martedì 26 febbraio 2019

Alle urne! Pedro Sánchez e la fine del ciclo progressista


 

dinamopress Pablo Carmona

Le elezioni anticipate in Spagna segnano il fallimento del ciclo politico progressista e la minaccia di una restaurazione conservatrice del vecchio regime. Eppure, le grandi questioni sollevate dai movimenti sociali degli ultimi anni sono ancora del tutto aperte
Non è ancora passato un anno da quando Pedro Sànchez ha preso il potere. Come in una buona lezione di storia del nostro paese, la ripetizione accelerata delle consultazioni elettorali sembra non aver saputo amministrare una crisi sociale e politica senza precedenti. Mentre la destra si ricostruisce a partire dalle sue nicchie di voto classiche – non ci sono segnali infatti di una presunta classe lavoratrice che stia scivolando verso l’estrema destra –  le questioni centrali introdotte dal 15M sono ancora intatte.

Veniamo da anni nei quali l’opzione progressista è stata venduta come l’unica soluzione a una crisi di regime ancora latente. I suoi attuali massimi esponenti sono Pedro Sánchez – con forze rinnovate – e la proposta di Íñigo Errejón insieme a Manuela Carmena. Entrambe condividono una stessa intenzione, la ricostruzione di una sinistra amichevole che guardi al centro politico mentre mette in campo una gestualità comunicativa progressista.
Tuttavia, la strategia non ha funzionato. I gesti sono serviti soltanto a svelare la timidezza del governo di Sánchez e la mancanza di una posizione politica che andasse oltre il marketing. Il primo segno di allarme è stato quello relativo ai numerosi problemi con il fisco di alcuni dei suoi ministri, una semplice prova di come le élite culturali e politiche del nostro paese non smettano di essere la vecchia borghesia di sempre – in questo caso progressista – che dice di difendere lo stato e si rivolge all’assicurazione sanitaria privata, le scuole d’élite o le imprese fittizie per pagare meno imposte.
Questo sintomo evidente, il governo di quelli di sempre, quelli della vecchia aristocrazia socialista e dei suoi nuovi pupilli, ci dimostra che quei gesti progressisti e le strizzate d’occhio a sinistra non sono in grado di affrontare i problemi di fondo. Questioni centrali come la crisi migratoria e quella dei rifugiati, la dittatura finanziaria imposta attraverso Bruxelles, la drammatica situazione politica in Catalogna o la precarietà esistenziale e abitativa che si vive nel nostro paese non si risolvono né con il gesto dell’Acquarius, né stringendo accordi al ribasso sul tetto di spesa con Bruxelles. Tantomeno si ottiene nulla con l’appoggio all’articolo 155 in Catalogna né evitando la necessaria riforma della legge sulle ipoteche o dell’imprescindibile regolazione dei prezzi degli affitti delle case.
La realtà di questo ultimo strascico del ciclo progressista è che ha aperto la porta a una restaurazione delle destre. Va anche detto che questo non si deve confondere con la una generale deriva a destra del paese. Di fatto, possiamo affermare che mentre la Spagna ufficiale si ricompone elettoralmente a destra, trascinando a sua volta al centro il resto degli attori politici, la Spagna reale, quella sfrattata, precaria, migrante e rifugiata corre verso l’astensione (almeno coloro che hanno il diritto di voto) e il disincanto. La vera crisi politica oggi, quella che ci deve preoccupare, sta nella crisi di legittimità che questo ciclo progressista ha scatenato rispetto alla destra. Una realtà che verrà confermata – se non cambierà la situazione –, nelle tornate elettorali dei prossimi mesi.

Scenari del cambiamento

Quello che è sicuro è che la parola d’ordine delle piazze, “non ci rappresenta nessuno”, tornerà a risuonare nei confronti dei partiti della sinistra. Si dimostra in questo modo che le proposte e gli apparati istituzionali, i partiti e le coalizioni che provarono a sfruttare a loro favore le forze del 15M, hanno fallito. Un disincanto e una crisi di legittimità che molto hanno a che fare con l’incapacità di recepire il mandato che proveniva dalle rivolte di piazza. La democratizzazione del paese, la disobbedienza alla dittatura finanziaria, la garanzia dei diritti sociali basilari come l’alloggio dignitoso e il blocco degli sfratti o la fine della precarizzazione dei servizi pubblici e dell’impiego sono stati alcuni di questi.
Lo scenario che ora si apre è ambiguo e difficile da prevedere. Sappiamo che le mediazioni istituzionali e i partiti politici della sinistra, incluso il ciclo del cambiamento, partono da una pessima posizione o sono in aperta ritirata. Sappiamo anche che si preparano governi di coalizione a la andalusa o forse una ricomposizione centrista del vecchio patto Ciudadanos-PSOE. Le forme definitive di questa restaurazione del ’78 non le conosceremo fino all’estate, però prevediamo che saranno pesanti e a loro volta incapaci di risolvere i problemi di fondo che abbiamo già segnalato. La restaurazione della destra non sarà sinonimo di stabilità politica.
All’altro lato dello spettro istituzionale troviamo i diversi eredi della decomposizione del ciclo del cambiamento. Nel caso in cui ne uscisse viva, l’ipotesi Carmena-Errejón porterà alla costruzione di un fronte che potrà agire da stampella in caso di una vittoria del fronte centrista contro la destra, prestando il proprio appoggio all’accordo PSOE-Ciudadanos. Dall’altra parte, l’alleanza Izquierda Unida (IU) Podemos dovrà affrontare – a seconda dei risultati elettorali – una fase di forte ricomposizione e ricollocazione nello scacchiere politico.
Infine, le ceneri di molte candidature municipaliste – per quanto indebolite – potranno lottare per mantenere un modello di partecipazione istituzionale che tenga insieme l’espressione di un programma radicale di lotta e la costruzione di un polo organizzativo di movimento nel quale svolgere una funzione di megafono e di agitazione politica dei programmi di radicalizzazione democratica e di disobbedienza.
È però indubbio che il ciclo aperto da Podemos e dalle candidature municipaliste si sta chiudendo. Per i prossimi anni si presenterà uno scenario nel quale il protagonismo e gli strumenti di lotta torneranno a essere essenzialmente movimentisti e affronteranno un panorama politico che subirà una nuova involuzione nella forma di una riduzione dei diritti, privatizzazioni, precarietà, sfratti, machismo e razzismo in una nuova fase di crisi globale.

E ora?

La restaurazione conservatrice conterà anche di strumenti più affilati: la “Ley Mordaza” [legge bavaglio, ndt] e la repressione potranno acquisire ancora più protagonismo nella politica nazionale. I molti processi contro la libertà d’espressione, la durezza e lo stato d’emergenza applicato in Catalogna o la prova di come funzionano i meandri dello stato con il caso Villarejo e il BBVA non sono buoni indicatori sul rapporto tra la dissidenza politica e gli apparati dello stato-capitale nei prossimi tempi. Nemmeno lo è il ritorno ai discorsi securitari e di guerra tra i poveri che hanno fatto propri Ciudadanos o il PP – ora compromesso con Vox – con i quali si esercita la furia ideologica del tripartito di destra in materia di razzismo, di lotta conto i diritti conquistati dal femminismo o in favore delle oligarchie finanziarie.
Tuttavia, quello che vediamo non è in ogni caso un’avanzata chiara e senza opposizione di questo tipo di politiche. Negli ultimi anni abbiamo visto come esistano forti posizioni di lotta capaci di affrontare questo scenario, come la continuità che ha avuto il movimento per la casa incarnato dalla PAH e ora rafforzato con la creazione di numerosi sindacati degli inquilini (a Barcellona, Malaga, Madrid, Saragoza, ecc.).
Fondamentali sono anche le mobilitazioni femministe e delle persone razzializzate, in particolare i sindacati degli ambulanti di Madrid e Barcellona. A questi si uniscono le posizioni che importanti centri sociali hanno mantenuto nelle città di tutto lo stato (La Invisible di Malaga, Patio Maravillas o La Ingobernable di Madrid) o i nuovi movimenti sindacali dei precari in aziende come Glovo o Amazon.
Lo sciopero femminista e l’enorme movimento di disobbedienza sostenuto da migliaia di donne hanno riportato la politica nelle strade e alla necessità di difendere le vite fragili e precarie di fronte al un modello capitalista e patriarcale che rende sistematica la violenza come forma di governo. Nuovi protagonismi politici che hanno trovato nei movimenti razzializzati un’espressione necessaria per scrollarsi di dosso un certo paternalismo che caratterizza la lotta contro le frontiere e il razzismo che molte ONG avevano praticato nel nostro paese dagli anni Ottanta e che torna a riconnettersi con le lotte storiche dei sin papeles [senza documenti – ndt] a El Ejido, Huelva o nelle grandi mobilitazioni degli encierros del 2001 [azioni in cui i migranti si chiudevano all’interno di luoghi pubblici in segno di protesta – ndt].
Le posizioni per contrastare il probabile ciclo conservatore si basano su buone premesse. Restano da trovare le alleanze che permettano di rispondere uno per uno agli attacchi che stanno per arrivare. La rivolta delle piazze ci ha insegnato la potenza che ha un’agitazione collettiva e diversificata, così come è necessario pensare forme di organizzazione e di disobbedienza civile che permettano di smantellare le leve principali del controllo finanziario e statale. La via dell’espressione istituzionale e partitica attraverso il linguaggio progressista ha finito per essere ancora una volta funzionale alla stabilizzazione del sistema. Tuttavia, dal basso e a sinistra si è aperta la discussione su come assaltare i meccanismi del potere e generare una nuova istituzionalità politica che garantisca i nostri diritti e la ridistribuzione della ricchezza.
Da come affronteremo questo sistema di alleanze, le sue forme organizzative e i suoi strumenti di disobbedienza dipenderà la riuscita di una nuova breccia politica nella restaurazione che sta arrivando.

Articolo apparso il castigliano sul sito Elsalto
Traduzione italiana a cura di DINAMOpress

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