martedì 30 aprile 2019

Contro la macchina seriale del “percepito”, il futuro è il socialismo.

Chi se magna pane e vino ha da esse giacobino
Così gridava il popolo dei lazzari napoletani, guidato dall’ultra reazionario cardinale Ruffo, nell’insurrezione contro la repubblica nel 1799. 




Oggi Bolsonaro, presidente del Brasile con dichiarate simpatie per Pinochet e le dittature fasciste, ha annunciato al suo insediamento che intende sradicare ogni forma di socialismo, nel nome del popolo.
Dalla Rivoluzione Francese in poi le forze reazionarie hanno sempre indossato la maschera del popolo, accusando i rivoluzionari, i progressisti, le sinistre diremmo oggi, di essere delle élites che possono permettersi di predicare l’eguaglianza dall’alto del loro intangibile privilegio.
Attenzione, il punto non è quanto sia vera questa accusa di ipocrisia ed elitarismo verso il progressismo rivoluzionario, a volte lo è stata, lo è. 
l punto è che le forze reazionarie usano le contraddizioni e le delusioni della lotta per l’eguaglianza per rivendicarne la fine. I reazionari degli ultimi duecento anni hanno sempre avuto una comune idea del popolo: quello che si accontenta e rispetta le gerarchie, che non vuol cambiare la società, che ubbidisce alla trinità reazionaria Dio Patria Famiglia.


La sconfitta della rivoluzione francese e la restaurazione comportarono che ciò che prima era diritto tornasse ad essere elargizione dovuta al buon cuore. Così esplodeva il contrasto dei sentimenti, il conflitto tra diritto e servitù diventava quello tra bontà (oggi diciamo buonismo) e egoismo (oggi è realismo). E i poveri, si sa, sono materialmente costretti al realismo. Nella letteratura di Charles Dickens, che descrive il capitalismo inglese trionfante dell’ottocento, i poveri e gli operai sono in generale feroci tra loro ed insensibili, mentre i ricchi ed i potenti alla fine sono conquistati dalla bontà.
Il socialismo in tutte le sue versioni ha impiegato un secolo, tutto il diciannovesimo, per strappare il popolo ai vari cardinali Ruffo e per portarlo sul fronte giacobino. Per fare questo però il socialismo ha dovuto praticare la rottura con ciò che era allora la sinistra ufficiale, ha dovuto affermare contro di essa la centralità della questione sociale. Nella sostanza ha dovuto spiegare ai poveri e agli sfruttati come in fondo avessero ragione i reazionari, quando denunciavano l’ipocrisia di una uguaglianza e di una libertà solo formali, cui corrispondevano ingiustizia sociale e privilegio.
Ma che non era l’eguaglianza ad essere sbagliata, bensì il fatto che essa non riguardasse le condizioni di lavoro e di vita delle persone. Così il socialismo si è affermato nella rottura sia con il pensiero liberale, che predicava le libertà civili, ma nel nome del capitalismo e del mercato negava l’eguaglianza sociale, sia contro il pensiero reazionario, che denunciava la diseguaglianza sociale solo con lo scopo di mettere in discussione le libertà civili.
Nel ventesimo secolo, dopo la rivoluzione russa e il gigantesco moto di emancipazione e rivolta sociale promosso dal comunismo, le risposte delle classi dominanti europee furono il fascismo ed il nazismo. Che apparentemente recuperavano il protagonismo sociale delle masse, ma per collocarlo rigidamente nel rispetto della gerarchia e dell’ordine costituito, per costruire un regime reazionario di massa.
La sconfitta del fascismo in Europa ebbe due effetti fondamentali. Impose l’eguaglianza sociale come metro fondamentale della politica, con lo stato socialista pianificato ad est e quello sociale di mercato ad ovest. In secondo luogo la rovina del fascismo trascinò con essa anche i valori reazionari di fondo che il fascismo aveva recuperato e utilizzato: Dio Patria e Famiglia divennero impresentabili ed impronunciabili.
La reazione del capitalismo iniziò negli anni settanta, con la brutale riaffermazione del potere del mercato, del profitto, del privato e della ricchezza. Ciò che oggi chiamiamo neo liberismo, che ebbe come primo paese cavia il Cile, sottoposto alla sanguinaria dittatura fascista di Pinochet.
La reazione capitalista ebbe successo, sconfisse le lotte dei lavoratori ed i movimenti sociali in Occidente, provocò il crollo del socialismo reale nell’Europa dell’Est ed in Unione Sovietica. Iniziava l’epoca della globalizzazione, cioè della sottomissione al mercato, soprattutto al mercato finanziario, della economia e della società, ovunque. Apparentemente senza ostacoli.
La globalizzazione è semplicemente il sistema americano esteso a tutto il mondo, sentenziò lapidariamente Kissinger.
La sinistra occidentale, di fronte a questo processo reazionario mondiale, cercò di salvare se stessa percorrendo a rovescio il cammino del secolo diciannovesimo. Cioè, almeno nei suoi partiti maggiori e anche in tanti gruppi dirigenti sindacali, la sinistra abbandonò la questione sociale, proprio quando essa esplodeva di nuovo per le politiche liberiste, e si rifugiò nelle libertà civili.
Su queste basi l’Unione Europea fu costituita con il trattato di Maastricht nel 1992. Che esprimeva una sorta di compromesso politico ed ideologico. La sinistra abbandonava ogni forma di socialismo e si sottometteva al dominio del libero mercato, libera volpe in libero pollaio lo aveva definito Joyce. La grande borghesia ed il potere economico facevano propri i valori civili e liberali, sostenevano la massima estensione dell’eguaglianza formale in cambio del proprio pieno dominio su quella reale.
Così la UE nasceva rompendo con il nucleo centrale delle costituzioni antifasciste varate dopo il 1945. Quel nucleo che la Banca Morgan, in un suo documento del 2013, avrebbe poi definito come l’ostacolo ancora da abbattere per un pieno dispiegamento del mercato. Le costituzioni antifasciste sono democratiche e sociali, non credono affatto nella capacità di autoregolazione del mercato. Anzi esse affermano l’esatto contrario, cioè che il mercato va controllato dal potere pubblico, che ha il dovere di garantire l’eguaglianza sociale.
Il ritorno, attraverso la UE, ai principi delle costituzioni liberali contro quelli delle costituzioni antifasciste ha gettato le fondamenta ideologiche per il riemergere in Europa della destra reazionaria e del fascismo. Fino alla crisi del 2007 in Europa il connubio tra liberalismo politico e liberismo economico ha funzionato, con il governo di una coalizione politica di fatto tra partiti democristiani e conservatori e partiti socialdemocratici. Con l’esplodere della grande crisi, con l’impoverimento dei ceti medi e della maggioranza della popolazione, l’equilibrio sociale e politico europeo è saltato e le forze reazionarie hanno potuto innalzare di nuovo i vessilli del passato, nel nome del popolo e contro i radical chic, versione moderna dei giacobini sazi di pane e vino.
A loro volta le forze liberali e di centro sinistra hanno riscoperto i principi etici del liberalismo ottocentesco, quella sovrabbondanza parolaia dei buoni comportamenti e dei valori verso la quale Marx rivolgeva il più feroce sarcasmo.
Lo scontro tra liberali e reazionari ha alimentato la separazione tra diritti civili e diritti sociali. Con i reazionari in veste popolare che accusavano le sinistre liberali di difendere la licenza di costumi dei ricchi, e le sinistre che accusavano le destre di volere il ritorno al Medio Evo. Ha trionfato così la dimensione ideologica del conflitto, in una società che, dopo aver proclamato la fine delle ideologie, si è vista proiettata in conflitti politici fondati sulla negazione dei fatti. Decisivo più che mai è diventato il ruolo dei mass media vecchi e nuovi e di chi ha i soldi ed il potere per indirizzarli.
Una nuova definizione ha giustificato lo sganciamento del conflitto politico dalla realtà, quella di “realtà percepita”. La percezione superficiale determinata dalla ripetizione ossessiva di un tema o di un evento sui mass media, ne definisce l’importanza politica. Così i temi della insicurezza di fronte alla criminalità e della invasione dei migranti, spesso uniti tra loro, hanno alimentato la percezione del bisogno di legge ed ordine, che ha fatto risorgere la destra reazionaria. D’altra parte la criminalizzazione della spesa pubblica e dei diritti dei lavoratori, trasformati in privilegi, ha fatto percepire la disoccupazione e la crisi economica come risultato della politica di giustizia sociale del passato. Abbiamo vissuto al di sopra delle nostre possibilità, siamo stati cicale ed ora paghiamo: questo il senso comune con il quale viene affermata la funzione regolatrice della Unione Europea.
Lo scontro tra liberali e reazionari che domina l’Europa oggi è tutto fondato sul “percepito “, cioè su una realtà dalla quale sono state espulse le questioni sociali ed il potere economico. Liberali e reazionari hanno entrambi accettato la separazione tra diritti civili e diritti sociali, confliggono sui primi, ma hanno lasciato al mercato i secondi. Liberali e reazionari hanno due modi diversi di valutare la globalizzazione, per i primi una specie di ballo Excelsior del progresso, per i secondi un male per la fede e la razza. Ma entrambi in fondo l’accettano e la considerano inevitabile, con tutta la sua ferocia: essi divergono solo sul modo di adattarsi ad essa.
E la sinistra? All’inizio del nuovo millennio un grande movimento radicale e di sinistra aveva proprio individuato nella globalizzazione capitalista l’avversario con il quale misurarsi. No Global vennero chiamati i giovani che da tutta Europa vennero a Genova nel 2001, per subire una violentissima repressione di stato culminata con l’uccisione di Carlo Giuliani.
Allora la sinistra stava ricostruendosi proprio contro la globalizzazione, ma poi tutto naufragò e la sinistra divenne tifosa della globalizzazione capitalista scambiandola con quella dei diritti. Si esaltavano i giovani che potevano permettersi gli Erasmus e si dimenticavano quelli, molti di più, ai quali il liberismo negava una istruzione pubblica decente.
Così la sinistra ha regalato alla destra reazionaria la critica della globalizzazione. La quale destra ha ringraziato del dono, che ha utilizzato non certo per mettere in discussione il dominio del mercato, ma per rispolverare il patriottismo ipocrita di Dio Patria e Famiglia. Parole che han potuto essere pronunciate di nuovo in Europa senza essere coperte dalla vergogna che meritano.
La sinistra ha varato la parola sovranismo per definire la destra neofascista, volutamente per confondere la sovranità popolare con il fascismo. La destra ha incassato ed accusato la sinistra di essere elitaria, inglobando in questa definizione ogni distacco dal senso comune reazionario che la destra stessa diffonde. Entrambe, destra reazionaria e sinistra liberale, hanno usato la definizione dell’avversario per chiudere il proprio campo alla questione sociale riaperta dalla globalizzazione.
Ma oggi noi non subiamo più solo gli effetti sociali negativi della globalizzazione, ma quelli ancor più gravi della sua crisi. Lo sviluppo globale si è fermato e frantumato. Il sistema americano è andato in crisi. La Cina e nuove potenze economiche accrescono il loro peso nel mondo, mentre gli USA si ritirano con minacce e guerre. Tornano i dazi.
Tutto il mondo neoliberale sul quale è stata edificata l’Unione Europea si va esaurendo. Confusamente e contraddittoriamente il vecchio mondo muore, ma quello nuovo fatica a sorgere ed è in questo chiaroscuro, come scriveva Gramsci, che nascono i mostri.
Il conflitto politico tra liberali e reazionari, al quale è stata ridotta l’Europa dalle sue classi dirigenti, diventa un elemento di paralisi politica del continente. L’eccesso di liberismo della sinistra liberale crea le paure sulle quali avanza la destra reazionaria e neofascista. Poi la paura ed il richiamo degli orrori della destra europea, fanno di nuovo avanzare i liberali. È l’alternanza delle paure, vince quella percepita al momento come più grave. Ma tutto resto compresso nell’assenza di reali alternative.
Fino a che il conflitto europeo fondamentale sarà tra un fronte liberale – nel quale viene assorbita la sinistra ufficiale e che sostiene liberismo e mercato come basi della democrazia – ed un fronte reazionario – che unisce destre conservatrici e fasciste e che coniuga liberismo e autoritarismo- l’Europa sarà un continente bloccato nel passato. Dove due diversi ipocriti patriottismi, quello europeista e quello nazionalista, concorreranno allo stesso dominio sociale.
Tocca a una nuova sinistra il compito di sbloccare il sistema. Una sinistra capace di rompere con le esperienze della sinistra europea degli ultimi trent’anni e di riportare nel continente dove è nata quella parola che la politica dominante ha espulso: il socialismo. Ovvero l’eguaglianza sociale, la lotta contro lo sfruttamento capitalista della persona e della natura, il controllo pubblico democratico sull’economia.
Questo è ciò che oggi è necessario per affrontare la questione sociale in Europa, superando l’alternanza, che ci viene continuamente proposta, tra capitalismo ottocentesco e Medio Evo. Questo è il socialismo, parola che si ha più paura di pronunciare oggi in Europa che negli Stati Uniti. Oggi in Europa stanno rinascendo movimenti civili ed ambientali che pongono questioni radicali. Se questi movimenti non avranno la capacità e la forza di giungere al nodo della questione sociale, se resteranno alla superficie dei rapporti economici e di potere. saranno assorbiti e sconfitti dalla macchina del percepito.
Compagni parliamo dei rapporti di proprietà, incitò Bertold Brecht. E oggi in Europa non si può parlare di rapporti di proprietà senza fare i conti con la istituzione che si è assunta di tutelarli: l’Unione Europea. Chi vuole uscire dal loop infinito liberalismo reazione, ha oggi il compito di affermare che il socialismo è necessario e che la UE ed il socialismo sono incompatibili tra loro. Senza paura di sembrare difensore del passato. Il passato è ciò che ci governa, il futuro è il socialismo.
* Pubblicato su Carmilla online

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