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27 / 2 / 2019
Il fallimento del 23 febbraio alla frontiera tra Colombia e
Venezuela non è altro che il risultato di una lunga catena di eventi falliti.
Forse il maggiore e non essere capace di leggere il Venezuela reale, non avere
una strategia, chiudere gli occhi e buttare in aria i dadi.
L’auto proclamazione è una via attuabile quando si ha il potere:
Recep Tayyip Erdogan, da primo ministro della Turchia, decise di diventare
presidente e con il suo potere cambiò il regime da parlamentare a
presidenziale. Vladimir Putin nominò come successore alla presidenza Dmitri
Medvédev, che garantì il ritorno di Putin. Uribe scelse come presidente Iván
Duque. Nei tre casi c’è una costante: avevano un potere reale, interno,
legittimo per farlo.
L’auto proclamazione di Juan Guaidó è passata rapidamente da
boom mediatico a scherzo, a oggetto di meme. Ci sono altri leader
dell’opposizione venezuelana più conosciuti e con più argomenti, ma il prodotto
“Guaidó” non ha venduto. Nonostante il riconoscimento di Stati Uniti, Israele,
Colombia, Brasile, Spagna, Francia, Svezia e Regno Unito, tra gli altri
governi, Guaidó non ha ottenuto il riconoscimento dell’ONU né quello totale
della OEA. Non ha un briciolo di potere reale: non è stato capace di andare oltre
al simbolico. Essere presidente in Twitter non serve. Il potere è qualcosa che
si esercita, non che si nomina semplicemente, e Guaidó non esercita nessun
potere. Continuerà così perché non sembra avere un piano B.
Guaidó potrà essere ricevuto con gli onori dai presidenti a
Bogotá; riunirsi con il vicepresidente degli Stati Uniti Mike Pence; fare
presenza nelle riunioni del Gruppo di Lima, ma né i sindaci né i governatori di
opposizione del suo paese né le organizzazioni degli imprenditori gli hanno dato
il loro appoggio, né i suoi ambasciatori possono dare un visto.
Il secondo grande errore è l’invenzione degli aiuti umanitari.
Questo non vuol dire che non ci sia una situazione critica in materia economica
in Venezuela, semplicemente dimostra che non è nemmeno decente lanciare
“un’operazione umanitaria” da un territorio in Colombia che conosce la povertà
e la fame sulla propria pelle. Qualche mese fa mi dicevano alcuni leader
indigeni de La Guajira colombiana, che la situazione è peggiorata proprio grazie
al blocco economico degli Stati Uniti contro il Venezuela, perché loro
commerciavano di più dall’altro lato della frontiera che in Colombia. Questo
implica avere un problema di legittimità, nel lato colombiano, che non è poca
cosa.
Un’operazione umanitaria non è parte di una strategia di guerra,
non deve esserlo. In Irak si presento l’aiuto umanitario come strategia di
guerra e milioni di persone nel mondo scesero nelle strade contro questa e
altre bugie. Per questo perfino il Comitato Internazionale della Croce Rossa,
la maggiore organizzazione umanitaria nel mondo, ha rifiutato di chiamare
“umanitario” il circo montato alla frontiera con il Venezuela. La cosa più
umanitaria sarebbe togliere il blocco all’economia venezuelana.
Un’operazione umanitaria non è un’operazione di marketing. Noi
che abbiamo lavorato nel mondo umanitario conosciamo il silenzio intorno a
molte operazioni. Non ricordo nessuna che sia stata preceduta da un concerto
come quello di Cúcuta. Oltretutto un concerto classista, dove il settore VIP
era molto lontano dai venezuelani del popolo, i quali non hanno ricevuto
nemmeno un pranzo decente, mentre i supposti aiuti umanitari (pagati dalla
USAID) dormivano nei camion. Buona metafora della proposta di Venezuela che
offre Guaidó?
Per questo in molti se ne sono andati, perché hanno visto in
tutto questo un altro show, nel quale essi non erano i protagonisti ma gli
spettatori. Alcuni di questi cantanti sono tra quelli che nelle visite di
Palazzo hanno chiesto lo sgombero degli studenti che chiedevano fondi per
l’educazione. Va ricordato che Carlos Vives, che ora è passato ad appoggiare le
vittime, non rispettò la grande richiesta che gli fecero i palestinesi di non
appoggiare l’occupazione israeliana e lui andò laggiù ad appoggiare il
sionismo. A proposito, fonti locali mi dicono che sono preoccupati della
presenza israeliana dietro tutto questo. Tel Aviv ha riconosciuto subito Guaidó
e questo ha messo in chiaro che si sforzerà di ristabilire le relazioni
diplomatiche.
Terzo errore: hanno cercato di forzare il passaggio alla
frontiera. Hanno eroso il meccanismo di protesta alla frontiera producendo un
solo risultato: la chiusura della stessa, che colpisce le comunità di tutti e
due i lati e farà diminuire la potenziale simpatia per Guaidó. Questa è una
grande verità. Dopo aver aspettato ore ed ore molti venezuelani se ne sono
andati quando sono arrivate le notizie che il tentativo era fallito. Ma un
altro gruppo ha scelto la violenza. Mi hanno raccontato osservatori diretti che
la ESMAD (si, la stessa ESMAD), stava a pochi metti dai ragazzini che
costruivano bombe molotov per iniziare gli scontri e non hanno fatto nulla per
fermarli. Il camion è stato bruciato nel ponte, nel lato colombiano e non nel
lato venezuelano. Il veicolo, dicono pieno di aiuti umanitari, non è stato
nemmeno preso dai venezuelani da questo lato ma incendiato. Le foto mostrano
questo.
I disordini, cioè, erano più che altro simbolici, come un tweet
di Guaidó. Non più di 500 persone nei due centri della protesta. E questo non
fa cadere una frontiera. Non è il muro di Berlino. In altre parole: le azioni
del 23 febbraio non sono arrivate in Venezuela. Nel bene o nel male (ma questo
non è il punto) il chavismo esiste ancora. E in centinaia sono andati a
difendere la frontiera e le guardie della frontiera sono stati ricevuti come
degli eroi. Può essere solo un elemento simbolico, ma loro hanno il potere.
Insisto nel dire che il principale errore di Trump, Bolsonaro,
Duque, Piñera, Almagro e tanti altri, è che non conoscono veramente la realtà:
nonostante gli errori di gestione, dei casi di corruzione e della terribile
iperinflazione, c’è un settore importante della popolazione che continua ad
essere chavista. Così credono che alcune centinaia di persone che lanciano
pietre, un camion bruciato alla frontiera e il riconoscimento di Donald Trump,
siano fattori sufficienti a far cadere Maduro, è un errore enorme.
Di fatto, questo smentisce tutti questi teorici del complotto
che dicevano che le rivolte arabe non avevano nessuna agenda né appoggio
locale, e che tutto era stato creato dalla CIA. Se questo fosse vero, con la
stessa strategia, oggi nel Palazzo di Miraflores ci sarebbe Guaidó e non Maduro
(ma questo è un altro discorso).
E, infine, le masse non sono scese in strada. Il 23 febbraio era
una chiamata nazionale che non è esplosa. Nel territorio venezuelano, la
popolazione non si è unita alle proteste. La poca gente che ha assistito al
concerto e quelle che si sono unite alla sassaiola si sono dileguate perché non
c’è un obiettivo chiaro. Allo stesso modo, l’invito alla diserzione dei
militari ha ottenuto appena 60 diserzioni, in cambio di alcuni benefici. Niente
di comparabile con i migliaia di militari siriani che disertarono in cambio di
niente. Guaidó non ha un settore delle Forze Armate del Venezuela che lo
appoggi.
Così come Maduro non può trincerarsi dietro al “è tutta colpa
degli Stati Uniti”, Guaidó non può trincerarsi nel fatto che Maduro non si è
lasciato abbattere. Non è avvenuto né l’ingresso degli aiuti umanitari, né
l’intervento militare, né una sollevazione popolare. Questo non vuol dire che
non possano succedere, ma dimostra che Trump e compagnia hanno sottovalutato
Maduro.
Il 23 febbraio è il riflesso di quello che succederà:
polarizzazione, notizie false, maggior ingerenza statunitense, declino di Guaidó
e fine della scusa umanitaria. Iván Dunque ha mandato tutto all’aria, come
hanno detto in Twitter: ha giocato con gli aiuti umanitari vicino alla miseria
de La Guajira e ha parlato della dittatura del Venezuela, ma senza condannare
la morte dei leader sociali in Colombia. Dunque continua ad essere più
preoccupato per il suo ruolo di consulente di un presidente autoproclamato e
senza alcun potere, che di governare la Colombia. Chiaro, quest’ultimo è
compito di Álvaro Uribe Vélez.
PS: Tutto questo è stato fatto sapendo dal principio che sarebbe
fallito? Con questo finisce “l’accerchiamento diplomatico?” Cosa succederà dopo
questo fallimento? Non vedo un substrato per una guerra civile a breve termine.
Rimane solo la carta dell’intervento esterno come suggerisce oggi Guaidó? La
cosa certa e che nel mondo, per meno risorse naturali di quelle che ha il
Venezuela , sono cominciate più guerre.
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