All’inizio dell’anno scolastico dichiaravo il mio stupore per il fatto che le scuole stessero iniziando le proprie attività come se nulla fosse accaduto durante l’estate; come se parole, gesti e fatti che il nostro Paese stava vivendo – dal caso della nave Diciotti all’eccidio di migranti in provincia di Foggia – non fossero esistiti.
micromega MARINA BOSCAINO
Sono passati diversi mesi e la situazione di imbarbarimento del Paese è proseguita: il clima è quello di un Far West – anche istituzionale – in cui, sotto la rassicurante (per molti) etichetta di “sicurezza” e “prima gli Italiani”, il “governo del cambiamento” sta cavalcando la pancia xenofoba e razzista di chi ha necessità di un nemico da individuare, perseguitare, eliminare. A questo si aggiunge – per quanto riguarda la scuola – la rapidissima corsa dell’autonomia differenziata (conseguenza della nefasta riforma del Titolo V della Costituzione del 2001). Quella che Gianfranco Viesti ha giustamente chiamato la “secessione dei ricchi”, che – per l’istruzione – creerà 20 tipi di scuola a marce diverse, rompendo drammaticamente il principio di unitarietà del sistema scolastico nazionale (dando più ai più ricchi e meno ai più poveri); e la riforma dell’esame di Stato, che colpisce libertà di insegnamento e funzione della scuola pubblica, depotenziando definitivamente le conoscenze disciplinari a vantaggio di competenze, prove strutturate, alternanza scuola lavoro. C’è da essere certi che siamo ad un passo dalla richiesta di abolizione del valore legale del titolo di studio, del resto cavallo di battaglia del programma scuola del M5S nella campagna elettorale del 2013 e oggi interesse anche della Lega di Salvini. Mentre scrivo gli accordi tra presidenti di regione e Conte prendono minacciosamente corpo.Il ministro Bussetti, Lega, ha affermato qualche giorno fa che per le scuole del Sud “non ci vogliono più soldi, ma più impegno, lavoro e sacrificio”: davanti a scuole di Afragola e Caivano, uno dei territori più difficili, dove ardua è la difesa della legalità e del diritto all’istruzione, dove le scuole spesso sono l’unico avamposto dello Stato. A poco serve l’immediato commento di Di Maio: “Fesseria, chieda scusa”. Certe esternazioni non nascono dal nulla. E sottovalutarle con una semplice battuta non diminuisce le oggettive responsabilità che la connivenza dei M5S con la Lega configura. Questo è il ministro del “governo del cambiamento”: lo sappiano gli insegnanti abruzzesi che, da quella regione, domenica scorsa hanno contribuito a confermare la Lega primo partito.
In questo panorama fosco, dopo la fiammata del 2015, quando la legge 107/15 (la sedicente Buona Scuola di Renzi) scatenò indignazione e partecipazione, costringendo i sindacati – anche quelli “governativi” – ad uscire dal silenzio e ad assecondare il montare della protesta, il mondo della scuola, grazie anche alla violenza con cui la protesta stessa venne ignorata e la legge fu approvata con voto di fiducia al Senato, ha taciuto. Complice una certa inerzia sindacale, in particolare confederale, che ha preferito cercare di depotenziare alcuni effetti della “riforma” renziana, invece che prolungare il contrasto. Il risultato è stato che molti docenti hanno introiettato non solo la legge 107; ma anche che la voglia di partecipare, di informarsi, di mobilitarsi è totalmente scomparsa in una delle poche categorie che era riuscita ad opporsi in maniera convincente e minacciosa al governo Renzi.
Ma qualcosa si sta muovendo. Si muove in ordine sparso, attraverso iniziative di singole scuole o di singoli insegnanti. I docenti del liceo Copernico di Bologna hanno annunciato – in un documento firmato anche dal dirigente scolastico – che dedicheranno alcune ore di lezione ad interloquire con i propri studenti – Costituzione alla mano – sulle condizioni in cui versa il Mediterraneo; restare umani è un obbligo non solo civile e politico, ma anche di coerenza educativa, dal momento che quanto accade nel nostro Paese e il trattamento indecente cui sono sottoposti i migranti nel nostro territorio (si pensi al Cara di Castelnuovo di Porto, e alle inutili testimonianze delle maestre) o nelle acque su cui esso affaccia - contravvengono a molte delle cose che insegniamo nelle aule scolastiche. Qualche giorno prima, dal liceo Amaldi di Roma, un analogo appello per uno “sciopero a rovescio”, da destinare alla discussione e al confronto sulla barbarie in atto. In altro ambito, il liceo Anco Marzio di Ostia si è fatto promotore dell’iniziativa “Questo esame non s’ha da fare”, attraverso un documento che sta raccogliendo firme sul web e che cerca di contrastare la riforma dell’esame di Stato, che il “governo del cambiamento” ha licenziato in perfetta continuità con quanto previsto dai decreti attuativi della legge 107/15 e quindi con quel governo di centro sinistra che in campagna elettorale (e nel “programma di governo”) sosteneva di voler superare.
Alcune considerazioni.
1) i due temi – gestione dell’immigrazione e regionalizzazione della scuola – sono solo apparentemente distanti. Dal “prima agli italiani” si passa al “prima i veneti”: in entrambi i casi, frutto di una visione disumana che fa del privilegio un merito e che tende a dividere, contrapporre, creare diseguaglianze tra uguali, cementare differenze, costruire steccati, muri, barriere insormontabili. Imbrigliare e immobilizzare destini – etnici o sociali – sulla base della provenienza. La scuola della Costituzione rimuove gli ostacoli. Essa “è aperta a tutti”. È perciò la scuola, organo costituzionale, a rappresentare il luogo privilegiato e l’anticorpo fondamentale di una deriva segregazionista. Siamo in entrambi i casi chiamati direttamente in causa.
2) La scuola potrebbe rialzare la testa, qualora ci fosse un po’ di inerzia in meno e un po’ di capacità e di volontà di aggregare in più. La parcellizzazione delle lotte, il contrasto dei singoli ai singoli – più o meno gravi – provvedimenti, se marcano meritevolmente capacità di iniziativa e vigilanza politica da parte dei soggetti, sottolineano l’assenza di chi dovrebbe incaricarsi, come ha fatto in passato, di informare e sensibilizzare; di invertire l’inerzia, convertendola in partecipazione.
3) nella situazione attuale, di fronte ad un attacco all’unitarietà del sistema scolastico nazionale e all’unità del Paese, ma anche ai principi fondamentali di uguaglianza, solidarietà, accoglienza sarebbe sufficiente assumersi la responsabilità di informare e connettere e indispensabile una leale vocazione unitaria. C’è bisogno come non mai di iniziative che inneschino consapevolezza e difesa del mandato costituzionale che la scuola ha e che ogni docente dovrebbe avere il diritto e il dovere di incarnare. Davanti ad una situazione tanto grave, è necessario assumersi la responsabilità di abbandonare la melina che è stata portata avanti in questi anni; di valutare – tutti insieme – la gravità della posta in gioco; di seppellire, in questa circostanza, le tradizionali divisioni (quella, ad esempio, tra confederali e sindacati di base) e reagire con tutta l’energia di cui ciascuno è capace.
4) Il M5S ha cavalcato nell’ultima campagna elettorale il tema scuola più di altri e in chiave fortemente antirenziana. Ne ha tratto un grande vantaggio: i delusi del PD (tradizionale riferimento elettorale della maggior parte dei docenti) hanno votato il movimento, che non sta – però – marcando alcuna discontinuità con le politiche del centro sinistra sull’istruzione; e che è perfettamente colluso con la Lega per quanto riguarda la politica contro i migranti. L’elettorato rappresentato da studenti e lavoratori della scuola ha, cioè, dimostrato nel corso dell’ultima tornata elettorale di saper aggiustare il tiro e di non temere di modificare le proprie scelte tradizionali. La scuola può essere apatica, ma non dimentica.
La buona notizia è che qualcosa si sta muovendo, sebbene ancora non con la necessaria coesione. Cgil, Cisl e Uil scuola hanno inviato al presidente del Consiglio una lettera contro le intese per l’autonomia differenziata di Veneto e Lombardia. Il sindacato Unicobas pochi giorni fa ha indetto uno sciopero contro la regionalizzazione per l’intera giornata del 27 febbraio. I Cobas già da tempo hanno chiamato allo sciopero l’8 marzo, giornata nella quale tradizionalmente si mobilitano per i diritti delle donne, quest’anno contro il decreto Pillon e contro decreto in-sicurezza e xenofobia. È qualcosa, ma ancora troppo poco rispetto all’auspicio di una obbligatoria e irrinunciabile identità di intenti e di pratiche per tentare di contrastare – tutti insieme – il pericolo dei provvedimenti e la disumanità della situazione.
Qualche giorno fa, dal palco di Piazza San Giovanni, il nuovo segretario nazionale della Cgil – Maurizio Landini – ha detto che “I valori dell’antifascismo e dell’antirazzismo sono irrinunciabili”. E poi: “Divisi non si va da nessuna parte”. È così. E se provassimo a ripartire, ma insieme, da questa semplice e straordinaria consapevolezza?
Marina Boscaino
(11 febbraio 2019)
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