venerdì 17 maggio 2019

I cattivi maestri: l’austerità non è mai abbastanza

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Una delle scene più celebri del cinema italiano è quella in cui Totò e Peppino si cimentano nella preparazione di una lettera da indirizzare alla malafemmina. Nella fattispecie, si trattava di Marisa, l’avvenente fiamma del giovane nipote dei due scriventi, tale Gianni, che, a detta dei due goffi mittenti, oltre a non godere di buona reputazione, era tacciata di distogliere il suo amato dai propri doveri.

Questa comica sceneggiatura si ripropone oggi con un inevitabile cambio di protagonisti e di oggetto del contendere. A scrivere, stavolta, sono 60 economisti appartenenti a ben noti circuiti accademici: si va da Pietro Reichlin della Luiss, passando per Giampaolo Galli dell’Osservatorio sui Conti Pubblici dell’Università Cattolica (per intenderci, quello capitanato da Carlo Cottarelli), fino ad arrivare all’ex ministro Renato Brunetta di Forza Italia e al piddino Tommaso Nannicini, docente all’Università Bocconi di Milano (ancora una volta PD e Forza Italia sulla stessa barca). Il destinatario, oltre al vasto pubblico de “Il Foglio” già avvezzo a questo tipo di letture, è l’attuale esecutivo gialloverde. L’oggetto della missiva è, tanto per cambiare, un monito sull’irresponsabilità in materia fiscale dell’attuale Governo, tacciato, proprio come la malafemmina di Totò e Peppino, di cattiva condotta in quanto non starebbe operando nell’interesse del Paese, facendo lievitare la spesa pubblica e quindi il debito.
Nella lettera si ritiene infatti che il governo dovrebbe “impegnarsi in una seria revisione della spesa pubblica” al fine di evitare l’aumento della pressione fiscale e che “l’aumento delle aliquote IVA e delle accise non ha alternative credibili”. Il paradigma in cui si muovono gli economisti che scrivono al Governoè il contesto del pareggio di bilancio: non vigendo per lo Stato la possibilità di fare spesa in deficit, ossia di spendere più di quanto esso riscuota tramite le imposte, sarebbe imperativo rivedere l’eccessivo programma di spesa finora intrapreso (ad esempio, attraverso tagli alla spesa per pensioni, sanità, istruzione). L’alternativa, per far quadrare i conti, sarebbe quella di accrescere il prelievo fiscale tramite l’aumento dell’IVA: una misura che, ovviamente, frenerebbe la crescita ed avrebbe pertanto effetti negativi sull’occupazione.
Cosa succederebbe, però, qualora l’IVA non dovesse aumentare? Secondo gli autori della lettera le cavallette dello spread sarebbero prontamente in agguato: lo Stato dovrebbe rivolgersi ai mercati per ottenere a debito le risorse di cui abbisogna, ed in questa sede, nelle suddette condizioni, si scatenerebbe la tempesta dei tassi di interesse in quanto gli investitori pretenderebbero un rendimento più elevato alla luce del maggior rischio – ‘certificato’ dalle agenzie di rating – sui titoli del debito italiano. Insomma, una storia vecchia come il cucco: se per finanziare la spesa pubblica che eccede il prelievo fiscale un Governo ricorre al deficit, si ritrova alla mercé dei mercati. Perché ciò accade? Il meccanismo, come abbiamo già avuto modo di vedere, è figlio di un preciso assetto istituzionale.
I trattati europei prevedono, infatti, che i singoli Paesi membri dell’area euro rispettino il famigerato “Obiettivo di Medio Termine” (OMT), vale a dire il raggiungimento di un sostanziale equilibrio (leggasi pareggio) tra entrate e spese pubbliche nell’arco del triennio programmato dalle singole manovre di finanza pubblica (ossia, le leggi di bilancio). Qualora le istituzioni europee concedano, a determinate condizioni, uno sforamento temporaneo dall’OMT, in ogni caso la spesa pubblica in deficit da parte degli Stati membri non può superare il tetto massimo del 3% del PIL previsto dal trattato di Maastricht. In aggiunta, i trattati europei dispongono che la Banca Centrale Europea non può acquistare i titoli del debito pubblico dei vari Paesi dell’euro in sede di emissione (ossia, sul mercato primario).
Che succede, però, se, a detta della Commissione Europea, un Paese non sta rispettando il proprio OMT? Quello che si mette in moto è un vero e proprio meccanismo ricattatorio, all’interno del quale le agenzie di rating svolgono un ruolo fondamentale che proviene direttamente dalle Direttive della Commissione Europea e dalle regole interne della Banca Centrale Europea. Se il deficit pubblico di un Paese membro è ‘troppo’ elevato rispetto al livello programmato, le agenzie di rating ‘declassano’ (ossia, valutano come più rischiosi) i titoli di Stato di quel Paese. A questo punto i ‘mercati finanziari’, ossia gli intermediari finanziari che acquistano i titoli di stato in sede di emissione, sono disposti ad acquistare quei titoli solo a tassi di interesse più elevati per compensare il maggior rischio certificato dalle agenzie di rating. Da parte sua, la BCE potrebbe intervenire sul mercato secondario, acquistando i titoli di quel Paese allo scopo di abbassare i tassi di interesse: tuttavia, la BCE o non interviene prontamente, come abbiamo già avuto modo di notare, oppure interviene imponendo al Paese in questione una riduzione della spesa pubblica. Il combinato disposto di questi elementi fa sì che siano allora gli stessi Governi a dover rivedere a ribasso, come suggerito dagli economisti firmatari della lettera, i propri programmi di spesa, al fine di tentare di ristabilire quella fiducia da parte dei mercati, che verrebbe meno in caso di misure considerate ‘troppo espansive’, e, quindi, di riportare i tassi di interesse su livelli più contenuti.
Tuttavia, i sessanta mittenti sembrano non aver ben chiaro il reale contenuto della politica economica del governo gialloverde: occorre infatti notare che l’attuale esecutivo sta realizzando l’ennesimo avanzo primario, di fatto proseguendo a tutti gli effetti spedito sul sentiero intrapreso dal nostro Paese ormai dagli anni ’90. Realizzare un avanzo primario significa, concretamente, attuare politiche economiche di carattere recessivo poiché lo Stato, attraverso un prelievo fiscale che (al netto della spesa per interessi che paga sul debito) eccede le risorse destinate alla spesa pubblica, sta di fatto sottraendo risorse all’economia reale, contribuendo al rallentamento della domanda aggregata e quindi della dinamica occupazionale. L’attuale deficit preventivamente fissato in legge di bilancio dal governo Conte ne è l’ennesima testimonianza. Infatti, nonostante le pompose dichiarazioni degli esponenti del ‘governo del cambiamento’, la manovra finanziaria del governo giallo-verde realizzerebbe di fatto un avanzo primario pari a circa l’1/1,5% del PIL. Come se non bastasse, e l’accorato allarme dei sessanta economisti ne è l’ennesima fulgida dimostrazione, l’opposizione continua a criticare l’operato del Governo unendosi, anche tramite questa lettera aperta, ai dettami delle istituzioni europee che vorrebbero ancora più austerità (magari, ad esempio, un deficit all’1.8% del PIL, come programmato dal precedente esecutivo, che implicherebbe, data la spesa per interessi, un avanzo primario ancora più ampio).
In tutto ciò, che fare? Occorre innanzitutto riconoscere le cose per come realmente stanno. Da un lato c’è un Governo che, stando ai numeri dell’ultima legge di bilancio, non sta attuando alcun tipo di manovra di carattere espansivo. Dall’altro, c’è il sempre più assordante coro liberista, le cui prime voci sono spesso esponenti del mondo accademico, che non perde occasione per tirare le orecchie ad un esecutivo irresponsabile (sic!) che starebbe facendo troppa poca austerità.
Da parte nostra, riteniamo che le soluzioni necessarie per rilanciare la crescita e l’occupazione in un Paese falcidiato da una crisi lunga ormai più di dieci anni non si sostanzino nella revisione dei programmi di spesa pubblica proposta dagli economisti in questione, quanto piuttosto in una radicale alternativa al modello economico-sociale dominante. Occorrerebbe, in altre parole, acquisire la consapevolezza che i vincoli europei, e più in generale il contesto istituzionale vigente, non rappresentano solo un ostacolo alla realizzazione dello stato sociale e della piena occupazione, ma sono concepiti come un argine al miglioramento delle condizioni di vita della maggior parte della popolazione. È, questo, il primo passo da compiere per diffidare sia delle misure avanzate dall’attuale esecutivo, sia delle proposte sbandierate da un’opposizione che, continuando a vendersi come il ‘fronte dei responsabili’, non auspica altro che tornare al più presto al Governo per riaccaparrarsi la gestione dell’austerità.

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