domenica 28 aprile 2019

L’acqua e la guerra contro i popoli.

Sappiamo da tempo che il rifiuto di garantire a tutti l’accesso alla fonte della vita, di privatizzarne o militarizzarne la gestione, così come l’avvelenamento delle falde acquifere, sono armi essenziali e strategiche della guerra di tutti gli Stati contro tutti i popoli.  Quel che forse non conosciamo bene e non teniamo sempre presente è la dimensione generalizzata di questa offensiva contro l’esistenza stessa de los de abajo. Raúl Zibechi cita qui alcune situazioni dell’América Latina dove la situazione si fa sempre più drammatica, sebbene, proprio in quella regione, la gestione comunitaria dell’acqua sia una tradizione consolidata e tutt’altro che marginale, soprattutto nelle zone dov’è più forte la presenza delle popolazioni indigene. Spetta comunque a loro e, più in generale, ai movimenti antisistemici, precisa Zibechi, garantire il diritto all’acqua, di fronte alla collusione tra Stati e imprese monopolistiche per fare sempre più dell’acqua un grande business del presente e del futuro

Per un anniversario della Guerra dell’acqua di Cochabamba, Bolivia.

Nessuno si sorprenderà se diciamo che l’acqua viene utilizzata come arma di guerra contro i popoli. Il caso della Striscia di Gaza parla da sé.
Tuttavia, non abbiamo ancora idea dell’entità del fenomeno, perché siamo abituati a considerare che i casi più noti siano piuttosto delle eccezioni. Niente di più sbagliato.
Milioni di persone sono prive di acqua nelle grandi città dell’América Latina, in particolare a São Paulo e a Città del Messico. 
Non ci sono cifre chiare sui problemi di approvvigionamento, ma è certo che l’acqua è sempre più contaminata, scarsa e, di conseguenza, viene militarizzata dagli Stati. 
 Il cambiamento climatico e la crescente disuguaglianza  giocano contro i settori popolari che sono i più colpiti dalla crisi nella fornitura di acqua potabile di qualità.

In El Salvador, il 90 per cento dell’acqua è contaminata, piena di sostanze chimiche come il glifosato, come evidenzia un recente studio.  
In Uruguay, un paese che aveva una buona qualità dell’acqua e dei servizi in generale, quest’estate le spiagge pullulavano di cianobatteri a causa dell’eccessivo uso di glifosato nelle coltivazioni di soia transgenica.
Il risultato è che le famiglie di classe media possono comprare i filtri a carboni attivi per purificare l’acqua (da 200 a 500 dollari al pezzo), mentre i settori popolari la consumano contaminata.
In Brasile l’Agenzia Nazionale delle Acque [Agência Nacional de Águas, ANA] ha appena reso pubblico che in 15 anni ci saranno 55 milioni di abitanti delle aree urbane a rischio idrico, il che impone la realizzazione di opere milionarie per le quali non c’è un budget.
Nel 2016 c’erano 812 municipi (sui 5000 complessivi del paese) che erano riforniti con camion-cisterna, sempre sorvegliati dai militari per il rischio di assalti. L’agenzia riconosce che anche se si realizzassero le opere programmate, ci saranno ugualmente milioni di persone senza accesso all’acqua.
Il primo punto di cui tener conto è che questa realtà indica che gli Stati non saranno in grado di fornire acqua, un diritto umano fondamentale. Inoltre, gli Stati stanno procedendo a privatizzare la risorsa.

Il VII Incontro Nazionale degli Acquedotti Comunitari della Colombia, che si è tenuto il 16, 17 e 18 novembre 2018, ha denunciato “la trasformazione delle imprese pubbliche municipali in imprese private e miste per azioni, e la persistenza nel farlo con i nostri acquedotti comunitari; la perdita dell’autonomia municipale e territoriale dei governi locali nella gestione delle proprie risorse per l’acqua e la depurazione e la distruzione delle comunità organizzate come tessuti costruiti congiuntamente dalle persone”.



In Colombia esistono 12.000 acquedotti comunitari che forniscono il 40% dell’acqua nelle zone rurali e il 20% nelle città, ma il governo di destra di Iván Duque intende privatizzarli, in quella che considerano “violenza istituzionale”. Finché persiste il modello neoliberale, la gestione comunitaria dell’acqua è in pericolo, tanto per i tentativi di privatizzazione quanto per l’attacco frontale dello Stato, dei gruppi paramilitari e del narcotraffico al tessuto comunitario che sostiene gli acquedotti.
Il secondo punto è che spetta ai movimenti antisistemici garantire il diritto all’acqua, di fronte alla collusione tra Stati e imprese monopolistiche per fare dell’acqua un grande affare.

L’esperienza colombiana è importante ma non è l’unica. 
La scommessa delle comunità non è banale; si tratta di reti di organizzazioni di base, radicate nella vita quotidiana nei territori dei popoli originari, neri, contadini e nelle periferie urbane, quelli che stanno realizzando il controllo popolare dell’acqua, dall’esplorazione e alla fornitura fino alla depurazione.
Anche nelle città ci sono esperienze notevoli, come quella di Cochabamba in Bolivia.
A Città del Messico, una delle metropoli più colpite dalla scarsità della risorsa, esiste una manciata di movimenti che con il loro lavoro militante sono stati capaci di risolvere il loro problema per l’accesso all’acqua. Segnalo la  Comunidad Habitacional Acapatzingo, a  Iztapalapa (una delle zone più colpite dalla scarsità).
Una comunità di 600 famiglie è stata capace, in piena area urbana, di combinare  la ricezione dell’acqua intubata, con la raccolta e lo stoccaggio di acqua piovana trattata con filtri, e la costruzione di pozzi.
In questo modo è molto difficile che riescano a soffocare il movimento. Gli esempi che ci danno alcuni movimenti, devono essere raccolti e analizzati dalle organizzazioni popolari, per cercare di risolvere un grave problema per l’autonomia de los de abajo.

Pubblicato su Desinformémonos con il titolo Aguas y movimientos
Traduzione per Comune-info: Daniela Cavallo

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