Da Omero a Trump, le bugie di guerra in rima, in prosa, in telecronaca. La prima guerra nella storia, narrano, è vecchia di 5000 anni (2975 aC, Faraone Udimo). Da allora ne sono state combattute 27.500, con 350 milioni di morti.
Una media di 5,5 guerre e 65 mila morti ogni anno della storia dell’uomo. Negli ultimi 100 anni le guerre hanno prodotto 100 milioni di vittime.
Assaggio di un Nonlibro Quasilibro
Intanto mi presento (per i non frequentatori abituali di Remocontro). Faccio il giornalista da un bel po’ di anni, e non mi era mai passato per la testa di occuparmi di qualche cosa d’altro che non fosse la notizia. Il giornalismo è un mestiere di grinta e d’ambizioni. C’è chi insegue la notizia e chi cerca di sistemarsi almeno la carriera. Personalmente m’intendo più di notizie che di carriera, e ciò, hanno provato a spiegarmi, sarebbe poco furbo ma io non sono mai riuscito ad adeguarmi. Forse è anche per questo che dedico una gran parte del mio tempo a scrivere libri e sopratutto a curare ‘Remocontro‘.
Per cercare di raggiungere la notizia mi è capitato di inseguire brigatisti rossi e terroristi neri, mafiosi nostrani e banditi extracomunitari, spacciatori di droga e trafficanti di armi, spie caserecce e infiltrati da esportazione. Uno spasso. Sino a quando qualcuno molto, molto potente, primi anni novanta, mi ha detto, basta, “niente più investigazioni e inchieste”, e mi sono ritrovato in esilio, per giunta in zona di guerra.
“Altro giro altro regalo”, dicono al Luna Park. Gli ultimi 20 anni di lavoro, li ho passati in giro per il mondo ad inseguire guerre. Ne ho visto davvero di cotte e di crude. Guerre piccole, guerre medie e guerre di taglia extra large. Mi sono trovato dentro guerre che non erano chiamate guerre, e ad operazioni di pace che non c’entravano nulla con la pace. Io, che non avevo fatto neppure il servizio militare, so ormai tutto sui giubbotti antiproiettile, sulla forza di penetrazione di un proiettile di kalashnikov, sulla carica d’esplosivo che viaggia su di un missile Cruise rispetto ad un Tomahawk. Riesco persino a distinguere l’esplosione di un colpo d’artiglieria da quello di una granata. Ancora adesso, se sento il botto di un fuoco d’artificio, con gli occhi cerco un riparo dietro di cui proteggermi.
Per cercare di raggiungere la notizia mi è capitato di inseguire brigatisti rossi e terroristi neri, mafiosi nostrani e banditi extracomunitari, spacciatori di droga e trafficanti di armi, spie caserecce e infiltrati da esportazione. Uno spasso. Sino a quando qualcuno molto, molto potente, primi anni novanta, mi ha detto, basta, “niente più investigazioni e inchieste”, e mi sono ritrovato in esilio, per giunta in zona di guerra.
“Altro giro altro regalo”, dicono al Luna Park. Gli ultimi 20 anni di lavoro, li ho passati in giro per il mondo ad inseguire guerre. Ne ho visto davvero di cotte e di crude. Guerre piccole, guerre medie e guerre di taglia extra large. Mi sono trovato dentro guerre che non erano chiamate guerre, e ad operazioni di pace che non c’entravano nulla con la pace. Io, che non avevo fatto neppure il servizio militare, so ormai tutto sui giubbotti antiproiettile, sulla forza di penetrazione di un proiettile di kalashnikov, sulla carica d’esplosivo che viaggia su di un missile Cruise rispetto ad un Tomahawk. Riesco persino a distinguere l’esplosione di un colpo d’artiglieria da quello di una granata. Ancora adesso, se sento il botto di un fuoco d’artificio, con gli occhi cerco un riparo dietro di cui proteggermi.
Sopravvivere al corso di sopravvivenza
Una volta, diversi anni fa, mi hanno costretto ad un corso di “sopravvivenza in zona di guerra”. Sette giorni fra assaltatori e paracadutisti, fra alpini e lagunari, fra esperti d’esplosivi e potenziali assassini all’arma bianca. Ho corso sotto il peso di anti proiettile ed elmetto e sotto il tiro di finti cecchini. A Sarajevo i cecchini erano veri come i loro proiettili, e correvo molto di più. Sono stato costretto a saltare da camionette in corsa e da elicotteri ancora in volo. Salvo buttarmi col paracadute, m’è toccato di tutto. Hanno finto di prenderci prigionieri e poi ci hanno fatto scappare guadando le acque non riscaldate dell’Isonzo a febbraio. Fra noi c’erano anche vecchi signori con la pancetta e l’affanno, ad annaspare fra la durezza artificiale della guerra finta. La serie dei film sulla “Scuola di polizia” ci faceva un baffo, come comicità del risultato.
Quando mi occupavo di mafia, ero in grado di girare per Palermo senza mai sbagliare strada: esci dall’autostrada da Punta Raisi alla seconda uscita dopo la strage Falcone, arrivi alla lapide del giudice Chinnici e volti a destra, poi superi la strage di Viale Lazio e giri verso il centro oltre la bomba Borsellino. Toponomastica del massacro. Per le guerre in esportazione, potrei organizzare veri e propri tour lungo i macelli della Bosnia, da Mostar verso Sarajevo, e a nord verso Srebrenica o Doboj. Un tour del Kosovo, da Belgrado a Pristina passando per Pancevo e Nis. Potremmo visitare assieme i luoghi Santi di Gerusalemme, tutt’attorno alle trincee della Natalità, da Betlemme a Nazaret. Da non trascurare, Gaza.
Se siete dei buoni campeggiatori, potremmo avventurarci nel Kurdistan iracheno, verso Zako e Sulejmania, o nel sud dell’Iraq, a Bassora e dintorni. Se siete degli alpinisti, potremmo andarcene in Afghanistan passando dal Tajikistan, attraverso le montagne himalayane dell’Indukush, lungo la valle del Panshir, sino a Kabul, con una puntatina all’ospedale di Emergency, ad Hannaba, dove magari troviamo l’amico Gino Strada. Ultimamente mi ero fatto una cultura su Siria e Libano. Nel sud di quest’ultimo paese conoscevo praticamente ogni ponte abbattuto, ogni buca di bomba israeliana, le strade che c’erano, gli sterrati alternativi lungo i bananeti, e ogni maceria. Ruderi romani, crociati, e ruderi della follia contemporanea. Per gli ultimi basta seguire la mappa dei bombardamenti israeliani 2006 sui villaggi Hezbollah, a partire dall’evangelica Qana, quella delle nozze del miracolo di Cristo, e dei massacri dei poveri cristi di oggi.
Quando mi occupavo di mafia, ero in grado di girare per Palermo senza mai sbagliare strada: esci dall’autostrada da Punta Raisi alla seconda uscita dopo la strage Falcone, arrivi alla lapide del giudice Chinnici e volti a destra, poi superi la strage di Viale Lazio e giri verso il centro oltre la bomba Borsellino. Toponomastica del massacro. Per le guerre in esportazione, potrei organizzare veri e propri tour lungo i macelli della Bosnia, da Mostar verso Sarajevo, e a nord verso Srebrenica o Doboj. Un tour del Kosovo, da Belgrado a Pristina passando per Pancevo e Nis. Potremmo visitare assieme i luoghi Santi di Gerusalemme, tutt’attorno alle trincee della Natalità, da Betlemme a Nazaret. Da non trascurare, Gaza.
Se siete dei buoni campeggiatori, potremmo avventurarci nel Kurdistan iracheno, verso Zako e Sulejmania, o nel sud dell’Iraq, a Bassora e dintorni. Se siete degli alpinisti, potremmo andarcene in Afghanistan passando dal Tajikistan, attraverso le montagne himalayane dell’Indukush, lungo la valle del Panshir, sino a Kabul, con una puntatina all’ospedale di Emergency, ad Hannaba, dove magari troviamo l’amico Gino Strada. Ultimamente mi ero fatto una cultura su Siria e Libano. Nel sud di quest’ultimo paese conoscevo praticamente ogni ponte abbattuto, ogni buca di bomba israeliana, le strade che c’erano, gli sterrati alternativi lungo i bananeti, e ogni maceria. Ruderi romani, crociati, e ruderi della follia contemporanea. Per gli ultimi basta seguire la mappa dei bombardamenti israeliani 2006 sui villaggi Hezbollah, a partire dall’evangelica Qana, quella delle nozze del miracolo di Cristo, e dei massacri dei poveri cristi di oggi.
Una proposta di viaggio
Invece No. Niente di così scontato. Il viaggio che vi propongo con questi spezzoni di Quasilibro, oggi è l’assaggio, si muove lungo le strade ancora più avventurose della storia. Storia, scritta maiuscola, come quella dei libri di testo. Peggio ancora, ho scelto di rivolgermi -nell’uso del linguaggio- a ben strani interlocutori: quel misterioso mondo che sta a cavallo fra l’adolescenza e la giovinezza. M’accorgo ora di non sapere bene neppure come chiamarVi. Ragazze e ragazzi? Giovani? Studenti? Da giornalista di mestiere, me la cavo col trucco di chi, quando non sa una cosa, si rifugia nella genericità. D’ora in avanti sarà un imprecisato “Voi”, immaginando Voi come persone in ogni modo giovani se non d’età, certamente di zucca.
Colpa della scuola, tutto questo, per le molte volte in cui sono stato chiamato in classe per parlare di guerre, di giornalismo e di televisione. Qualche lezione universitaria e, molto più difficile, nei licei, alle medie, persino alle elementari. Più difficile, quest’ultima esperienza, ma anche molto appassionante. All’università o nelle conferenze con pubblico adulto (venerdì sera ero alla Acli di Mestre-Venezia a parlare di Balcani col vescovo ausiliare di Sarajevo, l’amico Pero Sudar). In quelle occasioni offri la tua ‘mercanzia culturale”, ed è prendere o lasciare per chi ti ascolta, mentre nei licei e nelle scuole inferiori “insegni” e quindi ciò che hai da dire lo devi rendere appetibile e digeribile. Che uno voglia o meno, una volta in cattedra, diventi un “educatore”. Parola terribile ma fantastica, riuscendo ad esserlo veramente.
Da quell’esperienza nasce la balzana idea di un Nonlibro (che poi un vero libro di estrema sintesi e altro taglio è diventato) rivolto a ‘Voi’, a cui il mondo adulto presta di solito tante attenzioni pratiche e troppo poco impegno personale e intellettuale, ma anche a noi tardo-adulti a cui certa politichetta di piccoli Nonleaders non presta ormai ascolto o attenzione. Le regole, assieme alle guerre, le decidono ristretti gruppi di adulti, e a ‘Voi’ resta soltanto la possibilità di adeguarvi o di scappare fra le braccia del Grande Fratello, se ancora insistete con la televisione demenziale, o nella jungla internet dove è più facile cadere in trappole che scoprire nuovi paradisi. In quanto a capire il mondo, ‘ci penserà la scuola e soprattutto la vita’, diciamo noi adulti, lavandocene le mani. Del resto, attorno al tema guerra, siamo ad una confusione condivisa.
Colpa della scuola, tutto questo, per le molte volte in cui sono stato chiamato in classe per parlare di guerre, di giornalismo e di televisione. Qualche lezione universitaria e, molto più difficile, nei licei, alle medie, persino alle elementari. Più difficile, quest’ultima esperienza, ma anche molto appassionante. All’università o nelle conferenze con pubblico adulto (venerdì sera ero alla Acli di Mestre-Venezia a parlare di Balcani col vescovo ausiliare di Sarajevo, l’amico Pero Sudar). In quelle occasioni offri la tua ‘mercanzia culturale”, ed è prendere o lasciare per chi ti ascolta, mentre nei licei e nelle scuole inferiori “insegni” e quindi ciò che hai da dire lo devi rendere appetibile e digeribile. Che uno voglia o meno, una volta in cattedra, diventi un “educatore”. Parola terribile ma fantastica, riuscendo ad esserlo veramente.
Da quell’esperienza nasce la balzana idea di un Nonlibro (che poi un vero libro di estrema sintesi e altro taglio è diventato) rivolto a ‘Voi’, a cui il mondo adulto presta di solito tante attenzioni pratiche e troppo poco impegno personale e intellettuale, ma anche a noi tardo-adulti a cui certa politichetta di piccoli Nonleaders non presta ormai ascolto o attenzione. Le regole, assieme alle guerre, le decidono ristretti gruppi di adulti, e a ‘Voi’ resta soltanto la possibilità di adeguarvi o di scappare fra le braccia del Grande Fratello, se ancora insistete con la televisione demenziale, o nella jungla internet dove è più facile cadere in trappole che scoprire nuovi paradisi. In quanto a capire il mondo, ‘ci penserà la scuola e soprattutto la vita’, diciamo noi adulti, lavandocene le mani. Del resto, attorno al tema guerra, siamo ad una confusione condivisa.
La fabbrica delle bugie
Le guerre come fonte di menzogna era quello che avevo da dire e che continuo a ripetere: oggi, ieri, l’altro ieri e prima ancora. A cominciare dalla guerra raccontata in rima da Omero e studiata a scuola, sino alle guerre di Trump, l’attuale disgrazia planetaria dagli Stati Uniti, che possiamo seguire in telecronaca diretta, spesso bugiarda e raffazzonata. In una sola riga la scoperta di una vita professionale: “La guerra come fonte di menzogna e la televisione come bugiardo preferito dalla guerra”, e un intero Quasi-libro per svelare i trucchi del racconto di guerra.
Una sproporzione evidente. Il problema credo sia nella mancata sincronia delle velocità fra Storia e Informazione. La corsa superficiale della televisione, che è stata per 40 anni il mio strumento di lavoro e oggi il web a raffica Internet dove tutti possono proporre idee ma anche cavolate, mentre il tempo della conoscenza e della comprensione si muove lento e faticoso attraverso l’impegno dello studio e della ricerca di fonti diverse da mettere a confronto.
Ho approfittato di ogni pausa ai ritmi ossessivi della mia professione per riordinare le esperienze fatte sui campi di battaglia e trasformarle in un ragionamento minimamente articolato. Problema non facile da risolvere per chi è stato costretto per una vita ad inscatolare tragedie mondiali nel minuto e 15 secondi dei “servizi” in Telegiornali sempre più stitici e avari di notizie vere. Pillole di conoscenza rispetto alla fame del sapere. Il Nonlibro diventa così anche psicoterapia per noi ‘televisivi’ (ex e neo blogger), frustrati dalla tanta apparenza e dalla poca sostanza consentita dal nostro lavoro.
Una sproporzione evidente. Il problema credo sia nella mancata sincronia delle velocità fra Storia e Informazione. La corsa superficiale della televisione, che è stata per 40 anni il mio strumento di lavoro e oggi il web a raffica Internet dove tutti possono proporre idee ma anche cavolate, mentre il tempo della conoscenza e della comprensione si muove lento e faticoso attraverso l’impegno dello studio e della ricerca di fonti diverse da mettere a confronto.
Ho approfittato di ogni pausa ai ritmi ossessivi della mia professione per riordinare le esperienze fatte sui campi di battaglia e trasformarle in un ragionamento minimamente articolato. Problema non facile da risolvere per chi è stato costretto per una vita ad inscatolare tragedie mondiali nel minuto e 15 secondi dei “servizi” in Telegiornali sempre più stitici e avari di notizie vere. Pillole di conoscenza rispetto alla fame del sapere. Il Nonlibro diventa così anche psicoterapia per noi ‘televisivi’ (ex e neo blogger), frustrati dalla tanta apparenza e dalla poca sostanza consentita dal nostro lavoro.
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