lunedì 29 aprile 2019

Cannabis. Legalizzare la cannabis conviene. Di quante e quali prove abbiamo ancora bisogno?

Si può parlare di legalizzazione in Italia obiettivamente e senza doversi scontrare come fossimo allo stadio? 
Sembra difficile, i pregiudizi sono ancora troppi e soprattutto la disinformazione e l’ignoranza la fanno da padrone. 
Eppure si moltiplicano gli studi che cercano di analizzare i dati, i numeri e le statistiche per provare a contribuire ad aprire gli occhi dell’opinione pubblica che forse, come spesso accade, è più avanti rispetto alla classe politica che ci governa.


 
In questo momento di grande crisi per la nostra economia nazionale e per il nostro ambiente, è urgente e necessario cambiare radicalmente approccio e fare un’analisi costi-benefici seria e credibile sul tema della legalizzazione.  
Proviamo anche noi a buttare giù qualche suggestione utile al dibattito.

Partiamo dal mercato del consumo di cannabis: quante persone usano cannabis nel nostro Paese? 
Secondo il report annuale dello European Monitoring Centre for Drugs and Drugs Addiction (EMCDDA), il 9,2% degli italiani ha fatto uso almeno una volta di cannabis o derivati, la percentuale sale al 19% per i giovani adulti (15–34) e al 27,4% per i 15–16enni.
Nella UE, siamo secondi per consumo nella fascia 15–34 (sopra, solo la Francia), e al quattordicesimo posto su scala mondiale.
Ovviamente i dati possono essere soltanto stimati, visto che siano ancora in un ambito illegale che si muove su un mercato sommerso. 
La relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafia nel 2014 calcolava che il mercato consumasse fra le 1.500 e le 3.000 tonnellate annue di cannabis (i numeri però si basano sui quantitativi di materia sequestrata).
Nella Relazione in Parlamento della Direzione Centrale per i Servizi Antidroga, le stime erano diverse perché si basavano invece sui dati ISTAT.
L’istituto di statistica stimava intorno ai 14,1 miliardi la spesa dei consumatori per droga (tutta) nel 2014.
Ma “solo” il 28,2%, che corrisponde a quasi 4 miliardi, rappresentava la spesa per la cannabis e derivati (per capirsi lo 0,25% del PIL del paese). Ma c’è anche un altro studio da prendere in considerazione, quello di AquaDrugs; condotto per il Dipartimento delle Politiche Antidroga, analizza i residui dei principi attivi delle varie droghe nelle acque e stima il consumo per circa 830.000 kg di cannabis annue.

L’università degli Studi di Messina ha utilizzato proprio questi ultimi dati per stimare quali sarebbero i benefici economici in termini di gettito fiscale.
La linea sperimentata è quella di ipotizzare le entrate per lo Stato, in seguito ad un’eventuale legalizzazione (quindi escludendo per ora l’autoproduzione), applicando una tassazione pari a quella per le sigarette che ha un’aliquota del 75%.
Si usa utilizzare questa aliquota come simulazione perché se la tassa applicata fosse troppo alta, parte dei consumatori continuerebbe comunque a rivolgersi al mercato nero, dove il prodotto costerebbe molto meno, se invece fosse troppo bassa, il gettito ottenuto sarebbe di entità drasticamente inferiore.  
Ferdindando Ofria, professore associato all’Università di Messina, e il suo team, hanno quindi ipotizzato un prezzo medio di mercato che fosse sostenibile intorno a 10 euro a dose. Con questo costo il beneficio economico per lo Stato sarebbe pari a circa 6 miliardi di euro, numero ottenuto semplicemente dalla stima di consumo di cannabis moltiplicato per il prezzo medio di mercato.
Ma questi soldi non sono i soli che si potrebbero ottenere se si decidesse di legalizzare.
Sempre secondo lo studio dell’Università di Messina, ci sono altri introiti che vanno valutati.
Sappiamo che legalizzare le droghe leggere è uno strumento in mano allo Stato per contrastare la criminalità organizzata. Non siamo solo noi a dirlo, lo dice anche la Direzione distrettuale Antimafia, che la indica come “un metodo rilevante”.
La regolamentazione di questo mercato porterebbe dei benefici diretti anche in termini di riduzione delle spese di repressione e di ordine pubblico e sicurezza. Di quanto? Il professor Ofria ha calcolato in 541,67 milioni la diminuzione per le spese di magistratura carceraria (calcolata sul numero di detenuti arrestati per possesso di droga leggera e detenuta in carcere) e 228,37 milioni di euro per spese legate ad operazioni di ordine pubblico e sicurezza.
A questo si devono aggiungere anche dei benefici indiretti dati dal contrasto alla criminalità e cioè una migliore qualità del prodotto sul mercato e di conseguenza sulla salute dei consumatori.
Per onore di cronaca bisogna valutare che dalla legalizzazione deriverebbero anche dei costi diretti e indiretti.
I costi diretti riguardano la regolamentazione del sistema, che ora, ovviamente, non esiste; ma anche dei costi indiretti derivanti dall’aumento del consumo, soprattutto in ambito sanitario.
Ma i costi effettivi, sempre secondo lo studio dell’Università di Messina, non sono stati stimati come impattanti a livello di Pil nazionale.
In ultima analisi non si può non parlare dell’impatto che le legalizzazione avrebbe sul mercato del lavoro; tutti gli studi, che si basano sugli effetti prodotti in altri Paesi dove la legalizzazione è già realtà, sono concordi sul valore altamente positivo.
Una ricerca di Coldiretti/Ixè di qualche anno fa chiariva che, anche a livello italiano, la legalizzazione della marijuana potrebbe creare nuove opportunità garantendo almeno 10mila posti di lavoro.
Ma secondo molte altre proiezione questa stima è decisamente al ribasso.
Insomma, ci sentiamo di dire, alla luce dei dati riportati, che la questione non è più se conviene legalizzare nel nostro Paese, ma quando ci si deciderà a farlo. 
Continuare sulla via del becero proibizionismo è antieconomico, anacronistico e miope. Di quali e quante altre prove abbiamo ancora bisogno?

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