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Nel mezzo del “vulcano geopolitico” che è il Medio Oriente è emersa una delle esperienze politiche più radicali e innovative del mondo contemporaneo. Riguarda il processo rivoluzionario del popolo curdo in quella regione a nord della Siria, in cui le donne hanno svolto un ruolo fondamentale.I popoli della Federazione della Siria del Nord stanno portando avanti una delle più moderne rivoluzioni politiche e sociali contro la modernità capitalista, i cui punti cardine sono la lotta delle donne contro il patriarcato, la democrazia popolare e il rispetto per l’ambiente.
Tutto
questo succede abbandonando l’idea dello Stato-nazione e mettendo in
discussione le strategie rivoluzionarie convenzionali. Il loro successo è
stato inaspettato: hanno creato oasi di libertà in una delle regioni
più in conflitto del mondo.
Dal
2011, nel contesto della Primavera araba, il popolo curdo (e gli altri
popoli che abitano la Siria del Nord, ndr) hanno preso il controllo
della regione settentrionale della Siria conosciuta come Rojava
attraverso una nuova forma di organizzazione chiamata Confederalismo
Democratico, secondo i cui principi le istituzioni politiche e sociali
sono governate secondo il principio del municipalismo (generalmente un
uomo e una donna ndr), attraverso il quale le città, i quartieri e le
varie istituzioni seguono il principio della partecipazione comunitaria.
Uno
degli aspetti più importanti di questo processo rivoluzionario è la
Rivoluzione delle Donne (secondo uno scritto omonimo di Abdullah Öcalan,
ndr), che teorizza la loro partecipazione equa in tutti i comuni e le
assemblee in cui vengono prese le decisioni, e che include la formazione
della propria unità di autodifesa (Ypj ndr). L'esperienza di
combattimento delle donne curde è diventata una delle più importanti
lotte contro il patriarcato nel mondo di oggi.
Questa
esperienza rivoluzionaria è importante perché mette in discussione e
rovescia diverse nozioni politiche, date ormai per scontate nella
modernità capitalista, come la necessità di organizzare la società
attraverso lo Stato-nazione vedendo però l'esistenza dei movimenti come
mezzo indispensabile per partecipazione attiva alla politica. Oppure il
progetto curdo mette in discussione il progresso basato
sull'industrialismo e lo sfruttamento delle risorse, il sistema liberale
di giustizia e l'ideologia statalista.
I popoli del Kurdistan: un mosaico di culture
Il
popolo curdo è solo uno degli oltre settanta che sono fioriti nella
regione che l'Occidente eurocentrico ha definito come Medio Oriente, e
di cui oggi ne rimane solo la metà. Sono il popolo più grande al mondo
che non ha uno Stato. Ci sono circa 50 milioni di curdi sparsi in
quattro nazioni: Turchia, Siria, Iran e Iraq, oltre alla diaspora che li
ha portati in diversi paesi d’Europa (in particolare la Germania) e in
altre parti del mondo. L'intera regione del Kurdistan si estende per
circa 500 mila chilometri quadrati (un quarto del territorio messicano),
dalle montagne del Tauro dell'Anatolia turca alle montagne di Zagros
nell'Iran occidentale e nel nord dell'Iraq. I curdi sono la terza
minoranza etnica più importante dell'Asia occidentale, dopo gli arabi e i
turchi.
Il movimento curdo si
rivendica il fatto di discendere dal popolo ancestrale che faceva parte
della civiltà dell'antica Mesopotamia e, in quanto tale, è l'erede di
una delle più antiche e significative civiltà dell'umanità. Tra valli e
le montagne tra i fiumi Tigri ed Eufrate fiorirono quelle culture che
inventarono la scrittura, i primi codici legali, le religioni, le
economie; videro nascere gli Stati che segnarono quella regione e che
poi hanno influenzato il mondo. Nella loro tradizione orale, i militanti
del movimento di liberazione del Kurdistan si considerano come un
popolo la cui storia risale a cinquemila anni prima e come una cultura
centrale nella Mezzaluna Fertile, una regione produttrice di civiltà. Ma
alcuni storici limano quella storia. Sebbene ammettano antecedenti
millenari, specificano che gli attuali curdi sono discendenti dei Medi
tra il 678 e il 549 prima di Cristo. «La più antica menzione del termine
curdo si trova nelle fonti in Pahlavi dell'Iran dal periodo sasanide
(224-651)», secondo Djene Rhys Bajalan (Istor Magazine No. 70, Fall of
2017).
Le terre abitate dai
curdi sono sempre state un territorio desiderato e contestato da altre
nazioni, imperi e poteri. Nel settimo secolo, i curdi fronteggiarono
l'ascesa dell'Islam, quando invece, a quel tempo, la maggioranza curda
praticava una varietà di orientamenti religiosi, comprese le comunità
cristiane. Ci sono stati anche gli "adoratori del fuoco" individuati
dalla Rhys come zoroastriani. Al momento, comunque, i curdi non sono
caratterizzati dalla loro uniformità religiosa. Ci sono musulmani
sunniti, o sciiti, aleviti, yazidi, cristiani ed ebrei.
Diversi
autori sottolineano l'unicità dei curdi, che hanno storicamente
affrontato le ambizioni degli imperi e religioni: romani, persiani,
arabi, ottomani e così via. I curdi sostengono che il loro popolo ha
faticato a rimanere fuori da queste continue incursioni, invasioni e
tentativi di annessione ad altri Stati. Da qui la sua leggendaria
reputazione di un popolo che ha di fatto mantenuto l'indipendenza nei
propri villaggi e comunità, al di là del desiderio di controllo degli
imperi e degli Stati nazione.
La
storia più recente dei curdi è segnata dall'inclusione del suo
territorio nell'Impero Ottomano, che ha portato rivolte contro questo
dominio negli anni 1806, 1831, 1842, 1855 e 1880. Tra la fine del
diciannovesimo e l'inizio del ventesimo secolo, il movimento curdo ha
cercato - in diversi momenti - di ottenere la propria indipendenza.
Durante la prima guerra mondiale, i poteri vincenti sconfissero l'impero
ottomano e, dopo la sua dissoluzione, la mappa del Medio Oriente è
stata ridisegnata: alla Francia rimasero la Libia e la Siria, alla Gran
Bretagna l'Iraq e la Giordania, mentre la Persia divenne l'attuale Iran e
l’Impero Ottomano divenne la Repubblica di Turchia.
In
questo contesto, le organizzazioni politiche e sociali del popolo curdo
ha cercato di percorrere l'iter per ottenere l’indipendenza. Nel 1918 è
stato firmato il trattato di Sèvres, sotto la garanzia degli
Stati Uniti, che prometteva l'indipendenza al Kurdistan. Questo trattato
- come ben sappiamo - è stato violato dopo pochissimi anni. Invece i
trattati di Losanna e Ankara che sono stati firmati nel 1923,
stabilivano che il territorio del popolo curdo sarebbe stato suddiviso
tra quattro nazioni: la Siria, l'Iran, l'Iraq e la Turchia. Questa
frammentazione è tuttora in vigore e più volte rafforzata da nuovi
accordi regionali.
Erol Polat,
del Congresso Nazionale del Kurdistan, che ha visitato Guadalajara nel
giugno del 2018, ha detto che questa divisione è funzionale a
controllare politicamente sia i curdi e le altre nazioni del Medio
Oriente dalle potenze europee: «Hanno diviso il Kurdistan quattro parti,
e con questa [manovra politica] volevano controllare il pensiero
dell'impero persiano (Iran), controllare i turchi Ottomani (...) e
nazionalisti arabi che provengono dalla religione dell'Islam, chi di
fatto domina questo territorio, poiché questa zona è molto importante
per l'essere umano.»
A causa di questo background, i curdi si stanno attualmente proclamando come il "popolo più popoloso" senza
però avere uno stato proprio; la popolazione è ora divisa nelle
seguenti regioni, con le rispettive denominazioni in lingua curda: nel
sud-est della Turchia (Bakur), a nord dell’Iraq (Bashur) ad ovest della
Siria (Rojava) ed est in Iran (Rojhilat). Ci sono quattro lingue
principali: sorani, zasakí, goraní e kurmanji. E mentre la religione
predominante è l'Islam sunnita, ci sono anche aleviti, sciiti,
zoroastriani, yezidi e cristiani. A causa della diversità etnica,
religiosa e linguistica, quella regione dell'antica Mesopotamia è
considerata un "mosaico culturale", come ha detto Bozan Tekin, leader
del Pkk.
Attualmente si stima
che ci siano circa 50 milioni di curdi, di cui circa 20 milioni vivono
in Turchia, 13 milioni in Iran, 8 milioni in Iraq e 3 milioni in Siria.
Oltre a ciò, va considerata la diaspora che si estende in Germania, dove
ci sono circa due milioni di curdi, oltre l’Armenia, Georgia,
Azerbaigian e Kazakistan.
I
tentativi di colonizzazione e oppressione del popolo curdo possono
essere compresi rivedendo la ricchezza del territorio in cui si trovano.
Nel suo territorio si trovano due dei tre fiumi più importanti del
Medio Oriente: il Tigri e l'Eufrate (l'altro è il Nilo, in Egitto).
Oltre ad avere tanta acqua quanto la Turchia ha bisogno, il Kurdistan ha
una terra più fertile. Inoltre, possiede la maggior parte della
ricchezza petrolifera: il 100 per cento del petrolio turco e della Siria
si trovano nelle regioni curde; nell'Iraq curdo si trova il 75 percento
del petrolio di quel paese e il 50 percento dell'Iran nel Kurdistan
iraniano.
manifestanti curdi tengono una bandiera del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK) durante una manifestazione a Düsseldorf, nel nord della Germania. Circa 30.000 curdi di diversi paesi europei hanno chiesto una soluzione politica al loro conflitto con la Turchia. Foto: Reuters / Arnd Wiegmann.
Pkk: Dall’anticolonialismo al confederalismo.
Ogni
regione del Kurdistan ha organizzato la propria lotta per
l’indipendenza, come nel caso dei curdi iracheni che hanno ottenuto la
loro autonomia di fatto in l'Iraq (Bashur), dopo la prima Guerra del
Golfo, nel 1991. Attualmente, nel Kurdistan iracheno vivono circa sei
milioni di persone in un territorio che si mantiene in relativa
autonomia rispetto le autorità centrali. Il 25 settembre 2017 ha avuto
luogo un referendum per chiedere l'indipendenza di questa regione. Più
del 76 per cento dei 4.5 milioni di elettori si sono presentati alle
urne, dei quali quasi il 93 percento si rivelò a favore
dell'indipendenza del Kurdistan iracheno. Il governo di Baghdad definì
illegale la consultazione popolare, approvò una serie di sanzioni contro
l'autonomia curda e riprese il controllo della regione conosciuta come
Kirkuk.
Da parte loro, i curdi
della regione del Bakur (Turchia) continuano a combattere nel movimento
di liberazione nazionale iniziato negli anni '60 del XX secolo,
influenzati dai movimenti anticolonialisti del mondo. Dopo vari sforzi
organizzativi, un gruppo composto principalmente da studenti
universitari ha fondato, il 15 agosto 1978, il Partito dei lavoratori
del Kurdistan (Pkk), nella città di Fis, provincia di Amed (Diyarbakir,
in turco), che segue un'ideologia marxista-leninista. L’obiettivo
dichiarato era liberare il Kurdistan dal colonialismo ed istituire uno
Stato indipendente. Il Pkk effettuò la sua prima azione armata il 15
agosto 1984, attaccando due caserme turche. Dopo quell'attacco, le
colonne del Pkk si concentrarono nelle catene montuose del Kurdistan,
tra i confini dell'Iraq, Iran e Turchia.
Nel
1986, al suo terzo congresso, il il Partito dei lavoratori del
Kurdistan, che era un gruppo guerrigliero, ha deciso di tramutarsi un
esercito, pur senza abbandonare la strategia della guerriglia. A metà
degli anni '80, il governo turco intensificò la persecuzione delle forze
del Pkk e, al fine di inibire il sostegno della popolazione, sviluppò
una strategia repressiva su larga scala. Erol Polat la ricorda così:
«Negli anni '80 e '90 inizia la guerra con le armi e lo Stato turco
bombarda più di quattromila villaggi. Tuttora i villaggi non ci sono e
circa tre milioni di curdi sono dovuti andare nelle città». Fin dalla
sua nascita, il Pkk ha mirato a creare organizzazioni politiche che
agiscano nella legalità di ciascun paese, eppure tutti i tentativi sono
stati banditi dal governo turco.
Come
nel passato, le lotte del popolo curdo per la loro liberazione e
autonomia sono state represse dagli stati nazionali in cui il Kurdistan è
diviso. Uno dei più recenti episodi repressivi si è verificato tra il
1994 e il 1995 quando più di tremila villaggi curdi sono stati rasi al
suolo e bruciati dall'esercito turco. La repressione non era avvenuta
casualmente, ma era stata concentrata in agglomerati i cui territori
avevano giacimenti minerari o erano su terreni fertili vicino ai fiumi
Tigri o Eufrate, dove il governo della Turchia aveva pianificato la
costruzione di almeno 20 dighe idroelettriche. Oltre alle migliaia di
sfollati per la costruzione di questi mega-progetti, si stima che almeno
17 mila civili siano morti. Questo episodio rivela come la guerra
contro i curdi è allo stesso tempo utilizzata dagli stati nazionali per
privarli di terre e risorse.
Silhouette di un manifestante curdo su uno stendardo che mostra Abdullah Öcalan, leader del Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), durante una manifestazione contro il governo della Turchia nel novembre 2007. Foto: Wolfgang Rattay.
Come
parte di questa guerra, la Turchia ha perseguitato il Pkk e i suoi
leader. Uno degli obiettivi centrali delle forze di sicurezza turche è
stato la cattura del leader Abdullah Öcalan, che venne poi arrestato il
15 febbraio 1999 in Kenya. Come sostenuto dal movimento ribelle curdo,
alla sua cattura hanno partecipato, oltre al servizio di intelligence
turco, la Cia statunitense, il Mossad israeliano e la M15 britannica. Dopo
il suo arresto, Öcalan è stato portato in Turchia, dove è stato
sottoposto a un processo con cui il governo intendeva presentarlo come
leader di un movimento terrorista. Öcalan ha approfittato della sua
difesa per informare che il Pkk e le organizzazioni del popolo curdo,
proponevano una soluzione negoziata e pacifica al conflitto, prevedendo
il riconoscimento delle differenze culturali e nazionali dei curdi. Dopo
il processo, Öcalan è stato condannato a morte, ma in seguito è stato
commutato in ergastolo e rinchiuso nella prigione dell’isola di Imrali.
Nonostante
la sua prigionia, Öcalan ha continuato a lavorare su idee e proposte
politiche per la liberazione del movimento curdo, proponendo la
riformulazione della linea politica del Pkk per sostenere il progetto
del Confederalismo Democratico, anziché quello di uno stato
indipendente, fondato su tre assi fondamentali: una democrazia comunale e
federata, una rivoluzione femminile e un movimento ambientalista.
Erroneamente
molti testi che trattano del processo rivoluzionario curdo
attribuiscono a Öcalan una virata dall'ortodossia marxista, che cercava
la liberazione nazionale e la creazione di un proprio Stato, alla
proposta del Confederalismo Democratico. È stato persino scritto che lo
spostamento verso forme di democrazia comunali e federate e l'accento
sulla rivoluzione femminile sono stati teorizzati e proposti dal leader
curdo negli scritti dalla prigione. Ma la verità è che il movimento
curdo ha cominciato a discutere di questi temi insieme, in particolare
all’interno del Pkk, prima che Öcalan fosse sequestrato dai servizi
segreti e imprigionato nella prigione di Imrali.
Altri
leader hanno spiegato che il processo di cambiamento politico del Pkk
dall'anticolonialismo e dallo statalismo al Confederalismo Democratico
si è materializzato nel 1998, nell'ambito del suo sesto congresso. Il
comandante Harun ha affermato che allora emerse una nuova visione
politica tattica e strategica: «avevamo due soluzioni: mantenere la
nostra ideologia classica e lasciare il socialismo, o trasformare il
socialismo in socialismo di comunità. Abbiamo scelto la seconda
ideologia, chiamandola Confederalismo Democratico». «Grazie a questa
trasformazione abbiamo ottenuto più forza perché rispondeva ai bisogni
della gente [...] Stiamo mostrando al mondo che senza prendere il
controllo dello Stato possiamo fare tutto questo», ha detto Harun in
un'intervista con Haddad e Albani.
Successivamente,
Öcalan, dal carcere, ha rielaborato e teorizzato questa proposta
politica riprendendo teorie e concetti di altri autori, tra cui, in modo
ben visibile, l'anarchico americano Murray Bookchin e la sua teoria del
comunitarismo e municipalismo libertario. Bookchin era uno storico,
pensatore e anarchico militante, che in gioventù militava nelle
organizzazioni comuniste. Prodotto di quella esperienza nella sinistra
ortodossa, Bookchin ha dedicato gran parte del suo attivismo e
riflessione per cercare di trovare un’alternativa libertaria per i
movimenti che aspirano al cambiamento sociale. Sua figlia, Debbie
Bookchin, così ha sintetizzato le sue idee: «Il quesito per lui era:
come costruiamo una nuova società egualitaria? Che tipo di
organizzazione sociale alternativa è in grado di creare una società in
cui gli esseri umani veramente liberati possono crescere e, allo stesso
tempo, guarire la nostra frattura con il mondo naturale? La vera domanda
è: che tipo di organizzazione politica è quella che può mettere in
discussione il potere dello Stato? E così, alla fine degli anni '60,
Murray iniziò a scrivere su una forma di organizzazione che chiamò
municipalismo libertario. Credeva che il municipalismo offrisse una via
d'uscita dallo stallo tra le tradizioni marxiste e anarchiche».
Cooperativa di donne in Rojava. Foto: entrepueblos.com
Confederalismo democratico
Nutrito
da questa e da altre idee, Öcalan ha pubblicato nel 2005 un libro dove
ha sintetizzato la sua proposta del Confederalismo Democratico. In
questo testo parte dal riflettere sulle alternative che aveva a
disposizione il popolo curdo per ottenere la propria liberazione, e
sostiene che la “questione curda” si è trasformata in un argomento
geopolitico che ha colpito tutto il Medio Oriente. «Il Pkk non ha mai
considerato la questione curda come un semplice problema di origine
etnica o di nazionalità. Al contrario, secondo il nostro parere, era il
progetto di liberare la società e democratizzarla». E per “liberare e
democratizzare” la società curda era necessario mettere in discussione
la dominazione capitalista. «Abbiamo anche riconosciuto una connessione
causale tra la questione curda e la dominazione globale del sistema
capitalista moderno. Senza mettere in discussione e affrontare questa
connessione, una soluzione non sarà possibile. Altrimenti non faremo che
farci coinvolgere in nuove dipendenze».
Da
questa riflessione, Öcalan e il movimento curdo si focalizzano nel
mettere in discussione la modernità capitalista. «Il nostro progetto di
“modernità democratica” si intende come una bozza alternativa alla
modernità come la conosciamo. Si costruisce sul Confederalismo
Democratico come paradigma politico fondamentale». E in questa critica
si è arrivati alla conclusione che le forme politiche che offre la
modernità non sono la soluzione, ma il problema per i popoli e le
nazioni. Così scrive Öcalan: «Fino ad ora, con lo sguardo posto sulle
questioni di origine etnica e di nazionalità come la questione curda […]
sembrava ci fosse solo una soluzione possibile: la creazione di uno
Stato nazione, che era il paradigma della modernità capitalista di quel
periodo. Tuttavia noi non crediamo che un progetto confezionato sarebbe
capace di migliorare in modo sostanziale la situazione della gente in
Medio Oriente. E se fossero stati proprio il nazionalismo e gli Stati
nazione a creare tanti problemi in Medio Oriente?»
La
critica di Öcalan allo Stato nazione capitalista è potente: è il nemico
della gente e una colonia del capitale, ha scritto. «Si dice che lo
Stato Nazione si preoccupa per il destino della gente comune. Questo non
è vero. È, per meglio dire, il governatore nazionale del sistema
capitalista mondiale, un vassallo della modernità capitalista, la quale è
sempre più profondamente irretita nelle strutture dominanti del
capitale che di solito assumiamo. È una colonia del capitale. Senza
considerare quanto nazionalista può presentarsi lo Stato nazione, serve
allo stesso modo ai processi capitalisti di sfruttamento. Non c’è altra
spiegazione per le orribili guerre di ridistribuzione della modernità
capitalista. Così lo Stato nazione non si mescola con la gente comune; è
un nemico della gente».
Inoltre,
oltre a mettere in discussione il nazionalismo, la scienza positiva e
la religiosità, Öcalan ha messo in discussione il sessismo sul quale si
sostiene lo Stato nel capitalismo contemporaneo. «Un altro pilastro
ideologico dello Stato nazione è il sessismo che impregna tutta la
società. Molti sistemi civilizzati hanno usato il sessismo per
preservare il potere […] Senza la schiavitù delle donne nessun altro
tipo di schiavitù può esistere o anche solo svilupparsi. Il capitalismo e
lo Stato nazione indicano il maschio dominante istituzionalmente. Detto
più coraggiosamente e apertamente: il capitalismo e lo Stato nazione
sono la monopolizzazione del maschio dispotico e sfruttatore».
A
partire da questa critica, il movimento curdo e Öcalan rinunciano
all’obiettivo di costruire uno Stato nazione come hanno proposto la
maggioranza dei movimenti di liberazione nazionale nel XX secolo. Al suo
posto hanno formulato il progetto del Confederalismo Democratico.
Secondo Öcalan, «questo tipo di autorità o amministrazione può essere
chiamata amministrazione politica non statale o democrazia senza Stato».
Questo progetto si è cercato di costruirlo in varie regioni del
Kurdistan da molti anni, in luoghi con influenza ed egemonia del Pkk. Ma
è nella parte curda della Siria dove ha trovato il tempo e la geografia
per mostrare le sue potenzialità.
I curdi turchi vigilano la città siriana di Kobane mentre si trovano sulla sommità di una collina vicino al valico di frontiera di Mursitpinar. Nel 2014 un militante curdo minacciò la Turchia con una nuova rivolta curda se si fosse mantenuta la politica non interventista nella battaglia di Kobane. Le forze curde alleate al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk) e le Unità di Difesa popolari e delle Donne (Ypg/Ypj) lottarono contro i ribelli dello Stato Islamico. Foto: Reuters/Umit Bektas
La democrazia confederata nella pratica
Poiché
i partiti curdi e le forze di autodifesa proteggono la regione del
Rojava, le idee del Confederalismo Democratico si sono materializzate in
forme di governo non statali. Nella sua “Dichiarazione del
Confederalismo Democratico” del marzo 2005, Öcalan
considerava questa proposta necessaria per risolvere non solo la
questione curda, ma anche i conflitti in Medio Oriente: «Un sistema di
democrazia confederale sarebbe il modello per la risoluzione dei
problemi del Medio Oriente. Né il sistema capitalista né la pressione
delle forze imperialiste ci indirizzeranno verso la democrazia, tranne
per fare i propri interessi. Il compito è di contribuire allo sviluppo
di una democrazia basata sui popoli. Il Confederalismo Democratico è un
sistema che tiene conto delle differenze religiose, etniche e di classe
all'interno della società". Questa "democrazia popolare" funzionerebbe
così: «All'interno del Kurdistan, la democrazia confederale stabilirà le
assemblee di paese, villaggio e città e ai loro delegati verrà affidato
il vero processo decisionale, che in effetti significa che le persone e
la comunità decideranno».
La
base di questa democrazia confederata sono le comuni per città,
villaggio o quartiere nelle città più popolate; queste sono seguite
dalle assemblee delle municipalità e successivamente da un livello
regionale o federato di assemblee di città e paesi. Questo sistema
sociale di democrazia confederale o non statale è dettagliato nel
“Contratto Sociale della Federazione Democratica della Siria
settentrionale”, approvato dall'Assemblea Costituente di questa
federazione il 29 dicembre 2016. I suoi principi generali affermano che
"La Federazione democratica della Siria settentrionale” si basa su un
sistema democratico ed ecologico e sulla libertà delle donne ", cioè i
tre principi del confederalismo democratico: 1) democrazia comunitaria,
2) rispetto per l'ecologia, e 3) libertà delle donne.
Altri
principi del Confederalismo Democratico sono stati stabiliti nel
Contratto sociale, nell'articolo 11: "La Federazione Democratica della
Siria settentrionale si basa sul principio della collettivizzazione di
terra, acqua e risorse energetiche; adotta i principi dell'economia
sociale e dell'industria ecologica; non consente lo sfruttamento, il
monopolio e la mercificazione delle donne; fornisce copertura sociale e
sanitaria a tutti gli individui".
Dopo
aver stabilito i principi generali, i diritti e le libertà generali, il
Contratto Sociale dei curdi siriani specifica il funzionamento di
questo sistema sociale: "I popoli e i gruppi della Federazione
Democratica della Siria settentrionale organizzeranno la loro vita
sociale libera e democratica sulla base della formazione di
municipalità, istituzioni sociali, sindacati e assemblee. Il sistema
sociale democratico sarà creato e sviluppato a partire da queste
istituzioni ".
In questo
sistema sociale la comune è considerata "la forma organizzativa
fondamentale della democrazia diretta"; nel frattempo, attraverso le
assemblee "la società è organizzata mettendo in pratica la democrazia
diretta e stabilendo regole e principi di vita libera e democratica".
Le
comuni sono la base di tutto questo sistema sociale. Dopo
l'organizzazione nelle municipalità, il Contratto Sociale del Kurdistan
siriano stabilisce altri tre livelli consecutivi (dal basso verso
l'alto) di organizzazione, ognuno con il suo organo esecutivo.
Il
primo livello sono le assemblee cantonali e il relativo Comitato
Esecutivo di Cantone. Le Assemblee sono integrate in due modi: il 60%
dei loro rappresentanti è eletto direttamente dai cittadini e il 40% da
rappresentanti dei settori sociali rappresentativi dell'intera società:
donne, giovani, pensionati, professori, professionisti, proprietari,
commercianti, contadini, tra gli altri. Sia i comuni che le assemblee
sono governati dalla co-presidenza: "Il sistema è formato per metà da
donne e per metà da uomini e con il sistema di co-presidenza", ha
spiegato Erol Polat. Questo è il primo livello del confederalismo
democratico. Il numero di assemblee per città dipende dalla sua
popolazione. Ad esempio, Derik, nel nord della Siria, ha 60.000 abitanti
e operano 600 comuni. L'Assemblea cantonale elegge il Consiglio
esecutivo del Cantone. Questo consiglio esegue le decisioni
dell'assemblea cantonale, informa e riferisce regolarmente a questa
assemblea.
Il secondo livello è
l'Assemblea Popolare Regionale, che rappresenta i popoli e i gruppi di
ciascuna regione. Come nelle assemblee cantonali, il 60% viene eletto
direttamente e il 40% è rappresentativo dei settori della società.
L'assemblea regionale, a sua volta, conta sul Consiglio Esecutivo
Regionale. E il terzo livello del Confederalismo Democratico in Rojava è
il Congresso dei Popoli Democratici, che è l'assemblea che rappresenta
tutti i popoli che vivono nella Federazione Democratica della Siria
settentrionale. Anche questa assemblea ha il suo Consiglio Esecutivo.
Il
Confederalismo Democratico non è limitato a questi casi o livelli di
processo decisionale. Ciò è stato spiegato da Erol Polat durante la sua
visita a Guadalajara. «Tutti questi consigli inviano i loro
rappresentanti nel sistema cittadino, quando c'è una città, e anche
tutti i settori inviano i loro rappresentanti, e ci sono settori che
sono organizzati per l'intera città, ad esempio i pensionati. Se c'è un
consiglio per la città, c'è anche un consiglio di pensionati, o
studenti, in realtà ci sono molti sistemi. All'interno dell'intero
sistema ci sono molti sistemi [di organizzazione]. E le donne hanno il
loro sistema di Confederalismo, dal basso verso l’alto».
In
apparenza, il sistema del Confederalismo Democratico potrebbe essere
simile al sistema politico liberale con i suoi tre livelli di governo
(locale, statale, nazionale) e i suoi organi legislativi ed esecutivi.
Ma solo in apparenza. Non bisogna dimenticare che il punto di partenza
sono le comuni di città, villaggi o quartieri che animano e danno vita
al resto dei livelli del sistema sociale. E questo non esiste nel
sistema liberale che funziona nella maggior parte del mondo, incluso il
Messico.
Nel documentario “La
rivoluzione delle donne”, realizzato da Deniz Xweseri e scritto da
Zilane Dilber e prodotto dall'organizzazione femminista curda Kongra
Star, viene descritta la vita quotidiana delle comuni. Nel cantone di
Cizire, nella parte orientale del Rojava, ci sono 620 comuni che
costituiscono la base chiave di questa democrazia diretta. Ogni comune
può rappresentare da 7 a 200 persone. Ogni due anni viene scelto un
minimo di tre persone per coordinarla. Quello che stanno cercando di
fare è creare spazi per donne e uomini per incontrarsi e discutere dei
loro bisogni e trovare le proprie soluzioni. Quando sorgono problemi,
per prima cosa si discute. La popolazione tiene riunioni periodiche in
cui vengono prese decisioni in merito alle loro esigenze quotidiane,
come la protezione e progetti locali.
Sembra
semplice, sembra facile. Ma in quel semplice atto di incontro per
esporre i loro problemi e discutere su come risolverli, stanno
trasformando centinaia di anni di forme statali di organizzazione della
società. Con questo semplice, ma potente atto di creare uno spazio per
incontrare e discutere le loro esigenze e trovare le loro soluzioni,
stanno esercitando la loro autonomia, creando zone di libertà per
decidere senza oppressione.
E
questo è un cambiamento fondamentale. Nei sistemi politici liberali, la
partecipazione politica è stata monopolizzata dai partiti, che sono
anche forme organizzative che dividono la società proponendo opzioni
ideologiche e politiche settarie ed escludenti. Nel Confederalismo
Democratico, i partiti sono una tra le altre forme organizzative. Questo
è stato spiegato da Erol Polat: «La società ha diverse ricchezze,
diverse culture, lingue, esperienze. Ecco perché [nel confederalismo
democratico], all'interno di queste assemblee ci sono dodici settori
della società, che sono i partiti politici; le donne, che sono la metà;
giovani, studenti, settore sportivo, cultura, contadini, classe di
lavoratori e classe di datori di lavoro e pensionati, che sono tutti
settori della società. E questi settori all'interno di queste assemblee
dicono che questi partiti non possono parlare a nome della società, e le
religioni nemmeno. Allora parlerò a nome mio in queste assemblee: è più
facile, e posso risolvere i miei problemi e posso spiegare molto meglio
i miei problemi, e in quel sistema non c'è nessun governatore o
organizzatore. Le persone si organizzano da sole. Quando c'è un
governatore, può dire: "Posso vendere l'intero paese", cambiare tutto
ciò che esiste. E il governatore dice: "Dammi il tuo voto per fare
qualsiasi cosa, quello che voglio».
Ciò
che sta alla base di questo sistema sociale è un'idea di politica molto
diversa da quella che prevale nelle democrazie occidentali, come quella
messicana. Qui la politica è solitamente di dominio dei professionisti:
governatori, partiti, consiglieri. Nell'esperienza curda, la politica
ha a che fare con la soluzione dei problemi della società, senza
intermediari. Erol Polat lo ha spiegato in questo modo: «Nelle assemblee
dicono: 'Che problema dobbiamo risolvere?', E queste assemblee si
organizzano all'interno delle municipalità, e anche all'interno di
diversi settori della società, per esempio, in una municipalità nel
settore dell'istruzione. In una non funziona bene, ha problemi, ma in
un'altra parte della municipalità funziona, quindi quell'assemblea [del
settore educativo] dice: 'Guarda, qui funziona, qui non funziona', e
puoi scambiare informazioni, e loro organizzano e supportano solo ciò
che funziona».
La politica non è
il dominio dei politici professionisti, con i loro trucchi, le manovre e
le convenienze, ma è l’ambito di risoluzione delle necessità della
maggioranza della società. Organizzata da sola.
In
questo sistema sociale, non politico, tutti partecipano, secondo Erol
Polat. «E il pensiero di questo movimento è che, affinché tutti i popoli
possano partecipare, possano imparare come funziona il sistema, dicono:
'Cambia, cambia sempre'. Ogni mese si cambia all'interno delle
assemblee, per esempio i portavoce. E dopo un mese arriva un altro
portavoce. Ed è per questo che lo stato turco, trattenendo il leader
curdo, pensava che avrebbe fermato l'intero sistema, ma loro non si
organizzano in quel modo. Oggi il popolo curdo occupa 100 comuni del
Kurdistan [turco] e più di 16mila persone sono in prigione per questo
pensiero. Ma ora ci sono le elezioni e dicono che i curdi vinceranno più
di prima. Cioè, non funziona con i leader».
Foto: Joey L
La rivoluzione del Rojava
Fu
nel contesto della Primavera Araba che i curdi estesero a una regione
più ampia i principi del Confederalismo Democratico che già applicavano
ai territori montuosi che controllavano l’esercito e le basi del PKK. Un
altro antecedente della messa in pratica del Confederalismo Democratico
si ebbe con la cosiddetta “Primavera di Qamishlo”, una città del
Nordest della Siria dove, come conseguenza della repressione statale
messa in atto contro i curdi a seguito di una lite con gli arabi durante
una partita di calcio, si giunse alla creazione di consigli di
autogoverno locale convocati dal Partito dell’Unione Democratica (Pyd),
creato nel 2003 come ramo siriano del Pkk comandato da Öcalan, secondo
Juan Carlos Castillo (Istor num. 7, autunno del 2017).
In
Siria, le proteste nel contesto della Primavera Araba sono iniziate a
marzo del 2011. Alcuni settori dell’opposizione chiesero le dimissioni
del presidente Bashar Al Assad. Inizialmente i partiti curdi decisero di
non prendere posizione. Il 19 luglio del 2012 l’esercito siriano si
ritirò progressivamente dalle zone curde; immediatamente le Forze di
Difesa Popolare (Ypg, sigla in curdo) presero il controllo di questi
territori. Le Ypg sono state create da Partito dell’Unione Democratica
(Pyd), membro della Confederazione Democratica del Kurdistan e del
Partito dei Lavoratori del Kurdistan (Pkk). Questo è stato l’inizio
della rivoluzione curda in Rojava nei tre cantoni: Afrin, Kobane e
Cizire.
Dopo l’allontanamento
dell’esercito dal Rojava, il Pyd e il Movimento per una Società
Democratica, hanno preso il controllo dei tre cantoni e dichiarandoli
poi territori autonomi. A partire dal luglio del 2012, la maggior parte
dei paesi e delle città del Rojava erano autogovernati da consigli e
comuni convocati dal Pyd. Tutte queste autorità comunali furono chiamate
a far parte del Consiglio dei Popoli del Kurdistan Occidentale. Nel
gennaio del 2014, le comuni dei tre cantoni proclamarono la loro
autonomia attraverso la creazione di amministrazioni autonome
democratiche.
Il prestigio del
Pyd a partire dalla sua creazione nel 2003 aveva conquistato sempre più
consenso tra la popolazione curda del Rojava. Ma il contesto della
guerra civile in Siria e l’ascesa del fondamentalismo islamico,
attraverso Daesh (convertito poi nello Stato Islamico, Isis), hanno
consolidato il consenso al Pyd. Dopo aver preso il controllo di una
parte del Kurdistan iracheno, l’Isis puntò al controllo del Nord della
Siria vulnerabile per l’allontanamento dell’esercito siriano.
La
difesa del Rojava era nella mani delle Forze di Difesa Popolare (Yyg) e
dell’esercito, costituito interamente da donne, chiamato Unità di
Difesa delle Donne (Ypj). Un episodio cruciale fu la difesa della città
di Kobane assediata dall’Isis tra il mese di settembre 2014 e gennaio
2015. L’assedio dell’Isis a Kobane provocò l’allontanamento di circa 300
mila abitanti. Nella resistenza di Kobane, gli Ypg e Ypj ebbero
l’appoggio dei curdi iracheni. La sconfitta dell’Isis a Kobane determinò
il suo ritiro dalla zona e l’indebolimento di queste milizie
fondamentaliste così violente.
Riza
Altun, comandate e uno tra i fondatori del Pkk, scrisse in merito a
questa battaglia: «Kobane fu il punto di svolta. Fino a prima della
resistenza di Kobane, non c’era un solo potere regionale o
internazionale che appoggiasse il movimento di libertà dei curdi in
Siria». Altun aggiunse che la vittoria delle forze autonome curde sullo
Stato Islamico ha dato alla rivoluzione in Rojava una legittimità e una
considerazione internazionale che prima non aveva. Questo episodio
determinò un’alleanza momentanea con gli Stati Uniti, Russia e altre
potenze mosse dall’urgenza di contenere lo Stato Islamico. I curdi sono
stanziati in territori ambiti dagli Stati del Medio Oriente e dalle
potenze mondiali, giocano quindi in un campo di enormi interessi
geopolitici con la pazienza e l’attenzione dei giocatori di scacchi.
La rivoluzione delle donne
In
Rojava c’è un detto: «Non si può distruggere il capitalismo senza
distruggere lo stato; e non si può distruggere lo Stato senza
distruggere il patriarcato», esclama una donna nel documentario La rivoluzione delle donne.
Se c’è qualcosa in cui si distingue il processo rivoluzionario curdo è
il ruolo che hanno ottenuto le donne nel movimento e nella messa in
pratica delle idee del confederalismo democratico. Il sistema di governo
non statale basato nella democrazia comunale può sembrare una novità,
ma niente di tutto questo esisterebbe senza che questo movimento fosse
stato precedentemente definito come una lotta anti-patriarcale.
Di
solito si evidenzia il ruolo del dirigente del Pkk Abdullah Öcalan nel
pensiero rivoluzionario curdo, ma meno si evidenzia la partecipazione
delle donne in questa lotta per bandire dall’organizzazione il pensiero
ortodosso di sinistra che lasciava in secondo piano i diritti delle
donne.
La lotta delle donne in
seno al Pkk iniziò almeno trent’anni fa. Nel 1987 fu fondata l’Unione
delle Donne Patriote del Kurdistan (Yjwk). Nel libro Jineolojî (“scienza
delle donne” in curdo), si legge che la Yjwk “fu la prima
organizzazione di donne in Kurdistan, che si sviluppò con un carattere
rivoluzionario e libertario, organizzò e portò a termine un lavoro
eccezionale nel periodo tra il 1987 e il 1993. I successi che ottennero
le donne e le trasformazioni che raggiunsero con la loro lotta per la
libertà in questo periodo diedero come risultato una prospettiva e un
quadro teorico unico sulla liberazione delle donne dentro al Pkk.
Rompendo con gli schemi mentali della società, questo quadro teorico
incontrò risposte rapide e una realtà pratica. Con la fondazione
dell’esercito delle donne nel 1993, si produssero più cambi sociologici
fondamentali nel Pkk”.
Nella
sua visita a Guadalajara Erol Polat, del Congresso Nazionale del
Kurdistan, ha spiegato che il cambio del pensiero marxista ortodosso nel
Pkk iniziò nella decade del 1980, in buona misura incoraggiato da donne
come Sakine Canzis. «Questa lotta avvenne nel 1980, fino a quando le
donne dissero: “Bene, la lotta non era contro un paese o uno Stato, era
prima”. Per cambiare la mentalità dentro al movimento e al popolo curdo,
loro (le donne) dicono che la rivoluzione dei curdi è 80 per cento
lotta interiore e 20 per cento contro uno Stato nel Medio Oriente, lo
Stato turco. E, delle donne, 90 per cento della lotta delle donne è
stata per cambiare la mentalità, perché le donne potessero dire: “Non
vogliamo una nazione, né lottiamo per una nazione. Per noi (donne), c’è
un problema con noi (donne)”. E così organizzammo un esercito, un
partito politico, un sistema politico negli anni 90, discutemmo e
analizzammo come avremmo potuto migliorare il sistema, come si sarebbe
potuta organizzare un’uguaglianza tra gli uomini e le donne; non come
avremmo liberato il Kurdistan, ma come avremmo potuto organizzare dentro
ai popoli curdi l’uguaglianza tra uomini e donne».
Sakine
Canzis fu uccisa dai servizi segreti turchi il 9 gennaio del 2013 a
Parigi, assieme ad altre due militanti del Pkk: Fidan Doğan e Leyla
Soylemez.
L’affermazione della
lotta femminista nel movimento curdo le portò a creare a partire dal
1993 le prime divisioni guerrigliere-militari composte solo da donne.
Oggi ci sono divisioni dove sono più comandanti donne che uomini. Una
delle dirigenti del Pkk, Rengin Botán, ha spiegato il ruolo delle donne
nei compiti militari: «Quando hanno capito noi donne potevamo fare
tutto, hanno iniziato ad accettarlo. Abbiamo molte comandanti eroine,
che si sono sacrificate per la maggioranza di compagni uomini. Ora il
Pkk accetta, grazie alla nostra pratica, che una donna nei compiti di
guerra, commette meno errori di un uomo. L’uomo, perché viene da una
storia machista, a volte si sente più forte e sicuro, ma la donna è più
attenta e analizza punto per punto».
Nel
movimento femminista curdo esiste la convinzione che senza la
liberazione delle donne, non sarà possibile la liberazione della
società. Così ha detto la comandante Rengin Botan intervista da Leandro
Albani per Resumen Latinoamericano: «Ogni donna ha le sue
ragioni per partecipare alla lotta, ma quando ci riuniamo ci
trasformiamo in una sola donna. La liberazione di una società la
possiamo vedere secondo il grado di liberazione delle donne. Questa
filosofia è il nostro principio: dobbiamo liberarci come donne per
liberare la società».
Foto: Cagdas Erdogan
Una rivoluzione eterodossa
Con
la ribellione e il processo di autonomia delle comunità zapatiste del
Chiapas, l’esperienza del confederalismo democratico delle
organizzazioni curde può considerarsi come una delle esperienze
rivoluzionarie più eterodosse della storia recente.
Entrambe
le esperienze rivoluzionarie coincidono in alcuni punti: rinunciano a
creare uno Stato nazione e a essere una guerriglia classica, rinunciano
ad aspettare il trionfo del proprio movimento per mettere in pratica i
propri ideali e infine rinunciano alle strategie ortodosse dei movimenti
marxisti-leninisti e guevaristi imperanti nel XX secolo. Curdi e
zapatisti coincidono inoltre nel mettere in pratica i propri progetti di
autonomia piuttosto di continuare a confrontarsi con gli Stati nazione
che li opprimono e dominano.
Sono
esperienze rivoluzionarie innovatrici che scavalcano tutti i canoni
delle strategie di sinistra e guerrigliere del secolo passato. Oltre
alla proposta del Confederalismo Democratico, nel movimento curdo c’è
un’altra idea politica sull’emancipazione e il cambio sociale che merita
di essere messa in risalto. La loro lotta non è per il potere ma per
creare zone di libertà dove ognuno possa vivere senza oppressione.
Così
lo ha spiegato Riza Altun, comandante del Pkk: «Ora tutti lottano per
riposizionarsi nel Medio Oriente. Questo è molto importante. Dobbiamo
osservare tutto ciò. Il centro della crisi del modernismo capitalista è
in Medio Oriente in questo momento. O il capitalismo si riorganizzerà in
Medio Oriente e prolungherà la sua vita per altri cento o più anni, o
il caos in Medio Oriente aprirà una voragine nel sistema di modernità
capitalista come quella dove è emersa la libertà. Questa è la ragione
per la quale tutti le potenze mondiali sono presenti e lottano in Medio
Oriente. Sarebbe un approccio molto superficiale spiegarlo solo come “la
guerra per il petrolio”. Questo è il terreno nel quale la depressione
attuale del sistema capitalista si è trasformata in una Terza Guerra
Mondiale. Tutto il mondo è qui. La lotta qui è ideologica, politica e
sistemica. L’imperialismo globale vuole sviluppare un’egemonia e un
sistema mondiale postmoderno attraverso questa lotta. Gli Stati
regionali stanno cercando di proteggere i loro guadagni e benefici
ottenuti dal sistema del XX secolo. I popoli oppressi e gli spazi
sociali stanno cercando di conquistare la propria libertà e
l’uguaglianza in questo caos. Questo è quello che sta succedendo di
fatto in Rojava in questo momento».
Con
lo scontro tra Stati nazionali, potenze mondiali e il progetto del
Confederalismo Democratico in Rojava, si è aperta una insospettabile
zona di libertà, in una piccola parte del Medio Oriente. Così lo ha
spiegato il comandante del Pkk Riza Altun: «In questa situazione, ora
c’è un’area di libertà in un piccolo pezzo di terra chiamato Rojava,
dove si è formata un’area comunale democratica. Stiamo parlando di
un’area di libertà per la prima volta. Con tutto l’appoggio materiale e
morale della società, questa forza continua la propria lotta. Allo
stesso momento vuole affermarsi resistendo con mezzi ideologici,
politici ed economici contro tutto il potere del sistema capitalista
mondiale. Dobbiamo pensare a ciò che questo spazio di libertà significa
per coloro che difendono la libertà. C'è un approccio imperialista e
capitalista che vuole distruggere completamente questa zona. Dall'altra
parte, c'è una lotta per espandere questa zona».
Questo è ciò di cui parla la rivoluzione in Rojava, di espandere le zone di libertà in tutto il mondo.
Tratto da Magis Iteso e tradotto da Associazione Ya Basta! Êdî bese!
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