lunedì 1 aprile 2019

Il respiro nuovo che ha scosso Verona

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Sguardi attraverso la manifestazione "Verona città transfemminista" 

Chiudere in un aggettivo la manifestazione “Verona città transfemminista” è difficile, la potenza che ha scosso la città sfugge alle categorie interpretative più tradizionali. Forse inedito è il termine che più si avvicina, restando però largamente insufficiente: inedita la città, inedite le circostanze- sociali e politiche, inedita la strutturazione della manifestazione almeno per i canoni classici dei movimenti italiani. Ricorre invece l'elemento generazionale: davvero impressionante la partecipazione della componente giovanissima, torneremo su questo punto.

Guardiamo alla manifestazione muovendo alla rovescia, mandando la pellicola all'indietro: alla fine, il corteo del 30 marzo ha sì dato una imponente risposta ai contenuti del World Congress of Families, ma è riuscito in uno slancio che va ben oltre, proiettando la critica ai modelli sessisti e patriarcali ben oltre un radioso pomeriggio di contro-manifestazione. Cartelli, striscioni, slogan, erano tutti volti a scardinare il concetto di famiglia come «società naturale fondata sul matrimonio»- tra uomo e donna, ca va sans dire. «Famiglia è dove c’è amore» è stata una delle scritte più ricorrenti sulla miriade di cartelli che hanno fatto parlare il corteo molto più che i sound system. La libera scelta, mutevole e cangiante come la materializzazione del desiderio deve essere viene contrapposta al contratto inscindibile e sacralizzato, finalizzato alla riproduzione che detta la norma secondo cui i corpi devono stare assieme. Assieme alle rivendicazioni consuete della lotta femminista - i corpi non appartengono ad alcuno Stato, a nessun Dio - questo refrain ha decostruito radicalmente la narrativa dei tradizionalisti-reazionari di tutto il mondo riuniti in congresso.
Spostando lo sguardo dai cartelloni e messaggi ai volti di chi li innalza colpisce la giovanissima età, elemento forse non nuovo per quanto riguarda le manifestazioni antisessiste, ma che forse bisogna considerare con più attenzione. Certamente le motivazioni particolari dello stare in piazza oggi toccano corde che risuonano nelle fasce più giovani, questo non è una novità, il movimento globale Non Una di Meno ha raccolto una disponibilità e fornito un frame e categorie senz'altro indispensabili ad inquadrare e decostruire l'ondata conservatrice-identitaria-reazionaria (e sovranista) incarnata da Trump - Salvini - Bolsonaro - Orban.
Ma c'è di più. Verona è stata attraversata da quella stessa eccedenza desiderosa di protagonismo che abbiamo visto nelle piazze del Global Climate Strike due settimane prima. Un robusto ma sottile filo corre tra i due poli tematici attorno ai quali si sta consumando il fallimento della ruling class globale, la devastazione ambientale ed il controllo dei corpi, i millenials sembrano averlo come guida: certamente stanno indicando una direzione da approfondire ed indagare, un orizzonte che forse a poco a poco si sta schiudendo.
Altro elemento su cui vogliamo riflettere è la modalità con cui è cresciuta la mobilitazione: un lavoro di attivazione e contaminazione tra segmenti più o meno organizzati ed affini, che ha proceduto in poco tempo e solamente con le proprie forze, senza poter contare sul traino mediatico del fatto di cronaca o della polemica politica.
Lanciato mesi fa, il World Congress of Families è rimasto per mesi sotto traccia, guadagnando gli onori della cronaca mainstreamsolo una decina di giorni fa, con le polemiche sul patrocinio del Governo e le dichiarazioni del portavoce del Papa, che si dice d'accordo col WCF nella sostanza ma non nella forma. Parole rilanciate dallo stesso Pontefice nel giorno dell'assurda kermesse. Nonostante il silenzio sul congresso - e, di converso, sulla mobilitazione promossa dall'assemblea veronese di Non Una Di Meno - il dato sulla partecipazione è un chiaro successo. Un successo che è stato possibile, evidentemente, grazie a una costruzione cooperativa che ha fatto leva su uno dei nervi scoperti in seno alla società. Da nord a sud, sono stati numerosi i pullman partiti da tutta Italia alla volta di Verona. Raggiungere  la città via treno sabato mattina sembrava impossibile.
Evidentemente si è innescato qualcosa di molto più potente di un passaparola interno a circuiti perimetrati. Certo, la capillare rete territoriale di Non Una Di Meno ha avuto una funzione di catalizzatore attivante. Certo realtà organizzate erano presenti ed hanno lavorato per far crescere la mobilitazione, pur senza trovare auto-rappresentazione. Questo lavoro “della talpa” ha consentito ad una eccedenza reale di trovare forza espressiva, in una città legata ad un immaginario conservatore-reazionario, finalmente scardinato dall'accoglienza festosa che il corteo ha incontrato: dai balconi delle abitazioni dove erano presenti donne in tripudio, ai passanti con le borse dello shopping poggiate a terra per applaudire agli interventi contro il WCF.
Questo forse è il dato che più appare evidente: il ventre molle della bestia leghista s'è fatto alveo di un fiume che non si sarebbe mai detto. Si tenterebbe un parallelo col corteo di Macerata lo scorso febbraio, ma allora fu la pistola fumante di Traini contro inermi migranti a scuotere gli animi.
Da ultimo, ma non certo per importanza, ci preme far notare la sperimentazione nella comunicazione all'interno del corteo. Quattro - o più? - camion che comunicavano non solo in apertura ma dentro il corteo. Non spezzoni - da notare che i classici striscioni che delimitano spezzoni erano praticamente assenti - rappresentativi di identità o affinità per organizzazione o provenienza territoriale, ma un rilancio continuo ed efficace di slogan, cori, musica.
La marea sulle rive dell’Adige ha letteralmente sommerso la parte di città concessa alla manifestazione. Il grande piazzale della stazione centrale è rimasto per ore gremito mentre già la testa s'addentrava con lentezza nel centro storico, incontrando passo passo un dispositivo poliziesco davvero forte, che annoverava l'ormai immancabile idrante della Polizia, grate fisse, centinaia di uomini (!) dei Reparti mobili di carabinieri e polizia agli angoli delle strade. Uno di questi schiudeva il vicolo dove ha sede CasaPound, incredibilmente non presidiato da cotanto schieramento, e solo al sopraggiungere del corteo è stato disposto un cordone a tutela della manifesazione: la ventina di fascisti appostati a mezzo del vicolo allontanata, presenza tetra ma purtroppo nota, nessun dispositivo era stato predisposto, né dalla questura né dall'organizzazione del corteo.
Con evidente volontà di portare la manifestazione ai margini della città, il percorso concesso terminava presso la stazione di Porta Vescovo, piccolo piazzale insufficiente a contenere il primo quarto del corteo. Chi era in fondo non ci è mai arrivato, incontrando invece il flusso in senso contrario di chi ritornava verso casa: il corteo di fatto ripiegato su sé stesso, disperso. Peccato, vedersi e riconoscersi assieme in un unico luogo avrebbe certamente consolidato la certezza di aver vinto una scommessa grandissima.
Cosa resterà a Verona, alla città che oggi ha respirato? Certamente questa scossa non passerà senza lasciare traccia. Al corteo segue l'assemblea, il giorno dopo si riflette e si continua a decostruire dalle fondamenta gli stereotipi della società patriarcale, substrato necessario del capitalismo. Ma resterà in città un impulso veramente inedito, una sferzata d'adrenalina e desiderio che mai prima d'ora ci sono stati. Ce n'est qu'un debut?
*** Ph Credit Margherita Sandonà, Sherwood Foto

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