Moro. Nessun trattato europeo ce lo
vieta. Bisogna solo avere il coraggio di farlo e sperare di non fare la fine di chi ci ha già provato.
autori di riferimento: Auriti, Ioppolo, Borghi, Bagnai, Galloni, Zibordi, Saba, ecc….

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