martedì 30 aprile 2019

SOLO UNA RIBELLIONE POTRÀ PREVENIRE UN’APOCALISSE ECOLOGICA

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Nessuno sta venendo a salvarci. Una disobbedienza civile di massa è essenziale per forzare una risposta politica.
Monbiot Guardian traduzione
Se avessimo messo tanto impegno nella prevenzione della catastrofe ambientale, come  ne abbiamo speso per creare scuse per non agire, l’avremmo già risolta. Ovunque guardi, vedo persone impegnate in furiosi tentativi di respingere la sfida morale che ci si presenta.
La scusa più comune è questa: “Scommetto che i manifestanti hanno i telefoni/vanno in vacanza/indossano scarpe di cuoio”.  In altre parole, sembra che non ascolteremmo nessuno che non viva nudo in un barile, sopravvivendo solo di acqua torbida. Di certo, se tu vivessi davvero nudo in un barile, non ti ascolteremmo perché a quel punto saresti un hippie stramboide. Ogni messaggero e ogni messaggio da questo portato è squalificato per motivi o di impurità o di purezza.

Più l’accelerazione della crisi ambientale e il crescere dei movimenti di protesta, come lo Sciopero Globale per il Clima ed Extinction Ribellion, rendono difficile non vedere ciò che affrontiamo, più  le persone scoprono mezzi più inventivi per chiudere gli occhi e non prendersi le proprie responsabilità.  Alla base di queste scuse c’è una convinzione profondamente radicata ovvero il pensare che, se veramente fossimo guai, qualcuno da qualche parte sicuramente verrà in nostro soccorso: “loro” non lo lasceranno accadere. Ma non c’è loro, c’è solo noi.
La classe politica, come può  osservare chiunque abbia seguito i suoi progressi negli ultimi tre anni, è caotica, riluttante e isolata, strategicamente incapace di affrontare anche solo una crisi a breve termine, figurarsi una vasta situazione esistenziale. Tuttavia prevale una ingenuità diffusa e intenzionale: la convinzione che il voto sia l’unica azione politica necessaria per cambiare un sistema. A meno che non sia accompagnato da un potente concentrato di protesta – articolando richieste precise e creando lo spazio in cui possono crescere nuove fazioni politiche – il voto, pur essendo essenziale, rimane uno strumento ottuso e debole.
I media, con poche eccezioni, sono attivamente ostili. Anche quando le emittenti coprono questi problemi, evitano accuratamente qualsiasi menzione al potere, parlando di collasso ambientale come se fosse guidato da forze misteriose e passive e proponendo soluzioni microscopiche per vasti problemi strutturali. La serie Blue Planet Live della BBC rappresenta un esempio di questa tendenza.
Coloro che governano la nazione e plasmano l’opinione pubblica non sono credibili in merito alla preservazione della vita sulla Terra. Non c’è autorità benigna che ci preservi dal male. Nessuno verrà a salvarci. Nessuno di noi può legittimamente evitare la chiamata a unirsi alla lotta per salvare noi stessi.
Vedo la disperazione come una variante del disconoscimento. Alzando le mani innanzi alle calamità che un giorno potrebbero affliggerci, le occultiamo e le allontaniamo, convertendo le scelte concrete in un terrore indecifrabile. Potremmo auto-assolverci dal nostro dovere morale affermando che è già troppo tardi per agire, ma così facendo condanniamo gli altri alla miseria o alla morte. La catastrofe affligge i popoli ora e, a differenza di coloro che nel mondo ricco possono ancora permettersi di crogiolarsi nella disperazione, questi sono costretti a rispondere in modo pratico. In Mozambico, Zimbabwe e Malawi, devastati dal Ciclone Idai; in Siria, Libia e Yemen, dove il caos climatico ha contribuito alla guerra civile; in Guatemala, Honduras e El Salvador, dove la perdita del raccolto, la siccità e il crollo della pesca hanno cacciato la gente dalle proprie case, la disperazione non è un’opzione. La nostra inazione li ha costretti ad agire, in quanto essi si trovano costretti a fronteggiare circostanze terrificanti causate principalmente dai consumi del mondo ricco. I cristiani hanno ragione: la disperazione è un peccato.
Come sottolinea l’autore Jeremy Lent in un recente saggio, è quasi certamente troppo tardi per salvare alcune delle grandi meraviglie viventi del mondo, come le barriere coralline e le farfalle monarca. Potrebbe anche essere troppo tardi per impedire a molti dei popoli più vulnerabili del mondo di perdere la propria casa. Ma, sostiene, con ogni incremento del riscaldamento globale, con ogni aumento del consumo di risorse materiali, dovremo accettare perdite ancora maggiori, molte delle quali possono ancora essere prevenute attraverso una trasformazione radicale.
Ogni trasformazione non lineare della storia ha colto di sorpresa molte persone. Come spiega Alexei Yurchak nel suo libro sul collasso dell’Unione Sovietica – “Ogni cosa era per sempre, fino a quando non è esistita più” – i sistemi sembrano immutabili finché non si disintegrano improvvisamente. Non appena lo fanno, la disintegrazione sembra retrospettivamente inevitabile. Il nostro sistema – caratterizzato da una crescita economica perpetua su un pianeta che non cresce – inevitabilmente imploderà. L’unica domanda è se la trasformazione è pianificata o non pianificata. Il nostro compito è garantire che sia pianificato e veloce. Dobbiamo concepire e costruire un nuovo sistema basato sul principio che ogni generazione, ovunque abbia lo stesso diritto di godere della ricchezza della natura.
Questo è meno scoraggiante di quanto possiamo immaginare. Come rivela la ricerca storica di Erica Chenoweth, affinché un movimento di massa pacifico possa avere successo, è sufficiente che si mobiliti il  3,5% della popolazione. Gli esseri umani sono mammiferi ultra-sociali, costantemente consapevoli in modo subliminale delle mutevoli correnti sociali. Una volta che percepiamo che lo status quo è cambiato, improvvisamente sottraiamo supporto ad uno stato d’essere per dare supporto ad un altro. Quando un 3,5% impegnato e attivo si unisce alla richiesta di un nuovo sistema, la valanga sociale che ne consegue diventa irresistibile. Rinunciare prima di aver raggiunto questa soglia è peggio della disperazione: è disfattismo.
Oggi, Extinction Rebellion occupa le strade di tutto il mondo in difesa dei nostri sistemi di supporto vitale. Attraverso un’azione audace, dirompente e nonviolenta, costringe la nostra situazione ambientale all’agenda politica. Chi e ‘questa gente? Un altro “loro”, chi potrebbe salvarci dalle nostre follie? Il successo di questa mobilitazione dipende da noi. Raggiungerà la soglia critica solo se un numero sufficiente di noi metterà da parte la negazione e la disperazione e si unirà a questo movimento esuberante e proliferante. Il tempo delle scuse è finito. La lotta per rovesciare il nostro sistema di negazione della vita è iniziata.

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