Vivo
a Torino, ed abito nel quartiere San Paolo, abbastanza vicino alla casa
di via San Bernardino dove, tanti decenni fa, il partigiano gappista
Dante di Nanni venne ucciso dai nazifascisti. Era il maggio del 1944, Di
Nanni morì, non vide mai il 25 aprile e la Liberazione.
Passo abbastanza spesso davanti a quella casa, la sera, passeggiando con il mio cane, e talvolta mi fermo e parlo con Dante. So benissimo che non può sentirmi, è morto da molti decenni e gli atomi che sono stati il suo corpo ora sono altrove, su questa Terra.
Ma gli parlo lo stesso: è un modo per riflettere, per rivolgermi al me stesso antifascista, al me stesso comunista, al me stesso che avrebbe potuto essere rivoluzionario, ma che alla fine non lo è mai stato.
Parlo con Dante e gli racconto qualche fatto di attualità, scegliendo fra quelli che lui ancora oggi, dopo più di 70 anni, potrebbe capire.
Questa sera gli ho detto che, per quest’anno, non festeggerò pubblicamente il 25 aprile.
E gli ho spiegato perché, per chiarire come il mio non sia un attacco improvviso di salvinismo, o una regressione ad Uomo Qualunque.
Gli ho spiegato che non festeggerò la Liberazione, per la prima volta nella mia vita adulta, perchè non voglio fare brutti incontri. Non parteciperò ad alcuna manifestazione o commemorazione, per evitare di trovarmi vicino a gente che, di lì a meno di un mese, voterà alle elezioni regionali per il signor Chiamparino.
O per una delle liste o listarelle che – da una sedicente posizione “di sinistra” – lo sosterranno. Perchè nel programma di quello schieramento politico ci sono cose che non solo non posso accettare, ma che mi ripugnano.
Ci sono mitologie di veterosviluppismo capitalista basate sul cemento e sul tondino, come l’eterna riproposizione del pazzo progetto sull’Alta Velocità Torino-Lione.
Ci sono deliri di efficientismo che mirano alla privatizzazione e svendita di Beni pubblici, c’è un sedicente pseudoecologismo che propugna invece lo sviluppo ad ogni costo, che vuole utilizzare le risorse collettive per progetti che avrebbero come unico effetto l’aumento dell’inquinamento del mondo, l’aumento delle emissioni di gas serra, il dare una piccola spinta al mondo verso la rovina a medio termine, per degli assurdi vantaggi a breve termine.
Non voglio trovarmi fianco a fianco con sedicenti antifascisti che sostengono che l’unico modo per combattere la disoccupazione, per dare un lavoro ai giovani, sia proporre loro dei lavori indegni, sottopagati e precari, su progetti ed opere inutili, dannose, miopi e di cui vergognarsi.
Ci sarà bene, gli ho detto, caro Dante, un modo di poter lavorare dedicandosi ad occupazioni decenti, per le quali i tuoi futuri figli o nipoti non debbano poi – nel tempo – maledirti.
Non ho risentimenti personali né contro Sergio Chiamparino né contro gli altri che partecipano alla sua proposta politica.
Non ho neppure simpatie per gli altri principali schieramenti che parteciperanno alle elezioni regionali del Piemonte.
Non sto con i neofascisti, ma neppure con i reazionari, i razzisti, o con quelli che danno la colpa della loro povertà ad altri più poveri di loro, solo perché “stranieri”, immigrati, con colori della pelle o usanze diverse da quelli della Razza Bianca e Cristiana.
Parlando della realtà che conosco, quella di Torino e provincia, mi ripugnava – negli anni 60 – il razzismo contro gli immigrati che arrivavano dal centro-sud; ma trovo inaccettabile che adesso i loro figli e nipoti applichino lo stesso razzismo contro altri, e con i razzisti facciano alleanze di governo.
Caro Dante, gli ho detto, tu che eri di una famiglia del sud, pensa che quando, nella via che ora porta il tuo nome, o in altre parti di Torino, sento bestemmiare razzismo in lingua italiana, rispondo mandando a quel paese in stretto dialetto piemontese. Razzismo palese, becero, esplicito, brutale. Oppure razzismo strisciante, dissimulato, situazionista, buonista.
Non sto nè con Bossi, nè con Fini, nè con Minniti, nè con Salvini, caro Dante, per farti degli esempi con cognomi che, fortuna tua, non hai mai dovuto neppure sentire pronunciare. Ma credo – Dante – che sia ora di rifiutare sia il benaltrismo che il trasformismo.
“Cosa cavolo vuol dire?” potresti chiedermi. Beh, in poche parole, non è più tempo – secondo me – di essere soltanto antifascisti, nemmeno il 25 aprile. È tempo, da comunisti quale tu mi dicono tu fossi, di ripudiare l’antifascismo di comodo e di facciata di chi, in questo grande abbraccio, nasconde l’ideologia capitalista, sviluppista ad ogni costo, falsoprogressista e, usando un vecchio termine, è soltanto un servo dei padroni.
Non sfilerò con loro, non me la sento più. Verrò sotto la casa di via San Bernardino a portarti un fiore, da solo. Perchè meglio solo, che male accompagnato. Anche il 25 aprile.
PS. E se proprio devo accompagnarmi, preferirò farlo in buona compagnia. Non so se sono giovane abbastanza per sfilare con i ragazzi e ragazze antifa del mio quartiere, che per tre giorni faranno festa, ma la tentazione è forte. Con loro, il pericolo di fare brutti incontri pseudosinistri è pari a zero.
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